Queste terre sono piene di morti, sono terre concimate, nutrite del dolore e del pianto di secoli di un’umanità sconfitta. Sono terre calpestate dai piedi dei miei diretti antenati in uno schifoso passato non molto diverso dal mio futuro attuale.
Quella che segue è una storia qualunque di un relitto colpito e affondato nella battaglia degli eventi sociali, all’ombra delle più redditizie cronache mondane. Questa storia spero che piombi sulle vostre interiora coscienti, sui profili delle vostre identità clandestine come una degenerata nebulosa inquinata dai suoi vizi astratti e nei difetti diretti e fin troppo ereditari. Ben troppo presto però si rivelerà a voi nel suo non essere, non essendo, non so dirvi bene cosa non sia e non sta a me dirvelo, confessione a parte di quel che è.
La mia storia è la peculiare storia di un’univoca impossibilità esplicativa di fronte al vostro mondo. Di quella stessa impossibilità intrinseca che esplode diventando arroganza nella chiara e arretrata mentalità metafisica europea.
Sapete che non lo avete mai saputo e ve ne fregate sapendo che il successo si ottiene in altri modi e quando leggete, sempre ammesso che voi ne siate ancora in grado visto che siamo una specie a parte relegata negli angoli delle pagine, pensate ad altre menti, seguite stereotipati modelli a clichè mediatico d’informazione da terza classe.
Ho appreso che è impossibile spiegarvi la particolarità di una terra che la neve lega al cielo rendendola schiava, vittima del suo volere candido quanto dispotico. Per voi è un estremo fastidio se nevica o è solamente l’occasione per indossare quel paio di anfibi o di stivali griffati e contro firmati che avete pagato una cifra immensa e, che per forza, ora di fronte al cospetto di una coscienza consumistica a rate, ne giustificare l’acquisto.
La neve bombarda le città rendendo il paesaggio un’unica spianata dove lo spazio tra cielo e terra è unito nel cadere giù. Ero lasciato per colpa vostra sempre in sospeso e per vendetta o per ripicca ero solito lasciare sempre in sospeso tutto a guardare in giù tra tanto bianco.
Il Monferrato è quel tipo di territorio che rigetta al mondo persone come me e poi le tiene strette a sé, prigioniere tra colline a forma di capezzoli descritti nelle pagine di Pavese. Ma oggi nevica, neve del cazzo, anche se da queste parti ogni tanto vista la vicinanza e la conseguente sfera di influenza si dice belin, e penso a tutto ciò sotto la neve che diventa un macilento fango bianco legante la terra al cielo in una serie eterea di ricordi evanescenti. Fitta neve degli eterni inverni di qui, nelle terre effimere di racconti precedentemente già ascoltati.
La neve…la guardo scendere giù e sento un desiderio nascere in questo mio me. Avrei voluto chiedere a ogni fiocco se anche lui o lei…calando giù nel valzer androgino dei fiocchi di neve….ma cosa cazzo volete che se ne importi a un fiocco di neve, o a chi l’ha creato, di tutte le divisioni superficiali che ci scambiamo qui tra noi nell’inferno celeste che è il nostro piano esistenziale.
Altro che Swedenborg e se non avete capito, prendete un diavolo di libro in mano ogni tanto oppure fermatevi ad aspettare davanti alla tv sperando che sua emittenza Gerry Scotti faccia qualche domanda al riguardo nella sua gara a tappe dei peccati capitali. Da piccolo avevo pure avuto una mezza idea di continuare la mia carriera di scrittore ma avevo realizzato fin da subito la differenza tra letteratura e libricesso, termine che potete pure leggere tuttattaccato creando un neologismo neo realista.
No, non era invidia, non è sinonimo di invidia, al massimo di sconforto quello sì, di quello sconforto che assale tutti le persone disarmate di fronte alla vastità del mondo e di fronte a quell’egoismo disarmante dell’uomo, a suo dire civilizzato, dai grandi saperi dell’occidente economico: fottere tutto e tutti sempre.