Andrzej Kuśniewicz e la sua morta lezione sconfitta dalla storia

Si dice che si debba distinguere l’opera letteraria dalla persona dell’autore e che forse sarebbe meglio non incontrare mai i propri idoli, anche quelli letterari, perché si corre il rischio di restare delusi e l’autore di cui parliamo oggi rientra proprio nel settore delle “personalità storiche evitabili”.

 

Viviamo tempi strani, particolari, destinati a un crepuscolo, senza più dei, possiamo solo rivolgersi a chi ha vissuto e ci ha tramandato esistenze similari.  Andrzej Kuśniewicz, autore dimenticato, seppur attualmente presente nell’ottimo catalogo Sellerio, è lo scrittore da recuperare oggi,

 

Kuśniewicz è stato uno degli scrittori europei più abili nel raccontare l’era del declino e della fine dell’Impero austro-ungarico, in coincidenza con l’epilogo della Grande Guerra, come descritto nelle pagine di Lekcja Martwego Jezyka. Lezione di lingua morta, questo il titolo italiano, è un romanzo ambientato durante l’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, in un lembo di terra, la Galizia, schiacciata e compressa, tra la Polonia e l’ Ucraina di oggi, in un continuo stato di dissolvenza. Questa “lezione” narrativa, curiosamente,  si svolge in pagine esigue di dialoghi accompagnate da tanti, tantissimi rimandi a un passato oscuro e nuvoloso, rimandi che ben rappresentano residue presenze di un mondo destinato a scomparire e a essere dimenticato sotto le spinte dei nuovi nazionalismi.

Il protagonista del romanzo, il malaticcio tenente Kiekeritz sta morendo, lentamente, e ogni giorno, in maniera del tutto ossessiva, si misura la temperatura cercando nuove risposte alla sua definitiva condanna,  metafora di un’età e una cultura morenti. Viene così rappresentata la fine di quell’impero,  di quella cultura europea.  Il tenente è destinato inesorabilmente a morire, insieme al suo impero, austro-ungarico, lasciando dietro di sé solo storie e ricordi apparentemente lontani.

Andrzej Kuśniewicz è un autore dotato di uno stile sottile e complesso, quasi labirintico nella composizione della pagina, capace di adempiere perfettamente all’obbligo di chi vuol registrare la presenza della nostalgia dei tempi andati.  La caduta, nelle sue pagine, diventa un inaspettato splendore.

Questioni che appaiono attualmente scontate come, ad esempio, il tema della nazionalità, rappresentarono un enigma per questo grande scrittore che era polacco, scriveva in polacco, e pensava in polacco ma che fu chiamato a interrogarsi sull’identità della sua nazione: Galizia orientale ucraine, Galizia occidentale polacca, Russia, Austria e Polonia,

Lo scrittore polacco nacque  lì, dove le nazionalità sembravano mutare anno dopo anno, trascinate dalla fine di imperi morenti. Ma l’essere, l’azione stessa, è qualcosa che delinea nettamente, che ha scolpito le narrative pagine esistenziali di questo autore ormai troppo scomodo per essere apprezzato.  Per tutta la sua vita  “è” sempre stato qualcosa, presente e coinvolto, in aperto contrasto con il passato decadente da lui descritto.

Si può quindi dire, senza ombra di dubbio che lui “era” lì quando rispondeva all’appello dei suoi genitori che chiamavano un bambino ebreo nella Galizia polacca.  “Fu” anche  presente anche quando venne chiamato a combattere i nazisti  in Polonia prima e in Francia poi.  Da “essere” umano soffrì inoltre la terribile esperienza del campo di concentramento di Mauthausen, per essere chiamato ancora una volta a rispondere presente ai suoi doveri, come diplomatico  polacco della Polonia del dopoguerra poi.

Kuśniewicz è stato uno scrittore errante, un immigrato, un soldato, un prigioniero, un diplomatico, un poeta e un romanziere. Stranamente è stato molte cose ma non è una figura di culto perché dal 1953 collaborò con il Ministerstwo Bezpieczeństwa Publicznego. Nel 1960 venne registrato come Andrzej, informatore.  Dopo gli eventi del marzo 1968 denunciò, specificatamente, colleghi scrittori e giornalisti ebrei che stavano progettando di abbandonare la Repubblica Popolare Polacca. 

Inevitabilmente la sua figura, come scrittore, venne dimenticata e abbandonata e lui fu sconfitto da quella storia che l’aveva sempre visto protagonista da una parte o dall’altra, dalla ragione e dal torto.

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Lituania, l’analisi dell’intelligence baltica

La pandemia come argomento, ispira curiosità, paura e ansia … portando ad abbassare la soglia di cautela su altri argomenti, questo è quanto si può evincere dal rapporto prodotto da Vilnius in merito alla situazione attuale. .

Secondo l’intelligence lituana la Cina e la Russia stanno cavalcando l’onda pandemica per aumentare il loro potere a livello internazionale. Sia Pechino che Mosca hanno intensificato la sorveglianza, obbligando i propri cittadini a caricare i loro dati personali, come le cartelle cliniche e la cronologia dei viaggi, in app governative, offrendo in cambio una libertà di movimento controllata e limitata dal crescente impiego di software di riconoscimento facciale.

A tutto ciò si deve aggiungere l’uso dei vaccini, diventati un vero e proprio strumento geopolitico, indirizzato ad influenzare Africa, Asia e America Latina.

Mosca nega da sempre il fatto che lo Sputnik sia un elemento “geopolitico” , anche se il vaccino ha svolto un ruolo nella crescente crisi politica della Slovacchia, dove ha portato il primo ministro Igor Matovič ad annunciare le sue dimissioni dopo che le altre forze politiche si sono opposte all’ acquisto  del vaccino di fabbricazione russa.

La Lituania è “fermamente convinta che solo i vaccini autorizzati [dall’EMA] debbano far parte del certificato verde digitale”, ha detto Šatūnas. Secondo il politico che rappressenta la Lituania all’UE, riconoscere solo i vaccini autorizzati dall’EMA permette di aumentare la credibilità delle istituzioni europee e, allo stesso tempo, segnala il sostegno all’industria farmaceutica europea.

Nel frattempo il paese baltico ha dichiarato apertamente l’intenzione di aprire un ufficio di rappresentanza commerciale a Taiwan. Questa dichiarazione ha suscitato qualche malumore a Pechino. Il novo ufficio mirerà a rafforzare la diplomazia economica in Asia Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha detto che Pechino si è fermamente opposta alla decisione lituana.

Justice League Snyder’s cut: l’attesa stessa è stata una versione del regista

4 anni fa andai al cinema, da solo.
Era un lunedì.
Ero in un multisala di Cracovia, quello di Galleria Kazimierz, e scambiavo sms con Antonio, un altro Dc fan. L’attesa era grande.
Purtroppo ero già stato bruciato da Batman vs Superman visto in un cinema di Nizza Monferrato con Andrea, e mi chiedevo, la Justice League, avrà subito lo stesso trattamento?

Alla fine della proiezione, camminando lungo la Vistola, il fiume che bagna Cracovia, pronto a rientrare alla mia stanza mentre mi chiedevo: è tutto qui?

No, non mi riferivo a nessuna domanda sull’universo, su dove stiamo andando o cosa. Mi domandavo se fosse possibile avere tratto materiale tra le mani e uscire con una pellicola del genere. Non era di certo peggio di Batman vs Superman ma era quasi “divertente” nel senso marvelliano dei cinecomics. In pratica non aggiungeva nulla. Quindi perché mai la Dc voleva rischiare al cinema con quella roba?

Zack Sneyder aveva abbandonato il progetto in seguito alla scomparsa della figlia e in fretta e furia arrivò un altro regista che sì, forse fece il possibile, ma no, non aveva assolutamente capito nulla della Distinta Concorrenza.

Per qualche anno ho accantonato tutto ciò, dopo averlo aggiunto nel mio grande cassetto delle delusioni. Io sono un fan di Superman, quindi delle trasposizioni cinematografiche non ho molto di cui lamentarmi, mentre con il fumetto… Seguivo la Justice League dai tempi International, di Giffen e De Matteis, e ne conservo ancora un ottimo ricordo.

Nel frattempo ne è passata di acqua sotto i ponti, mai la stessa, e finivo con l’ andare accompagnato al cinema a vedere i film Marvel che incassavano tanto al botteghino successo dopo successo e forse, mi dicevo: è tutto qui… nella vita non si può avere altro ed ero pronto a rassegnarmi di vivere nel declino della società dell’entertainment dove tutto deve sempre e solo divertire.

Poi successe qualcosa, cominciarono i rumor e arrivarono i teaser. Messaggi, addirittura striscioni nei campi di calcio inglesi: Rilasciate la Snyder Cut! Chiedevo ad Antonio, ma allora la fanno? Prima o poi.
Succede quindi che nel 2021 l’evento più democratico degli ultimi 4 anni sia proprio il rilascio della Snyder Cut perché è stata chiesta a gran voce e, democraticamente, i fan sono stati accontentati.

Oggi, trovare 4 ore e 20 da dedicare a un film non è cosa da poco. La zona rossa mi aiuta. Costretto a casa, scrivo l’ennesimo messaggio: Anto, oggi provo, ci sentiamo tra 4 ore. Non c’era bisogno di dire altro.

Il film inizia con la morte di Superman e non poteva essere altrimenti. In fondo riprende quella porcheria di Batman vs Superman. Penso ai 10 dollari dei due caffè a Metropolis e passo al sacrifico delle amazzoni. Una delle scene che non sfigurava troppo nel primo film. Mi accorgo che incomincio a paragonare, a cercare riferimenti e mi fermo quando ritrovo History of the Dc Universe, il volume di Wolfman e Perez chiamato a dare un senso al multiverso stroncato post Crisis. Snyder ha fatto i compiti, gioisco, Snyder ha studiato, Snyder è uno di noi!

Il film scorre, i personaggi che erano stati accantonati nella prima versione qui trovano una nuova vita, Flash su tutti. Non apprezzo ancora la scelta giovane, ma tant’è. Da Flash a Flashpoint ci vuole un passo e non voglio spoilerare troppo ma Barry Allen finalmente trova un suo contesto, un suo ruolo, un suo destino eroico e non è più la brutta copia dell’Uomo Ragno giovine dei Vendicatori che ci era stato proposto 4 anni fa.

Arrivano anche i Nuovi Dei di Apokolpis con Darkseid che trova la materia anti vita. La Legione dei Super eroi! Mi aspetto anche loro ma sarebbe chiedere troppo, così ecco J’onn J’Ozz consolare Lois Lane e mostrarsi alla fine del film che, per fortuna, non ruota più intorno al ritorno del figliol prodigo. Superman è importante ma non così decisivo come 4 anni fa. In quel film ci si chiedeva: ma a che serve la lega della giustizia se Superman picchia tutti in 5 minuti?
Già, manco fosse un Hulk intelligente.
Quella versione della Justice League era una brutta copia degli Avengers e questo fu il grande errore.

Zac Sneyder ha una visione tutta sua, cosa da poco in questo mondo copia incolla, e conosce benissimo il significato della parola epico. Così la sua “Cut” è epica. Trionfale nelle inquadrature, imponente nella musica e nelle scelte. Ci vuole coraggio a riproporre una pellicola sputtanata 4 anni fa. In un mondo che poi guarda solo al profitto pensare che 4 fan, ok, un po’ di più, siano riusciti nell’impresa di far completare questo film è qualcosa come “l’amore che muove il sole e le altre stelle”.

Ho quindi trepidato per Diana, Gal Gadot sarà, purtroppo per lei, legata al personaggio di Wonder Woman. Lei è l’amazzone e speriamo che Hollywood sappia perdonarle questo peccato e non la releghi sono in questo ruolo. Che dire di Bruce… certo Affleck è un Batman di montagna, che potrebbe rendere bene nella trasposizione di Red Son.

Ho già scritto due pagine e non me ne ero accorto. Che dire, il tempo è voltato da quei teaser lanciati su Youtube accompagnati dall’Hallelujah di Leonard Cohen commentati con Antonio come la solita canzone stra usata. Poi dopo 4 ore e 20 e un’ultima mezz’ora di girato quasi inedito, tra cui il Joker di Leto, ecco partire Hallelujah sui titoli di coda. Nessuna scena extra. Solo la canzone e i titoli di coda come il cinema di una volta. Finisce tutto e appare una scritta: “A Summer”. Ecco, il padre che dedica quel film che non era mai riuscito a finire alla figlia scomparsa. E questo è. La Snyder Cut è un atto d’amore durato 4 anni, toccante, come l’amore di un padre per una figlia scomparsa troppo presto. E allora, Antonio, che dire, qui, Hallelujah di Cohen calza proprio a pennello, in tutto il suo senso epico, dove Snyder è riuscito a far passare la stessa acqua sotto i ponti.