“Anche Whatsapp ha più emozioni di me”

Tempo fa su Facebook avevo inaugurato una rubrica intitolata “il mio cellulare ha una vita sociale io no” dove riportavo “amabilmente” i messaggi improbabili ricevuti dalle mie ex. Il titolo, in realtà,  è presto spiegato: tendiamo a comunicare troppo in maniera digitale e poco dal vivo. Ora per una variante di questa rubrica “Anche Whatsapp ha più emozioni di me” riporto un messaggio ricevuto a proposito di Balla Juary :

juary

 

“Madonna la zia giallorossa e il nonno abbonato in tribuna. Quel capitolo non lo ricordavo così bene….ci sono dei passaggi spettacolari che riletti oggi li trovo ancora più efficaci:) Terrone per i nordici, polentone per i meridionali… la partita con gli amici immaginari mi ha strappato un sorrisone alle 2 di notte”

 

Tutto ciò potrebbe, forse, diventare altro…

 

Narrativa del terremoto/1

Per questa estate, qui su Fabioizzo.wordpress vi terrà compagnia la narrativa del terremoto. Tema centrale di questo special estivo sarà proprio il terremoto, quello dell’Irpinia, raccontato alla mia maniera dalle pagine dei miei “Eco a Perdere”, “Balla Juary” e in maniera inedita…si comincia:

Nelle versioni ufficiali, quelle raccontate dalle petulanti voci dei media e quelle stampate, tanto frettolosamente quanto ufficialmente in nero su bianco dei libri di storia, è permesso usare e menzionare il termine Sisma.
Contrariamente a quel che avviene all’interno della mia famiglia.
Per intenderci, da noi, tra le mura agitate della nostra casa, sisma non vuol proprio dire un emerito cazzo.

Pensate alla seguente equazione:
“Sisma uguale media terremoto uguale memoria”.

Dovete sapere che il sisma non esiste proprio.

C’è invece da sempre o da tempo immemore IL Terremoto.

Se volete farvi intendere, qui da noi,  dovete usare la parola:
Ter-re-mo-to!

Allora sì che avrete raccolto e destato la nostra attenzione.

Così come nella lingua napoletana “La stagione” è una sola ed è l’estate, ecco che il Terremoto divenne la nostra lingua e tutto quello che accadde dopo (nella nostra storia) un filamento di Dna nel nostro tessuto familiare.

A volte non c’è nemmeno bisogno di usare il sostantivo, basta solamente usare un aggettivo; appunto…quello.

Quello degli anni 80, quello dell’Irpinia che ha scavato nelle vene e sulle facce di nonni e zie i segni inequivocabili di un destino di sopravvivenza.

Quello che prima era e quello che dopo, tutto non sarebbe più contato allo stesso modo.

Fu come se il 23 novembre 1980 smise di essere un giorno del calendario, di essere una data per abbandonare la dimensione temporale e per andare a trasferirsi disastrosamente in quella spaziale, diventando un crocevia tridimensionale di sconfitte .

Tra quei 2.914 morti, fortunatamente e casualmente, non ci fu nessuno compreso nella cerchia dei miei familiari e forse anche per questo motivo fu così che il terremoto divenne una serie di racconti, un patrimonio generazionale tramandato di bocca in bocca e che forse, solamente ora trova, il suo spazio nel mondo della scrittura.

Mentre la terra tremava e il mondo si capovolgeva le persone erano assorte nelle loro esistenze.

La memoria di quel mondo è nata e si è sviluppata poi nel post terremoto.

Faccio fatica, anzi non ricordo assolutamente nulla di com’era o di cosa c’era precisamente in quel mondo prima del Grande Disastro.

Tutto quello che ho potuto ricostruire è come Quell’evento influenzò la società, il suo modo di vivere e la lingua  parlata di quella piccola e rivoltata comunità contadina.