Julian Tuwim, polacco, ebreo: poeta

“Al cimitero di  Łódź
Il cimitero ebraico, si erge
La tomba polacca di mia madre
La tomba di mia madre ebrea.”
Matka (Madre)

 

Al suo ritorno in Polonia, Tuwim fece trasferire il corpo sepolto di sua madre da fuori Varsavia nel cimitero ebraico della sua città natale, Łódź.  La strofa iniziale del suo poema “Matka” (Madre) sancisce l’inseparabilità di Identità ebraiche e polacche. Attualmente, in Polonia la sua proclamata ibridità e la sua ostilità nei confronti dell’etnazionalismo autoritario viene omessa, se non addirittura dimenticata mentre  nel mondo ebraico l’eredità di Tuwim è praticamente inesistente. Sembra che il suo innato amore per la lucidità possa essere davvero troppo scoraggiante per tutti.  Julian Tuwim nacque a Łódź, 13 settembre 1894, città descritta da Wajda in un suo film al pari di una terra promessa polacca, è nota da tempo, nella narrativa nazionale, come centro urbano cosmopolita, tanto da arrivare a meritarsi l’appellativo storico di “città delle quattro culture”:  polacca, ebraica, russa e tedesca. La poesia di Tuwim è stata un appello alla diversità, al pluralismo e al multiculturalismo.

La mia patria è la lingua polacca

Componendo in lingua polacca, Tuwim fu il poeta contemporaneo più letto nel periodo tra le due guerre del paese (1920-1930). Ancora oggi in Polonia sono molto apprezzati i suoi versi dedicati ai bambini (in particolare “Lokomotywa ” [Il treno]) e la sua padronanza poetica della lingua è riuscita col passare del tempo a conquistare il cuore delle successive generazioni di polacchi tanto che nel 2013 fu battezzato dal parlamento come l’ anno di Julian Tuwim.  Attualmente la sua statua troneggia sulla strada principale di  Łódź . Sono invece decisamente meno ricordate in Polonia le sue riflessioni poetiche sull’ etno-nazionalismo, sull’ autoritarismo, sull’ antisemitismo e sull’olocausto. Eppure in vita, Tuwim si è espresso diverso volte sulle possibilità e sulle difficoltà delle relazioni polacco-ebraiche durante il XX secolo. Precursore di tempi, lui stesso desiderava essere un vero ebreo polacco e voleva esser rispettato e accettato per entrambe le identità.

“La mia patria è la lingua polacca“, scrisse, cresciuto in una casa ebraica di lingua polacca, Tuwim è stato uno dei primi luminari letterari ebrei polacchi a scrivere in polacco per un vasto pubblico nazionale; come lo scrittore Bruno Schulz, Henryk Goldschmidt, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Janusz Korczak, lo scrittore Alexander Wat e il poeta Antoni Slonimski. La grande popolarità di Tuwim suscitò denunce da parte di critici etno-nazionalisti polacchi che lo accusarono di essere “culturalmente alieno in Polonia “, queste parole furono definito da Maurycy Szymel, anch’egli poeta ebreo-polacco,  “un pogrom contro il diritto di Tuwim alla letteratura polacca “.

 

“Sono Polacco perché così mi fu detto nella mia casa paterna, perché fin dalla più tenera età sono stato nutrito con la lingua di quel paese, perché mia madre mi ha insegnato poesie e canzoni polacche, perché la poesia che mi ha folgorato per la prima volta è stata quella polacca, perché ciò che nella mia vita ha avuto più importanza, la creazione poetica, per me resta impensabile in qualsiasi altra lingua, perfino in quella che io posso parlare alla perfezione.
Sono Polacco perché in polacco ho confidato i turbamenti del mio primo amore, perché in polacco ne ho balbettato le gioie e le bufere“.

Scrivendo in un’epoca e in un luogo dalle identità fortemente monolitiche, Tuwim volle riappropriarsi delle identità ebraiche e polacche.  Nel 1924 il poeta dichiarò in un’intervista: “Per gli antisemiti sono ebreo e la mia poesia è ebrea. Per i nazionalisti ebrei, sono un traditore e un rinnegato ”Tuwim voleva una Polonia più inclusiva da una parte e una maggiore integrazione ebraica in Polonia dall’altra. I suoi punti di vista e le sue posizioni erano apparentemente incompatibili –  si presentava come campione della cultura polacca ma allo stesso tempo era molto critico con l’etnazionalismo polacco;  prendeva distanza dalla cultura ebraica ma era un nemico letterario dell’antisemitismo; fermamente anti-autoritario.
Senza ombra di dubbio il principale contributo di Tuwim alla letteratura polacca è stato anche il suo principale elemento distintivo cioè l’ uso inventivo ed espressivo della lingua. Czesław Miłosz,  vincitore del Premio Nobel per la letteratura,  lo descrisse come un “virtuoso del lirismo” mentre Il critico letterario Roman Zrebowicz si è soffermato sulla padronanza linguistica del poeta ebreo polacco di Łódź , qualità che ha reso le sue opere davvero uniche: “Tutta la poesia di Tuwim ha un odore estatico come una foresta. Ogni verso ha il suo aroma particolare. ”

Tuwim ha però pagato un prezzo elevato per il suo attaccamento alla Polonia. Gli attacchi alla sua scrittura si intensificarono negli anni ’30.  Dopo l’invasione della Polonia nel 1939, Tuwim si rifugiò a ovest a Parigi, e poi in Brasile, prima di trascorrere la maggior parte degli anni di guerra a New York. Nel 1940 durante il suo esilio in Brasile scrisse un lungo riflessione poetica intitolata “Fiori polacchi” pervasa da una lunga malinconia per la distanza dalla patria denunciando  l’antisemitismo prevalente nella Polonia della Seconda Guerra Mondiale. Julian Tuwim era un alieno incapace o non disposto a staccarsi dalla sua identità ebraica. L’esilio e la diaspora, a suo dire, avevano reso gli ebrei un popolo perduto perduto. Il suo poema del 1918 “Ebrei”, scritto all’età di 24 anni, descrive gli ebrei come “persone che non sanno cosa sia una patria / Perché hanno vissuto ovunque … / I secoli hanno inciso sui loro volti / Le linee dolorose della sofferenza”. Come molti dei suoi contemporanei ebrei letterari e intellettuali in Polonia e in tutta Europa, Tuwim credeva che il futuro ebraico dipendesse dalla pari cittadinanza nel loro paese di nascita.

Nel secondo anniversario dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia, Tuwim pubblicò angoscianti versi dell’Olocausto. Il suo attaccamento all’ebraismo fu una solidarietà di sofferenza. La persecuzione e il genocidio ebraico intensificarono i legami di Tuwim con l’ebraismo che si dichiarò ebreo a causa del “sangue di milioni di innocenti assassinati … Mai dall’alba dell’umanità c’è stata una tale piena di sangue martire”.

Nel 1946, insieme alla moglie, tornò a vivere definitivamente in Polonia perché credeva che una Polonia sotto la tutela comunista potesse offrire una migliore protezione per gli ebrei. Nel 1947, i coniugi Tuwim adottarono un’ orfana ebrea di Varsavia.  Fino alla fine, polacco ed ebreo, identità accomunate all’interno di questa grande anima poetica fino al 1953 insieme. La Polonia si è concentrata sulla lingua di Tuwim, trascurando l’anima di un di poeta che voleva “trarre sangue con la parola”.  Un titolo del 1974 di The Forward (טעגלעכער פֿאָרווערטס) descrisse Tuwim come “il più grande poeta ebreo” del secolo. Oggi però Tuwim resta in gran parte dimenticato nel mondo ebraico nonostante sia stato il primo grande poeta ebreo a commentare  l’Olocausto,

 

Ma allora perché ‘Noi, EBREI?’ – Vi risponderò: ‘A CAUSA DEL SANGUE’ – E allora è razzismo?! – No, non è affatto razzismo, anzi esattamente l’opposto.
Il sangue può essere di due tipi: quello che scorre nelle vene e quello che ne sgorga fuori. Il primo è una linfa corporea che in quanto tale dev’essere oggetto di studio da parte dei fisiologi. Chi invece a quel sangue attribuisce degli aspetti particolari, diversi da quelli organici, vi scorge dei poteri misteriosi -come vediamo bene oggi- condanna inevitabilmente le città alla distruzione, al massacro milioni di persone […] Il secondo tipo è proprio quello che quel capobanda del fascismo internazionale stilla all’umanità per provare la superiorità del suo sangue sul mio. È ill sangue di milioni di innocenti massacrati […] il sangue degli Ebrei (e non “il sangue ebraico”) scorre oggi in alvei più ampi e profondi“.

 

Il Nobel di Olga Tokarczuk è come lo scudetto dell’Inter: nessun ricorso per Philip Roth

Ho smesso di credere ai premi anche se, in maniera ipocrita, come dice il buon Neruda ne il Postino: ” Se me lo danno, non lo rifiuto”. Qualcosa di simile l’ho sentito dire tempo fa anche ad un altro poeta candidato al premio Nobel… perché ingiustamente, la carriera di uno scrittore è fatta agli occhi dei più dai premi. Non importa altro. Perché i lettori, grave colpa, sono sempre più distratti. Succede così anche con il Premio Nobel che, dopo Bob Dylan, è ormai finito in corto circuito esistenziale, perdendosi, premiando a caso, solo per puntare l’indice sempre lì dove la letteratura si fa sberleffo della politica. Sembra che questa particolare attitudine letteraria a Stoccolma piaccia molto, vedi il nostro Dario Fo. Così anche il premio della Tokarczuk segue queste caratteristiche. Un premio che purtroppo arriva sminuito dal pasticciaccio degli scandali sessuali, dalla non assegnazione del titolo 2018 e assegnato in seguito solo dopo ripensamenti vari per salvare il salvabile e lavarsi la faccia. Pensavo che queste cose potessero accadere solo qui da noi, in Italia solo con gli scudetti della Juve e i ricorsi dell’Inter, ma purtroppo capita anche nel mondo della Cultura, quello con la c maiuscola e, amici miei, c’è molto poco da essere felici.

 

 

In realtà seguo questa scrittrice da tempo, la Tokarczuk mi è sempre piaciuta, salvo gli ultimi due scivoloni, personalmente non ho apprezzato i suoi ultimi lavori ma tant’è a qualcun altro son piaciuti e molto, questo l’importante. L’impressione mia è che a Stoccolma piace così tanto prendere a schiaffi i politici dell’Est Europa che ormai prova a farlo ogni volta che può. Successe in passato, succede ancora oggi. Le elezioni polacche, il partito governante che è sia nazionalista che patriota e molte altre cose ancora che non si possono dire e così via. In gioco c’è un Nobel in sospeso, qualcuno si potrebbe ricordare di Philip Roth, morto nell’ anno non assegnato, o puntare non so, su un Claudio Magris che non a politica o un Murakami e un Neil Gaiman che fanno felici i loro lettori. Gli accademici svedesi, con tanto di accento, puntano però sempre a essere snob e a rompere le uova nel paniere degli altri, così ecco il risultato annuale. Politicamente corretto, dove quello che conta è la prima parte di Politicamente

 

 

 

Ma davvero l’Europa sta cercando di fermare il fenomeno dell’emigrazione?

Quintuplicato in soli cinque anni. Stiamo parlando del numero di cittadini ucraini che ha scelto di lasciare il paese natale per trasferirsi in Polonia. Infatti a partire dal 2014 ad oggi si è passati dai 300000 ai 1,5 milioni di cittadini ruteni che hanno deciso di andare a vivere e di registrarsi ufficialmente al di là della sponda occidentale del fiume Bug.

Di questo passo l’Ucraina vedrà ridotta la sua popolazione del 18 % ma già adesso il paese è costretto ad affrontare i primi problemi di spopolamento. Nel municipio di Mostyska, a 15 chilometri dal confine con l’Unione Europea, non si trovano più operai ed è diventato impossibile effettuare i lavori di riparazione del comune. Gran parte della popolazione locale vive da “frontaliera” e sono molte le autolinee che quotidianamente fanno spola da una parte all’altra. Attualmente a Varsavia, Cracovia e nelle principali città polacche campeggiano cartelloni pubblicitari con slogan in cirillico. Il marketing locale della telefonia mobile e della Western Union è molto attento a  intercettare l’interesse e le esigenze di una nuova clientela che, numericamente, cresce giorno dopo giorno.

 

“L’Ucraina vive da tempo una situazione difficile e delicata, da oltre cinque anni è ferita da un conflitto che molti chiamano ‘ibrido’, composto com’è da azioni di guerra dove i responsabili si mimetizzano; un conflitto dove i più deboli e i più piccoli pagano il prezzo più alto, un conflitto aggravato da falsificazioni propagandistiche e da manipolazioni di vario tipo, anche dal tentativo di coinvolgere l’aspetto religioso”. Così ha descritto la situazione ucraina Papa Bergoglio nel recente incontro tenutosi in Vaticano con i membri della Chiesa greco-cattolica.

 

A Kiev la situazione resta incerta, la quotidianità appare poco rassicurante e i suoi cittadini si riversano nell’Unione Europea, entrando  proprio dalle porte dei “duri e puri” di Visegrad . La politica polacca, da sempre contraria nell’aprire a quote di accoglienza per i rifugiati siriani, ha fatto del suo NO  all’immigrazione uno dei punti caldi delle recenti campagne elettorale, insieme all’antisemitismo e alla discriminazione LGBT. Nonostante questa grande paura dell’altro il governo di Varsavia si è sempre decisamente impegnato ad agevolare il flusso migratorio ucraino. L’economia nazionale viaggia a gonfie vele ma i giovani preferiscono abbandonare le campagne per andare a cercare fortuna nelle metropoli dell’ Europa Occidentale, creando un gap di forza lavoro. Così a rimpiazzare i vari Tomek e Marcin che hanno abbandonato le periferie di Lublin e Sczesczin, sono arrivati gli immigrati bianchi e cattolici, sotto l’inflessibile occhio vigile di Berlino. La rivoluzione del Maidan ha affossato l’economia e un’intera generazione di ucraini ha scelto, più o meno liberamente, di andare a vivere in Polonia. La maggior parte di loro è impiegata nel settore edile, nei trasporti, nell’agricoltura, nei servizi e nelle fabbriche ma, secondo un rapporto del consolato ucraino di Varsavia, esiste anche una percentuale, seppur esigua di ucraini impiegati nel settore del’ IT, nel terziario e nella medicina.

 

Generalmente, salvo qualche sporadico episodio di violenza, la convivenza tra i due popoli resta calma, anche se non si può ancora parlare di “integrazione”.  Per cultura, lingua  e religione i due popoli  sono simili, ma non uguali. Continua però ad aumentare  nei sondaggi il numero di polacchi che accusa il proprio  governo di voler creare problemi accogliendo così tanti ukraiński . Per i partiti nazionalisti di Varsavia, questa politica salva economia è un palliativo a breve termine destinato solamente a creare problemi in futuro.

Non esistono ghetti ucraini nelle città polacche, ma si inizia a parlare di una ghettizzazione orizzontale perché gli ucraini vivono nella loro comunità, negli spazi sociali duramente conquistati, così l’immigrato non frequenta attività commerciali gestite da locali ma sceglie di andare in bar, saloni per le unghie e fruttivendoli di connazionali.

 

Diversi ucraini sono sotto pagati o lavorano in nero. Basta leggere la cronaca locale dove si trovano sempre più notizie simili a quella di Nowy Tomyśl, città della Polonia occidentale, nel Voivodato della Grande Polonia. Qui, un’imprenditrice è stata condannata a 5 anni di reclusione per avere abbandonato nella foresta il corpo senza vita di un suo dipendente ucraino. Secondo il rapporto della polizia il lavoratore ha perso i sensi durante il turno lavorativo. I colleghi presenti hanno avvisato la proprietaria che, una volta appresa la notizia, ha proibito ogni richiesta di soccorso, mandando tutti a casa. Lei stessa ha poi provveduto ad abbandonare il cadavere del suo dipendente nel bosco. Sembra invece uscire dalle pagine de “Gli amanti dell’orsa maggiore” di Piasecki, la seconda notizia di cronaca riguardante il contrabbando, in questo caso di sigarette, commercio ancora in salute tra i due paesi. La guardia di frontiera ucraina nei pressi di Volyn, località nota per lo storico massacro, ha fermato un veicolo trasportante 194 scatole, 97,000 pacchetti di sigarette, tutti sprovvisti dell’etichetta del monopolio. I controlli ci sono, ma è necessario un maggiore impegno dell’UE nel salvaguardare i propri confini orientali.

 

A Leopoli, città dell’Ucraina occidentale, si trovano cartelloni pubblicitari dedicati a chi cerca lavoro in Europa, ma anche su Facebook, cresce il numero dei gruppi tematici dedicati,come ad esempio Работа в Польше | Praca Polska | Виза в Польшу | Вакансии в Польше (lavorare in Polonia) . La generazione che ha abbandonato l’Ucraina è russofona, ma ha il vantaggio di poter imparare il polacco, passando dalla lingua rutena, idioma slavo molto simile alla lingua polacca.

 

I rapporti tra i due paesi non sono sempre amichevoli. Restano vive le discussioni riguardanti i fatti di Volyn del 1943-44. Nel 2016 il sejm, il parlamento polacco, ha adottato una risoluzione riconoscente come genocidio l’omicidio di massa dei suoi cittadini da parte dei nazionalisti ucraini dell’UPA. Questo massacro è stato cruentemente rivisitato nei cinema polacchi, ma “il nemico del mio nemico è mio amico”. Così, vista la vicinanza con l’ingombrante Russia, si può ben capire il perché di questa nuova amicizia forzata. La politica estera polacca si dimostra imprevedibile quanto schizofrenica, stretta com’è tra disparate alleanze internazionali che Varsavia crea e disfa a seconda delle necessità del momento. Dialoga con tutti quando c’è da chiedere e si nega quando c’è da dare, vedi i temi ambientali europei. Ulteriore esempio di questa sua tendenza schizoide è la lettera scritta insieme a Israele e inviata ufficialmente al sindaco della città di Ivano-Frankisvsk,. Una protesta ufficiale contro il monumento eretto a Roman Shukhevych. Notoriamente i due paesi parlano di raro un linguaggio comune ma stavolta hanno deciso di fare fronte comune contro l’Ucraina. La lettera scritta in inglese secondo Vyatorovych, avvocato e storico ucraino dell’Upa, è formalmente russa. A suo dire Polonia e Israele si sono alleate contro Kiev, mettendosi al servizio della propaganda russa.

 

Recentemente la Germania, nazione che quando viene interpellata in merito a navi, porti e sbarchi nel Mediterraneo, spesso e volentieri, rimanda tutto le decisioni all’UE,  ha  cambiato le regole del suo mercato interno del lavoro. Le nuove modifiche facilitano notevolmente i rapporti  con l’ Ucraina, agevolando burocraticamente l’arrivo dei lavoratori provenienti dal paese ex sovietico. Secondo l’osservatore finanziario della banca centrale polacca, potrebbe esserci un drenaggio di lavoratori ucraini in Germania pari al 20-25%,  percentuale che equivale allo 0,9% del prodotto interno lordo.

Varsavia teme che i “suoi” ucraini” preferiscano Berlino per via dei salari più alti e delle migliori condizioni lavorative  ma per ora tra Lublino, città della Polonia orientale, e la capitale ucraina, si svolgono 17 corse giornaliere di autolinee. Flix Bus, azienda tedesca specializzata in viaggi low cost in autobus, ha già assorbito Polski bus e ora si sta rapidamente espandendo a Est, al di là dei confini dell’UE. L’azienda a capitale tedesco ha da poco aperto un ufficio a Kiev e ha annunciato collegamenti da e per Colonia, Rostock, Karslruhe, Stoccarda e Vienna, ma molto presto altre città come Kharkiv, Dnipro, Odessa e Lviv saranno interessate. Lo sradicamento e lo spostamento di persone sembra essere un business che funziona sempre al di là delle frontiere interessate.

 

 

C’è del gas in Danimarca, Trump marcia in Polonia e a Copenaghen

C’è un paese che inculca subito il principio del dubbio, parliamo ovviamente della Danimarca.
Perché il presidente americano, novello Amleto, ma senza teschio ha deciso di andare a visitare il piccolo stato nord europeo? Visita tra l’altro che va ad aggiungersi a quella già in programma a Varsavia, per le prossime celebrazioni dell’anniversario del tragico scoppio della IIGM. Qual è il vero motivo che si cela dietro questi due viaggi? Mister Donald  arriverà in Europa per cercare di dare scacco alla Russia sul mercato del gas. L’amministrazione Trump e il Congresso degli Stati Uniti stanno cercando di bloccare il progetto North Stream 2 temendo che la sua realizzazione possa rendere gli alleati della NATO e gli altri paesi europei troppo dipendenti dall’energia russa. Il secondo North Stream è un imponente gasdotto lungo 1.220 chilometri che parte da Leningrado e arriva Lubmin, nella Germania settentrionale ed è destinato a raddoppiare le importazioni tedesche di gas naturale russo. Secondo il governo americano questo progetto porterà la Germania a essere “ostaggio” della Russia. Lo ha dichiarato lo stesso Trump nella riunione tenutasi lo scorso 12 giugno a Washington con Andrzej Duda, presidente polacco. Gli Stati Uniti hanno inoltre avvertito le aziende che aiutano Gazprom a costruire il gasdotto che potrebbero essere soggette a sanzioni. In passato già due amministrazioni a stelle e strisce, quelle di Kennedy e di Reagan, avevano provato senza riuscirci a intralciare la costruzione da parte del Cremlino dei gasdotti Druzhba e Bratsvo. Trump inizierà questo suo tour europeo visitando la Polonia dal 31 agosto al 2 settembre e poi si recherà in Danimarca, il cui governo non ha ancora autorizzato la Russia a costruire la tratta dell’oleodotto che attraverso le acque di sua competenza. Mosca spera di completare il progetto entro l’anno, ma tale tempistica dipende dalle future decisioni danesi. La Danimarca potrebbe però andare incontro a eventuali sanzioni statunitensi. L’interesse degli Stati Uniti nei confronti della Groenlandia va letta seguendo le intenzioni di questo piano di disturbo nei confronti delle mosse di Putin. Il governo di Washington è da sempre molto interessato alle risorse naturali groenlandesi, ma non disdegna nemmeno la posizione strategica che questo distaccamento danese andrà ad assumere in futuro nello scacchiere della geopolitica mondiale. A causa dello scioglimento dei ghiacciai si sono qui rese accessibili zone che in passato non erano vantaggioso sfruttare economicamente. Diversi studiosi ritengono  poi che in questa area dell’oceano Artico si trovino le maggiori riserve inviolate di petrolio e di gas naturale. Inoltre il riscaldamento globale ha fatto sì che il ghiaccio da queste parti non rappresenti più un ostacolo insuperabile per il passaggio dei cargo lungo le rotte polari. Fino a qualche anno fa queste rotte erano aperte solo in estate, ma oggi non è più così.  Il controllo del “Passaggio a Nord-ovest” si trova  quindi ora al centro degli interessi della grandi potenze mondiali. La Russia, vista la sua posizione, ne controlla una buona parte e l’America non vuole assolutamente essere tagliata fuori. Trump incontrerà a Copenhagen il primo ministro Mette Frederiksen e parteciperà a una cena di stato della regina Margrethe ii il 2-3 settembre. L’incontro, molto probabilmente, avrà l”’affare” Groenlandia  come protagonista, territorio dove gli Stati Uniti hanno costruito diverse basi militari e stazioni meteorologiche a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Attualmente questo distaccamento grava sul bilancio annuale del governo danese per circa 457 milioni di euro. L’idea della compravendita groenlandese non è però niente di nuovo, già nel 1946 Henry Truman cercò di impostare una compravendita tra le due nazioni sulla base di circa 100 milioni di dollari. Storicamente c’è poi da segnalare che gli Stati Uniti acquistarono proprio dalla Russia l’attuale stato dell’Alaska. Era il 30 marzo 1867 e Trump vorrebbe entrare nella storia del suo Paese come il presidente che ha aggiunto una stella alle 50 già presenti sulla bandiera americana.

La visita in Polonia

Il conflitto tra Iran e Stati Uniti ha notevolmente peggiorato la situazione della sicurezza sulla principale rotta commerciale attraverso lo stretto di Hormuz. Il governo di Varsavia che da tempo sta rafforzando la propria partnership con Wahsington, si è detto pronto a sostenere la missione militare guidata dagli Stati Uniti per proteggere le spedizioni nel Golfo Persico. “Sappiamo che la situazione richiede una risposta”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Jacek Czaputowicz in una recente intervista. Nello scorso giugno Duda, il presidente polacco, si è recato in visita negli Stati Uniti e durante il suo viaggio ha incontrato a Houston Rick Perry, segretario all’Energia, e i dirigenti delle più grandi compagnie petrolifere e del gas americane. La Polonia ha già iniziato a importare GNL (gas naturale) dagli Stati Uniti per ridurre la sua dipendenza dall’energia russa. Il governo polacco ha firmato un contratto da 8 miliardi di dollari per l’acquisto del GNL americano. Lo scorso anno Varsavia ha tagliato le importazioni di gas da Gazprom del 6 percento, ma attualmente la società statale russa copre ancora i due terzi del fabbisogno energetico polacco. Il contratto tra la Polonia e Gazprom terminerà nel 2022. Questa prossima scadenza permette quindi l’apertura polacca a rifornimenti energetici alternativi a quello attuale russo. Varsavia si è quindi decisamente unita a Washington nel tentativo di impedire a Gazprom di costruire il Nord Stream 2, il nuovo gasdotto che rafforzerebbe la presa del Cremlino sui mercati europei del gas.

Niente Germania

Dopo la Francia, dove è in calendario il prossimo summit del G7, la Polonia e la Danimarca, c’è da notare come non sia prevista nessuna visita ufficiale del presidente americano a Berlino. Mancanza che potremmo definire insolita. Al momento nessun alleato riceve più critiche della Germania da parte dell’amministrazione Trump, vedi anche la recente minaccia di spostare le truppe americane presenti sul territorio tedesco in Polonia. Trump ha già consigliato alla Germania di acquistare il GNL invece del gas russo. Il governo di Washington è molto critico nei confronti di Berlino che, a suo dire,  paga alla Russia miliardi di euro per le forniture di gas e allo stesso tempo si affida alla protezione militare degli Stati Uniti. In aggiunta la politica  tedesca ha severamente condannato la missione militare statunitense per proteggere le navi mercantili nel Golfo Persico. Ma gli Usa e  la Germania si scontrano politicamente anche su altri tavoli, come quello della protezione ambientale, degli accordi nucleari e sull’Iran. La differenza di vedute tra i due alleati è più grande che mai dal dopoguerra ad oggi, come dimostrano i prossimi viaggi diplomatici organizzati dalla Casa Bianca in Polonia e Danimarca, paesi che al momento dimostrano di essere maggiormente in sintonia con la visione politica di Trump. Infatti la Polonia raggiunge l’obiettivo prefissato del due per cento della NATO ed è considerata l’amica più fedele di Trump all’interno dell’UE. Varsavia si è dimostrata, non solo a parole, ma anche con i fatti  contraria allo sviluppo del Nord Stream 2 firmando contratti commerciali per il GNL. “Stiamo proteggendo la Germania dalla Russia e Putin sta ottenendo miliardi e miliardi di dollari dalla Germania “. Queste sono  le dichiarazioni rilasciate lo scorso 12 giugno dal 45º presidente degli Stati Uniti, in occasione del vertice polacco-americano. Il governo statunitense sta cercando in tutti i modi di bloccare lo sviluppo di Nords Stream 2, per privare la Russia di un reddito che potrebbe sovvenzionare le spese militari del Cremlino. Mosca, da parte sua, non è affatto contenta di questa opposizione americana. Igor Sechin, amministratore del gruppo petrolifero statale Rosneft e confidente di Putin, ha accusato gli Stati Uniti di  voler imporre sanzioni ai paesi produttori di energia, come Russia e Iran, per cercare di fare spazio alla sua crescente produzione di petrolio e gas.

 

A che serve avere inediti a Natale se non che per regalarli

Il giardino dell’Amarcord fa spesso sbocciare nella memoria ricordi che non sempre corrispondono al vero, ma che alla luce della disperazione dell’oggi sono ancora i più belli a cui possiamo aggrapparci.

La prima volta che la mia Polonia fece timidamente capolino nella sua vita era una sera di un lontano novembre del 1999. I numeri sono importanti, sopratutto quando cambiano i millenni e muoiono vecchie paure per dare vita a nuove speranze.

La lavatrice condominiale del palazzo finlandese l’aveva costretto a uscire. La mia Polonia gli si presentò davanti vestita di nero, quasi in lutto per essere appena stata mollata dal suo ragazzo. Cominciò a parlare con l’unica persona che in quel determinato momento, in quel locale finlandese, non stava parlando con nessuno: lui.

Di solito l’aspirante scrittore non era uno di molte parole. Taciturno, sentiva il suo destino cambiare. Piccole magie stavano avvenendo un po’ ovunque davanti ai suoi occhi. A quel pensiero irrazionale se ne contrappose uno molto più terra terra: avere ancora addosso dei vestiti troppo indossati stava tenendo lontano le persone da lui.

La mia Polonia appena mollata. Era stata abituata a ben altro nella sua storia ricca di eventi che lui, no, lui non conosceva affatto come accade a ogni uomo medio occidentale. Lei gli si presentò così, con la sua storia e il suo vestito nero. Ricorda ancora che all’inizio la confuse con la Repubblica Ceca che, qualche giorno prima di imbarcarsi per la sua avventura finlandese, aveva visto in una reclame per un torpedone turistico di mezz’età su qualche televisione locale piemontese. Non era uno che aveva viaggiato molto prima di quell’anno e il suo “provincialesimo”, altro termine che lui amava usare a mo’ di vezzo, si manifestò in tutta la sua interezza. Forse fu proprio il coraggio dell’essere provinciale a dar vita a tutto quel che venne dopo. Fu in quell’attimo esatto che si videro che tutto ebbe inizio. Un inizio per due finali diversi.

È difficile a dirsi se in cuor loro, o nel più remoto anfratto delle loro menti, potessero immaginare cosa sarebbe successo dopo. Lui. Lei. Loro. Noi. L’ineluttabilità degli eventi, in fondo, è così.
Qualcuno ti mette al mondo e non saprai mai perché. Fu così anche per me. Ancora oggi nei miei momenti di solitudine mi chiedo il perché delle cose. Un perché che ho provato a inseguire raccontando la loro storia. “La Pologne? La Pologne? Dev’esserci un freddo terribile, vero?”  aveva detto la Szymborska in un verso che lui scoprirà solo molto tempo dopo. Non sa come, ma mentre era seduto a un tavolino blu, illuminato dalla luce danzante di una candela che doveva ancora bruciarsi per metà, se ne uscì con una frase del tipo: – Ah, la Polonia, avete molti castelli!

La Polonia, lì per lì strabuzzò gli occhi cercando di capire cosa volesse dire. In proporzione, col senno di poi, di potrebbe dire che la Polonia ha tanti castelli quanti il Piemonte, anche se nessun ufficio turistico sabaudo si sognerebbe mai di usare i castelli come richiamo.

– Ah sì, forse il barbakan a Cracow e Warsaw.

Il barbakan? Cosa poteva mai essere? Il barba giuan o la barba di un cane? No, che andava a pensare. Doveva trattarsi per forza di qualche fortificazione che associò per ignoranza al Barbarossa, visto il suffisso che la contraddistingue, ma che nell’etimologia non gli diceva proprio niente. così cercò di giocarsi nel migliore dei modi possibili l’improbabile occasione che gli era capitata.

– L’ho visto in tv prima di partire!

– Guardi molta televisione?

All’epoca guardava molta più televisione di adesso, a dire il vero, ma non ricorda bene come proseguì il dialogo. La memoria, la sua amata e fallibile memoria, ha ricostruito un percorso tutto suo, basato principalmente sullo sguardo. Era perso, ma quello, a dire il vero lo era sempre stato. Era incredulo, e forse, per la prima volta in vita sua, ottimista… cioè poteva sperare in qualcosa di meglio! Cominciava a credere che qualcosa, qualcos’altro, anche solo temporaneamente, fosse addirittura possibile.

A volte prova ancora a ricostruire l’atmosfera di quella sera, ma l’atmosfera, almeno in parte, la fanno le persone. Così non gli resta che  ricordare la liquidità dell’aria, assottigliata nel movimento ipnotico delle onde che correvano da lui a lei e che tornavano lentamente, come una marea d’anima.

Anche lei, come lui, era vestita in nero. Anche lei, come lui, era triste, ma per altri motivi. No, non sapeva ancora il perché. Anche lei, come lui, amava il cinema, anche se preferiva quello francese e non conosceva quello italiano. Anche lei, come lui, si sentiva in sovrappeso. E forse anche lei aveva visto almeno una volta i castelli polacchi.

Ma come in ogni favola contemporanea che si rispetti, a mezzanotte scatta il coprifuoco, perché a quell’ora passa l’ultimo autobus della sera e no, non si hanno in tasca i soldi per un taxi. Quello sono da conservare per un gioco per cui vale davvero la pena.

Prima di andare lei chiese a lui, tu da dove vieni?

– Genova.

– Genova?

– La città di Cristoforo Colombo.

– Ah, già, quello della scoperta dell’America. Uno che comunque si è perso.

Tornarono a casa e dormirono. Poco e male o comunque troppo. Ci pensarono e si ripensarono. Senza sapere che l’inarrivabile è l’unica motivazione possibile dei nostri tempi (questa io la lascerei aperta così)  si incontrarono per non stare insieme ma per imparare l’uno dall’altra l’irrazionalità della bellezza del mondo. Questo è stato il loro primo incontro, o almeno è così che lo ricorda mentre rilegge da un foglio stropicciato e logoro quella che fu la loro prima mail.

L’indomani lui gettò quel messaggio nel mare aperto della lista pubblica. Tutti lo lessero, anche lei, senza capirne l’importanza che quelle parole avrebbero poi avuto nella sua vita. Importanza che ora la porta a piangere e a uscire fuori dalla mia stanza ogni volta che ci ripensa.

Lui le scrive una lettera. La prima di molte. Lei risponderà a tutte, o quasi.  Entrambi ne conserveranno ogni copia, riposte per bene, una a una, in una scatola, come foglie destinate a conservare immagini e profumi di questo loro viaggio che da singolare è diventato plurale. La prima lettera scritta per lei è questa.

 

“Se stai leggendo queste parole vuol solo dire che ho avuto due volte coraggio, anzi tre: il primo a scriverle, il secondo a mandartele e il terzo… lo scoprirai leggendole.

È successo. È successo che ho incontrato una persona. Non so come, quando e perché. Non ero pronto, non lo volevo, non me l’aspettavo, ma ero lì in quel momento, quando lei iniziò a parlare. Disse una cosa semplice e mi meravigliai, mi meravigliai della sua semplicità. Risposi in modo stupido. Finisco sempre con dire un sacco di cose stupide in sua presenza. Lei parlava, e parola dopo parola mi accorgevo che l’unica che volessi realmente sentire era quella che mi avrebbe fatto continuare quella conversazione per tutta la vita, restando sempre nel mezzo, così stupidamente felice.

Ora vuoi sentire la buona notizia? Ecco, la persona che ho incontrato sei tu, sempre che questa possa essere considerata una buona notizia. Quella cattiva è che non so assolutamente come stare con te e tutto ciò mi spaventa da morire.

Questo qua fuori è un brutto mondo, in cui le persone spariscono e si perdono, in cui è facilissimo perdere l’attimo che cambierà le nostre vite perché siamo troppo spaventati. Non so se riusciremo a vincere tutte le nostre paure o almeno parti di essere, ma solo così potremo sentire l’uno nell’altra i profumi di casa, la flagranza di felicità, i ricordi, il caffè solubile bevuto alle tre del mattino che per magia sembra buono.

Le tue linee morbide risaltano mentre  ti addormenti e pennellano i confini della mia mente.

Non so se questo voglia dire qualcosa. Forse sì, e nella mia paura procedo a tentoni circondato dalle tue immagini. Forse no, e ciò che sento è solo la semplice necessità che ho di te.

Se vuoi, sai come trovarmi. Sarò qui, tra queste parole, ad aspettarti.”

 

Poco fa, dopo l’ennesima rilettura della prima mail che l’aspirante scrittore italiano di provincia le mandò, mi ha lasciata sola. Conosce fin troppo bene quanto pesa la solitudine in questi casi.

Concentro il mio sguardo, mi fisso nell’enorme specchio tra una dimensione e l’altra, senza nessuna meraviglia. L’epoca della magia è finita da tempo.

Mi sforzo di riprendere le distanze dal dolore altrui. Il suo dolore è immenso, svuotata com’è. L’intensità delle sue emozioni ci ha legate fin dal primo nostro incontro. Lei comincia a sentire la mia presenza. Non è una, anche se è sola. Sono due, anzi tre. Come i tempi. Passato, futuro e presente. Eppure nulla è così semplice come sembra. Nemmeno darle un nome è qualcosa di facile, e al momento non riesco ad andare oltre la cortina dei suoi ricordi.

Il suo futuro mi è ancora precluso, non è ancora deciso, può ancora essere letto e riletto. È però troppo legata al passata per lasciare qualche spiraglio al presente. Lei è come un oceano in tempesta che viene casualmente cullato dalla forza di milioni di no e perturbata a cadenza giornaliera solo da qualche sì. Lampi di lucidità che, intemperanze a parte, le mostrano un altro mondo, un altro possibile mondo tra incalcolabili possibilità di verifica. O forse, a perdere qualche minuto di pensiero, si potrebbe credere che ad attenderla ci sono solo altri mondi impensabili.

Lei è fuori da quella porta e ha ancora tutta una storia da raccontarmi e da farmi vivere.

 

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