Scampoli di un’intervista


In realtà il titolo è stato l’ultimo dettaglio del libro, posso dire che è nato da sé, come il libro stesso in realtà. Una volta finita la prima stesura, l’editore, cioè Gordiano, mi ha semplicemente richiesto di utilizzare, per ovvi motivi, la parola Ucraina e di getto, così, senza pensarci troppo, mi è venuto fuori “Appunto una guerra”. Vorrei ricordare che, inizialmente, tutto ciò veniva definito come un’ “operazione speciale e non come una guerra, per l’appunto. Inoltre, tra le tante figure che hanno attraversato, a forza, questa dolorosa vicenda c’è anche una famiglia italo-ucraina che vive in Finlandia. Parlando con loro si è creata la definizione, imprecisa ma spontanea, di appuntare, prendere appunti. Però sì, appuntare è sinonimo di fissare e, alla fine ho cercato di fissare su carta tante cose di questa esperienza, per non dimenticarla. La vita scorre fuori dai margini, il sottotitolo, è invece una frase presente nel libro che ben descrive il tutto.

– Vuol presentarci il protagonista del libro? Cosa spicca maggiormente in lui e perché la scelta di raccontare proprio la “sua storia”?

Ho raccontato o per meglio dire “Mi ha raccontato” la sua storia per far sì che non vada dimenticata. Nelle poche dediche che feci a suo tempo sul mio libro, uscito ormai anni fa, cioè “Eco a perdere”, utilizzavo un’espressione particolare “Affinché nessun’ eco vada perduta”. Questo è un po’ il mio percorso letterario. Quando un anno fa partii per la Polonia non sapevo davvero cosa aspettarmi. Partii perché sapevo che, forse, quel mondo a me cosìvicino, che ho sempre amato, non sarebbe più esistito. La guerra è distruzione, lì dove arriva. La stessa Polonia che conoscevo io è molto cambiata, ha risposto in maniera decisa e forte, aiutando i rifugiati, facendo del suo meglio. Il protagonista del libro è l’insieme di tante persone incontrate, di piccoli dettagli rubati da ognuno di loro. Realtà che non devono andare perdute

– Intorno a Yosyp ruotano altri personaggi secondari, sia maschili che femminili. Ce li può presentare?
Lei è particolarmente legato a uno fra essi?
Non vorrei dimenticarne nessuno, comunque Adam, Mila e Margot sono sicuramente quelli più vivi all’interno del romanzo. Adam è una figura paterna, un essere mitologico, una persona che pur rimettendoci tralascia il rancore e cerca di fare del bene di tenere su il morale del popolo. All’epoca, soprattutto a Przemyśl, c’era di tutto (ci arrivò anche Salvini). C’erano tanti volontari, pizzaioli, parrucchieri, venuti da tanti luoghi a cercare di fare del bene. Adam è un po’ tutti loro. Margot è una ragazza che incontrai in un bar. Inutile dire che attirò la nostra attenzione perché piangeva, pianse per mezz’ora dal nostro arrivo e purtroppo, pianse anche quando ce ne andammo. Sono ancora in contatto con alcune di queste persona che ora si trovano in Turchia, in Austria e in Canada,

– Già nelle prime pagine si legge “Il pericolo più grande qui è la noia. Vero è che se non si muore in guerra, non si muore di sicuro di noia. La noia però ti assale ed è difficile credere, sperare in qualcosa o in qualcuno in questa situazione dove si è costretti a dipendere solamente dagli altri…” Queste parole riportano ad una situazione d’immobilità, di dipendenza dagli altri …perché si è profughi e null’altro si può fare. La fuga dalle proprie terre è solo questo o include altre sofferenze?

Non è solo questo ma nella fase iniziale è sicuramente questo perché nessuno riesce a pensare a un’entità estratta come il domani. Si è grati di esseri vivi, ma si è costretti a vivere in un presente infinito. Un presente fatto di dipendenza e di impotenza. Stranamente, la sofferenza del “domani” se mi è consentito chiamarla così, arriva in una seconda fase. Con il trascorrere del tempo si realizza una nuova condizione. Ci si cristallizza. Perdonatemi la licenza. Il passato rimane cristallizzato in un tempo che non scorre più o che non scorre come dovrebbe. Ho visto persone scoppiare a piangere, apparentemente senza motivo, perché ricordavano cose, attimi, luoghi andati perduti per sempre. Consapevoli di aver perso tutto rendevano di cristallo le loro lacrime. Forse è troppo retorico, ma al momento non saprei dirlo in maniera diversa

– Lei parla di sentimenti, ad esempio del pianto che definisce “condizione comune”. Questa manifestazione di tristezza che valore ha nel protagonista, un uomo di quarant’anni?
Direi che la nostra società piange poco e male. Piange per cose prive di valore, piange per delle cose appunto. Tendiamo a dimenticare troppo in fretta le persone. Siamo una società narcisista che si specchia su se stessa e offusca troppo l’altro. Amiamo i vip, gli influenzer, seguiamo cioè che invidiamo e dimentichiamo gli ultimi. Gli ultimi diventano quell’altro che non ci interessa, così come i sentimenti sono sempre più relegati ai margini. L’attuale condizione comune, a livello umana, è misera, anche a quarant’anni. Penso che siano molti i motivi per piangere, sopratutto se si è deciso di non fare nulla al riguardo,



– In questo suo romanzo lei va al passo con i tempi, non solo quelli storici. Attraverso Yosyp racconta dell’amore per i libri ma tratta anche di una realtà digitale. Vuol dirci il suo pensiero e quello del protagonista?
Yosyp lo sa, non è un luddista, forse non ha mai conosciuto il luddismo. Yosyp è un dinosauro analogico e in questo lo invidio. Io sono costretto a digitalizzarmi a digitalizzare ogni cosa. Un mio compagno delle medie che ha una falegnameria un giorno mi disse “Io volevo solamente lavorare il legno, adesso mi tocca usare il computer” e questa frase mi sembra molto significativa. In questo un po’ invidio Yosyp perché non ha più nulla da perdere, può permettersi di mancare un aggiornamento mentre noi siamo costretti a rincorrere ogni capriccio digitale e non per FOMO, la paura di essere tagliati fuori da una società che include tutto, ma perché viene reso impossibile fare qualsiasi cosa in modi diverso. Il progresso è mettere a disposizioni alternative non imporre. Lo stesso atto del rendere digitale, liquido, perdonatemi il termine, l’industria culturale ha finito con il degradare il tutto. Un disco è “uguale” a un “quadro” che è uguale a un “film” che è “uguale” a un libro perché, in qualche modo decontestualizzato. Decontestualizzato perché, mi spiego meglio, riprodotto dallo stesso dispositivo, lo smartphone. Avere tutto a portata di mano, 24 ore su 24 ore, porta a un consumo generico, per lo più inconsapevole. La società dell’intrattenimento perenne nasce da qui, Tik Tok e Onlyfans sono il nostro presente, i libri il passato. Già la semplice lettura di un libro è diversa da quella su schermo digitale. Recenti studi dimostrano che quest’ultima è più dispersiva (ci volevano degli studi? Direbbe Yosyp). I cinque sensi si stanno perdendo o li stiamo modificando. Sapori, odori e tatto. Soprattutto il tatto. Passiamo le nostre giornate a toccare plastica. Questo ci sta cambiando? Se sì, come? Il discorso è sicuramente molto ampio e non vorrei essere tropo dispersivo. Il futuro è la tecnologia ma l’essere umano non deve assolutamente diventare una sua periferica.

– C’è ancora spazio per la speranza per Yosip e per le tante persone come lui? E’ forse la scrittura ad avere maggior potere salvifico?
Sono tempi di sconforto, Yosyp stesso lo sa bene e non nutre grandi speranze. Si scontra con realtà e con persone a lui incomprensibili. Per lui la scrittura non è salvezza, non c’è nulla in fondo da salvare, ma semplice testimonianza.

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