“Febbre da fieno” è un romanzo poliziesco apparentemente classico in cui il lettore, insieme al personaggio principale, un astronauta americano in pensione, è chiamato a indagare su una serie di morti misteriose tra Napoli, Roma e Parigi. Diciamocelo, ogni libro di Stanisław Lem suscita il desiderio di conoscere tutti i campi scientifici toccati dallo scrittore.
Ma come si può risolvere un mistero quando le leggi della natura, come la teoria del caos e la probabilità sono i primi soggetti sospettati? Forse la vita di ogni persona dipende dal caso e non ha senso interferire con il futuro.
Il romanzo combina magistralmente pagine di azione frenetica con attimi di profonda riflessione sulle minacce alla civiltà e sulla “globalizzazione” Il mondo che Lem vede e descrive è il risultato del gioco d’azzardo dove “Dio gioca a dadi” e della somma delle probabilità.
“Febbre da Fieno” è opera di uno scrittore maturo, esperto che sa creare magistralmente intrighi, intrecciarei fili letterari per poi traghettare il tutto nelle acque chete di una soluzione efficace.
La legge di Lem: “Nessuno legge; se legge, non capisce nulla; se capisce, dimentica subito”
Il mistero da risolvere ruota intorno a delle morti misteriose causate da uno stato di panico apparentemente inspiegabile. Il profilo delle persone colpite da queste circostanze sospettosamente innaturali è piuttosto peculiare e, in qualche modo, coincide con le condizioni psicofisiche del nostro eroe, un astronauta ritiratosi prematuramente a causa di una sua allergia.
I morti hanno lo stesso sesso, la stessa età, la stessa struttura corporea, gli stessi disturbi e, manco a dirlo, la stessa situazione finanziaria. Parliamo quindi di uomin sulla cinquantina, piuttosto alti, di corporatura discreta o atletica, scapoli o vedovi […]
Un cosmonauta americano, la cui allergia gli impedisce di fare carriera, viene inviato in Italia per una strana missione: deve rivestire i panno di una sonda o di un tester vivente, addentrandosi in una nuova realtà per riuscire a spiegare il mistero della morte di diversi uomini – che, in circostanze in simili, ma per ragioni sconosciute, hanno perso la vita.
Tuttavia, la soluzione del mistero si rivela decisamente diversa da quella attesa dai comuni lettori di romanzi gialli. Non ci sono manette che potrebbero trattenere un assassino così misterioso come una serie di determinati fattori che devono verificarsi per portare alla fine una persona allergica in uno stato di estrema depressione.
Stanisław Lem, scrittore di formazione medica (studiò all’università di Leopoli), era perfettamente consapevole dell’impatto che i preparati chimici e farmacologici possono avere sul corpo umano, nozioni che lo ha aiutato a creare una storia criminale con un assassino che si comporta perfettamente ma che, tuttavia, trova difficile accusarlo di premeditazione e assicurarlo alla giustizia.
In “Katar”, questo il titolo originale polacco, come in molti altri suoi romanzi, Lem mostra al lettore che raramente si possono ottenere dei risultati senza sacrifici.
Questo è uno degli ultimi romanzi di Lem, scritto nel 1976, straborda dai canoni del romanzo poliziesco sfruttando le potenzialità offerte dalla fantascienza, senza fare ricorso a invenzioni tecniche o a personaggi insoliti, ma utilizzando un metodo piuttosto unico di interpretazione di fenomeni misteriosi, che ancora non si era visto in altri romanzi. In “Febbre da fieno” prevalgono la razionalità e la logica e i misteri del romanzo vengono illuminati pagina dopo pagina.
Si può dire che la chiave di “Febbre da fieno” è il caos: eventi, persone, motivazioni e coincidenze. Nel romanzo appare anche la visione profetica di Lem che descrive, a modo suo, la “globalizzazione”, cioè il principio di connessione dei fenomeni che si verificano in tutto il mondo in un insieme funzionale, ma l’insieme è così complesso che i principi del suo funzionamento non possono essere pienamente compresi, perché sono governati dalla casualità e dalle leggi della statistica. Pertanto, la concretezza e la consapevolezza dell’eroe-narratore, che registra instancabilmente e oggettivamente i fatti, valgono in definitiva tanto quanto la concretezza di Witold Gombrowicz nel suo Cosmo, dove cerca invano la coerenza nel ripetuto all’infinito elenco degli “elementi” del suo mondo: “un passero, un bastone, una bocca, un gatto, un nodulo, un graffio…” ecc. Non se ne ricava nulla. Pertanto, qui l’intuizione è più affidabile della deduzione, ad esempio in questa incredibile descrizione delle allucinazioni dell’eroe, dietro le quali il bisogno di significato irrompe con il massimo sforzo.
Ma non finisce qui, perché la complessità presente nel macromondo si estende anche al campo delle micromolecole: solo un biochimico sa quanto siano estremamente complicati i principi dell’impatto dei composti chimici sugli organismi viventi e quanto influenzino in modo determinante le tracce di alcune sostanze sui sentimenti umani, comportamenti e funzioni fisiologich. Per questo motivo, i creatori di nuovi farmaci non perseguono l’obiettivo semplicemente componendoli “logicamente” – partendo da elementi costitutivi di elementi con effetti precedentemente noti, ma conducono centinaia e migliaia di esperimenti con vari composti prima di trovare quello che rivelerà l’effetto effetti desiderati. Pertanto, nel libro di Lem, il labirinto del mondo della politica, dell’economia e di altri affari umani corrisponde a un secondo labirinto, situato nel micromondo.
La “domanda cognitiva” posta nel romanzo trova una risposta apparentemente semplice: a un puzzle infinitamente complesso si dovrebbe rispondere con quanti più tentativi possibili per risolverlo – solo allora la statistica ci fornirà finalmente la soluzione a tutti i dilemmi. Non perché spariamo con precisione, ma perché sotto la pioggia di proiettili prima o poi uno di loro deve colpire. Questo è lo scopo degli aneddoti “modello” del romanzo sulle gocce di pioggia che cadono su un tavolo tempestato o sui tiratori che mirano alle mosche mentre volano. Sembra divertente, ma il mondo di Lem è costruito in modo tale che alla fine dovrà risolvere i propri enigmi. Ciò si ottiene con la stessa complessità e ridondanza che in precedenza distruggevano le possibilità di deduzioni logiche. Pertanto, i successi di cui godono oggi gli scienziati non sono dovuti alla loro brillante visione di penetrare il caos dei fatti che si affollano davanti a loro, ma perché hanno “lavorato” con un esercito di centomila persone e, statisticamente parlando, uno di loro deve alla fine trova la risposta giusta alla domanda e pone le stesse domande più e più volte. Non è molto romantico, in fondo, apprendere che le scoperte non vengono fatte da geni puri, ma da scienziati che hanno avuto fortuna… Eppure Lem rende “Febbre da fieno” un libro estremamente attraente e avvincente da leggere.
“Febbre da fieno” si interroga innanzitutto sulle condizioni per conoscere la realtà contemporanea e fornisce una risposta che non privilegia la letteratura, ma piuttosto l’arte di parlare di persone e situazioni straordinarie. Il romanzo sembra dire: è inutile fare sforzi folli e affaticare la mente, perché il mondo di oggi è sostanzialmente inconoscibile per deduzione, ma basta aspettare un po’ e affrontare il problema in vari modi, e alla fine il mistero in qualche modo illuminerà – sotto l’azione della massa stessa numerosi tentativi di conoscenza. Cosa ne ricava la letteratura, che, dopo tutto, definisce il protagonista dell’opera un “eroe”? Diciamo che nasconde la sua frode, perché finge di parlare dell'”uomo in generale”, mentre è una storia su coloro a cui è successo qualcosa di straordinario, su coloro che le statistiche hanno scelto tra una moltitudine di altri, dando loro un ruolo speciale interpretare un ruolo.
La consapevolezza che un eroe che riesce è un prescelto del destino, piuttosto che qualcuno che se lo è forgiato da solo e lo ha meritato, non sembra cambiare molto nella visione della letteratura stessa.
Eppure Lem sembra – nonostante tutto – pensarla diversamente, perché la letteratura non solo ci dice com’è il mondo, ma cerca anche di rispondere alla domanda: “come vivere?” – non agli “eroi”, ma a ciascuno individualmente. . E a questo punto il suo “Febbre da fieno” sembra – del tutto inaspettatamente – dare una risposta come la potrebbe dare il signor Cogito di Herbert.
Chi ha già letto le opere di Lem sa perfettamente che i suoi personaggi non sono dei cervelloni che esplorano il mondo dietro una scrivania, ma amano l’ azione e non evitano il rischio. Ijon Tichy, Pirx, Hal Bregg, Kris Kelvin, Rohan: tutte queste sono protagonisti che realizzano loro stessi nell’azione, scoprendo il mondo sia attraverso la ragione che con tutti gli altri sensi. Lem che era riluttante a viaggiare è esattamente questo: un avventuriero del pensiero che percorrere sentieri inesplorati. Affronta i problemi che ha davanti in modi diversi, utilizzando diverse procedure mentali, diversi linguaggi scientifici e utilizza la letteratura come un laboratorio in cui si conduce la ricerca su un numero infinito di modelli. Lo scrittore stesso è un vagabondo che, incapace di volare, organizza una “avventura cosmica” sulla Terra e ci consiglia di vagare, assorbire i segreti del mondo e stare coraggiosamente dalla parte della realtà, indipendentemente da tutti gli ostacoli, i dubbi e le trappole che ci vengono posti dalla debolezza personale, dalla politica e da una teoria scettica della conoscenza.
Stanisław Lem
Febbre da fieno
traduzione di Lorenzo Pompeo
Sírin
2020, Brossura 14,5×20,5
ISBN: 9788862433778
€ 18,00