Attualmente sto lavorando su un libro che dovrebbe intitolarsi “To Jest”, ma eccovi un piccolo assaggio:
Ci si innamora sempre di odori, sapori e sensazioni. Gabbie sensoriali costruite per intrappolare attimi. Collezioniamo ricordi chi più chi meno, o almeno ci proviamo. Non possiamo impedire alla vita di andare avanti, possiamo però sbrindellarne il tessuto e tenerci nelle nostre tasche vuote i secondi più preziosi.
L’estate polacca diffonde sempre un qualcosa di tragico durante le sue ultime uscite di scena della stagione, come quell’attore in un dramma di Beckett o di Kantor che avevo visto all’una di notte in una replica sulla televisione nazionale.
Chissà che altri parti avrà recitato, quali altri grandi ruoli avrà ottenuto.
La malinconia è il soggetto preferito di troppe mie inquadrature, non so, sarà per via della polverosa danza del vento che sbatte e percuote il tappeto del crepuscolo, illuminato dai raggi solari, che profuma di sale, di mare, di lacrime, di nero, di bianco e della decadenza ampliata del colore.
L’estate, qui risulta un unico lungo addio destinato a ripetersi nelle vite d’ abitudine, congelate dal mesto vivere di sempre, laico e profano, ininterrotto nel suo libero scorrere.
Le ultime gocce distillate della stagione vengono raccolte nel fazzoletto che asciuga la fronte di quell’uomo incurante di tutto quel che gli succede attorno ma che si preoccupa solo di passarmi alle spalle, frettoloso com’è, nell’attesa di un altro rassicurante inverno.
Le luci accese irrompono sempre più tardi sulla scena e il mondo sembra scorrere ignorante e giocondo dentro le riproduzioni artefatte di se stesso.