Consigli dalla Punk Caverna

Prima o poi chiuderò anche questo blog perchè quello che succede è uguale a quello che non succede. Questo che segue non rientra nella linea editoriale di niente e di nessuno, nemmeno nella mia ma tant’è, lo metto qui perchè è Lunedì e al mondo ancora una volta non gliene importa.

Le luci smorte di un locale deserto. Sembra l’ottimo titolo di una brutta canzone, ma questa è solamente una realtà. Quando o si è mollati è sempre brutto avere tanta gente intorno. Vibra il telefono di Pri Pri, lui è uno dei White Rubbish che vi dicevo prima ed è mio amico dai tempi perduti delle inutili scuole medie dove posso dire che “non” siamo cresciuti insieme, parcheggiati qui, da allora, come relitti nel deserto del nostro destino salentino. Tutto quel vibrare era in realtà un sms. Tanta vibrazione per nulla (questo invece potrebbe essere il titolo di un brutto film porno). La vibrazione è arrivata a smuovere, seppur per poco, l’aria morta di sempre che ci circonda. La fonte di tutto questo vibrante nulla è un’amica di Pri Pri (lui è uno che al contrario mio frequenta tanta altra gente), che, per coincidenza, è stata mollata da poco ed è ancora nella fase deep depression, “tanto che ascolta Zarrillo” mi fa sapere con premura Pri Pri.
Deve essere l’autunno, le storie d’amore cadono come capelli.
Questa tipa, la fan di Zarrillo, chiede dove siamo e se può raggiungerci. Pri Pri mi guarda, aspettando una mia risposta.
Lento come il caffè di questo bar ameno gli rispondo.

– Fai tu. Io tra poco vado a dormire. Sono stanco, erano 5 anni che non giocavamo.

Abbiamo appena giocato a calcetto, sempre ammesso che quello fosse calcetto, gioco o sport. Quando non c’è niente da fare e qualcuno ha qualche problema, da queste parti, si organizza una partita per rinsaldare vecchie amicizie o per alimentare antiche faide familiari. Stasera abbiamo giocato contro “non so nemmeno chi” (che come nome per una squadra di serie B fa abbastanza schifo).
Devo dire che però è stato bello sognare con addosso la contrafattissima maglia della PRL, la Polska Rzeczpospolita Ludowa (già la Repubblica Popolare Polacca) (l’Unione Sovietica con le sue manie di grandezza non mi è mai andata giù) comprata sul mercatino di LODZ in occasione del concerto dei Dezerter. L’incontro, anzi lo scontro, era con un gruppo di figli di papà. Loro sì che avranno altri modi per ottenere rivincite su di noi nel corso della vita ma stasera… Già, stasera Fifa, Sangue e arena mentre il pallone carambolava tra i piedi, in un gioco in grado di mischiare polvere e fatalità come nemmeno in un racconto di Hemingway, guardavo gli altri cercando di riconoscere i visi, le facce. Ma compariva solamente quell’avvocatuccio di Milano difensore dei deboli, pronto a recitare l’albero genealogico dei militari impegnati in Cecenia dall’800 a oggi. Ma lo sapevate che un ceceno nel 800 per diventare uomo, come rito di passaggio all’età adulta, doveva uccidere un russo? Non mi ricordo se è attendibile, ma lo lessi da qualche parte mentre in qualche altra parte, su uno spelacchiato campo di calcio del Salento, invisibile perfino ai satelliti di Google Earth, lontani dal mondo ci ho messo tutta la mia rabbia.
Dentro quel tiro, su quel campo c’era tutta la mia fottutissima rabbia. Gol. Urlo. Secco come l’erba del campo. Dopo il gol tutto è finito in rissa. Non ricordo nemmeno bene perché e per come ma devo aver gridato qualcosa che ha scatenato l’inferno come le legioni romane de “Il gladiatore” solo che al posto di Russel Crowe c’ero io, avvolto in un’acrilica maglia rossa taroccata a menare calci e pugni. Certo è che anche i ragazzi non vedevano l’ora di menare le mani su quei fighetti. Non so chi fosse il punto di contatto tra noi e loro ma di sicuro è stato un pazzo a organizzare questa partita, ma meglio così perché ho avuto modo di portare la mia forma fisica oltre i suoi limiti, come non mi capitava da qualche tempo. Non sono per niente in forma. E pensare che su uno degli ultimi numeri di Rolling Stones, dimenticato da qualche amica di Pri Pri, c’era scritto che uno come Sting riesce a scopare per sei ore di seguito. già, uno come lui biondiccio e ben curato, infila e sfila una donna per sei ore mentre io, l’orgoglio punk del Salento, dopo una partita di calcetto e una rissa con dei ragazzini, l’unico liquido che riesco a sputare fuori dal mio corpo è questo sangue rabberciato e avvelenato che si miscela nelle mie vene. Pri Pri mi guarda ora preoccupato.
– Domani quel tizio dovrà andare per forza dal dentista.
Sorrido, anche se avrei voluto spaccare i denti ad un avvocatino che si fa bello a parole senza essere mai stato in Cecenia o in Salento, invece che a un ragazzotto firmato Bikkembergers che da domani ci penserà due volte a giocare a pallone contro chi non conosce. Cecenia e Salento. Già, due terre che non mai state così lontane e così vicine, unite dal mio odio per il mondo. Pri Pri sta armeggiando con la rumorosa tastiera del suo fottuto cellulare, non lo dice ma ho capito che sta rispondendo alla sua amica. Dopo dieci minuti scarsi arriva la ragazza dell’sms, ma non è sola, la sua solitudine è moltiplicata per tre. Quando si è mollati pensavo che non si volesse tanta gente intorno. Racconta la sua storia un po’ come fanno tutti, che poi è un po’ anche la storia di tutti.
Entra in azione il mio contatore che dal sito intertestuale della mia libido sempre connessa mi ricorda che sono troppi mesi che non si combina nulla. Che non combino e che non mi combino con nulla.
I miei link non portano da nessuna parte, Il mio landing è sfracellato al suolo e il mio page rank sessuale è pari forse solamente a quello della keyword voglio scoparmi il cadavere di Bin Laden, praticamente uno 0 periodico. Lo sputnik della mia mente è andato, è bastata la vicinanza di una ragazza. Una ragazza che racconta di come sono usciti insieme un mese, ma è già qui che si lamenta, ride e ogni tanto scherza mentre io ho ancora l’inferno dentro e stavolta non ho nessuna legione da scatenare sennonché quella dei miei denti poco curati, soldati male in arnese che vengono mostrati con malizia a questa smandrella, sperando tra un dramma e l’altro di rimediare una cavalcata. Comincio così a brindare. Ogni Libre un brindisi e la libertà di Cuba mi tormenta l’anima. Buffo come le parole a volte giochino tra loro. Il primo brindisi a mia moglie, anche se non eravamo ufficialmente sposati, pensavamo che il nostro amore fosse eterno e ci chiamavamo marito e moglie; scappata, per dirla alla maniera dei film americani, con il classico rappresentante di cravatte trova la comprensione di tutti.
Il secondo bicchiere va alla brezza di settembre che, soffiando leggermente ha mandato in frantumi il muro di un amore costruito in tre fottutissimi anni di turnè d’amore in giro per lo stivale e qui noto qualche sguardo malizioso della smandriella, colpita dal solito stereotipo di punk romanticone. Il terzo, e mi accorgo di cominciare a non connettere provato come sono nel fisico e dallo spirito, l’ho bevuto alla memoria dell’amore nel letto di quel che facevamo e di come lo facevamo, di come l’estrema unione sessuale potesse farci sentire così bene. Qui preciso che non ho mai raggiunto i livelli di Sting, non si sa mai cosa si può aspettare il pubblico, e la smandriella ride che forse comincio a pensare che per sapere sta storia di Sting deve essere una lettrice di Rolling Stones ma se è così, è roba per Pri Pri, e infatti è amica sua, e non per me… e sospiro alle male accoppiate del mondo. Il quarto, in libertà, è volato via assieme all’ultima settimana passata insieme mentre agosto spegne l’estate e tutto sembra ancora andare bene prima dell’estrema solitudine di settembre. E per sentirmi meno solo l’ho abbracciata, l’ho abbracciata e mi ha abbracciato e ho scoperto che è calda, piena di un calore che non sento da tempo e forse posso davvero passarci sopra alla faccenda di Rolling Stones, in fondo io una volta ho letto un quotidiano. Ero alla stazione e c’era la foto di un tizio con il calzino bucato e così la curiosità fregò il mio lato felino. Mi chiedevo chi mai potesse essere sto stronzo finito in prima pagina per un calzino bucato.
Il quinto libre ormai è sociale, ridiamo e scherziamo, ho la smandriellata in programma che quasi entro già in tiro adesso.
Ho la situazione in pugno e sono su di giri così dico la prima cosa me mi passa per la testa, che in questo momento sembra l’interno di una stazione spaziale sovietica abbandonata, e dedico il libre a quel programma, “Uomini e Donne”, che sta rovinando la nazione con questi finti corteggiamenti tra ricchi che opprimono la classe debole e inferiore. Ah no. Questo no. Vedo le sue labbra che si muovono a due passi dalle mie. Avrei potuto farci entrare di tutto in quelle labbra con un altro giro e con altre parole e invece esce fuori ben altro da quella bocca. Maria non me la tocchi!

Mentre sto mormorando qualcosa di incomprensibile attraverso la mia bocca impastata, la smandriella si alza e se ne va.
La sua coppia di amici segue a ruota ma tornano un attimo indietro per dire a Pri Pri che vista la situazione gliela offrono loro la consumazione.

E io? E a me? La mia? Tanti modi per porre una domanda e conoscere la stessa risposta.A fanculo.Ho dentro l’inferno. Grido:
– Ci sono!

Anche se non è una novità vorrei essere altrove. A casa, sotto un sasso, dietro alla lavagna. In un posto dove non mi si possa vedere facilmente. 3 anni, non un mese e non mi vede nessuno. Invisibile.
Invisibile come i miei 3 anni d’amore spezzatisi sotto la debole brezza di settembre. Non sono invece invisibile per Pino il barista. Figura leggendaria del tacco d’Italia. Dicono che quando era emigrato al Nord, prima di tornare, abbia fatto fortuna nel campo dell’editoria porno. Certo un po’ un porno maniaco con quei baffi e quella pancia lo sembra proprio ma potrebbero solo essere le solite voci di paese. Fortuna che mi conosce da quando avevo 15 anni e mi prestava le prime sigarette. Sigarette che tra l’altro, non gli ho mai ridato. Hei Pino…gli faccio quando lui mi anticipa; Hey Joe, segno? Annuisco e faccio per uscire, non c’è mai da aggiungere molto ai debiti.Poi mi giro:
-Hei Pino?
-Sì?
– Sai che Sting riesce a scopare per 6 ore?
– No, non lo sapevo ma sai che palle… 6 ore a scopare con la stessa donna, se fosse un’orgia magari.
Ridacchio- Bravo Pino, per questo vengo qui.

-Pensavo che venissi qui perché sono l’unico locale che ti fa credito, oltre che a essere l’unico locale della zona.

– Su questo rifletteremo quando sarò meno sbronzo Pino, tu intanto continua così e mi raccomando, continua a tenerti lontano da Rolling Stones.

Gli offro le spalle e mi giro, uscendo così dal locale che ora è diventato come la mia mente, vuoto cosmico e siderale di un punk slavista precipitato per caso nella piana del Salento, già, questo potrebbe essere un ottimo titolo per un articolo di Rolling Stones o, se ci aggiungo un calzino bucato andrebbe bene anche per un quotidiano. Questa è un’epoca dove si ascoltano le previsioni del tempo piuttosto che il prossimo e finisco così con il cammino solo per le strade del paese, non una luce, l’illuminazione da queste parti è qualcosa di davvero poco pubblico. Può farti luce un televisore che compare da dietro qualche finestra, il bar in piazza o la luce delle stelle di Puglia. Per il resto, qui non c’è luce, scordatevela. Mi affretto a rientrare. La strada è lunga e quando ti ritrovi ad avere più anni sulle spalle che soldi in tasca capisci che qualcosa non va e che quella stronza ha solo toccato qualche nervo scoperto. Non me ne importa nulla. Dei soldi non me n’è mai importato ma sapere che a lei, La Stronza, non basta più il pollo fritto e grasso di Gino, le pittole unte di Maria o il fragrante pane con le olive del forno di Spanu, beh fa male.
Sapere che ha scelto le cene nei ristoranti alla moda di Milano e che ha giustiziato il tuo modo di vivere senza appello fa male.
Perfino i nazisti al processo di Norimberga hanno avuto modo di difendersi. Io no, in questa storia di merda e amore non ho avuto appello. Mi ha preso il cuore e me l’ha strappato via dal petto, provando a stamparci sopra un codice a barre, rovinando tutto.
Sono arrivato a casa, apro la porta e sul mio letto come sempre c’è lei: Silver Shirley, la mia chitarra, davvero unica visto che è doppiamente scordata. Nel senso che fu dimenticata da un turista tempo fa e nel senso che da allora non è mai stata accordata.
Sinceramente penso che prima o poi qualcuno dimenticherà un accordatore. Ogni tanto mi tradisce anche lei e spezza le sue corde, ma in linea di massima devo dire che mi è fedele.
La poso. Argentata e dolente com’è, contro il muro, in un contrasto di miseria e nobiltà. Non c’è nessuno.
Sono tutti fuori i ragazzi, persi dietro ad altre avventure.
Così come sono perso dietro a questa avventura finita.
Non riesco ancora pensare ad altro.
Il mondo è la fuori che va a rotoli: inquinamento, corruzione, politici, economia mentre Lady Gaga, Britney Spears, Justin Bieber e Ligabue, i quattro cavalieri dell’apocalisse musicale stanno cavalcando vero la fine del mondo musicale.
Aspettando l’Anticristo (chi peggio di loro?), prendo il portatile e mi connetto. Vampiro della rete, nuova razza di parassita tecnologico. Cerco qualche sua traccia su internet ma non c’è niente di nuovo a parte che le piace un quadro, un quadro che doveva essere in casa nostra dopo il nostro matrimonio. Beh il matrimonio è saltato, le resta sempre il quadro mentre il quadro della mia situazione è desolante. Domenica sera, guardo un video di Leonard Cohen su You Tube e già so che i dadi sono truccati ed è inutile incrociare le dita, la guerra è finita e i poveri come sempre hanno perso mentre il ricco è ancora più schifosamente ricco, che poi chi ha coniato questa espressione non deve mai aver provato la povertà. Essere schifosamente poveri è decisamente peggio. Cerco quel che c’è nel reparto medicine, i sonniferi americani comprati su e-bay non sono ancora scaduti. Li vorrei prendere tutti e mandare a fanculo il mondo. La sogno ancora, tutte le notti.
Un po’ come quando a scuola si sogna sempre di essere impreparato, di non essere all’altezza. Non sono stato alla sua altezza, non sono mai all’altezza di nulla. E nei sogni questo torna La Stronza non torna mai sola. Torna sempre con qualcun altro a tradirmi e mi sa che qualcuno mi ha gratuitamente abbonato al canale degli incubi. La sincerità del punk, brutta cosa visto il risultato.
Avrei voluta tradirla io e scoparmi qualsiasi cosa fosse passata nella zona di caccia del mio tiro ma non ce l’ho mai fatta.
Ero sincero. Ero suo. Certo che deve essere divertente trovarsi a giocare con un bambolotto punk che ti dedica le sue canzoni così come la sua vita a riff veloci e a depressione ascesa. Meglio che giocare con quel frocio di Big Jim che spacca una tavoletta già spaccata, prima delusione della vita… Non ce la faccio e guardo alla chimica. La soluzione finale, nella storia dell’uomo, è sempre qualcosa di legato alla chimica.

Una ragazza israeliana che mi sono scopato anni fa aveva provato a insegnarmi l’ebraico. Era venuta in Italia a studiare l’arte e la cultura. Lei che arrivava da una cultura più antica della nostra si accorse presto che, a parte il barocco di Lecce, da queste parti come cultura non c’era molto e che alla fine del suo viaggio, arrivato dopo la notte della Taranta, aveva scambiato sabbia per sabbia. Si era appassionata ai “White Rubbish” dopo una nostra esibizione lampo, a tal punto che voleva addirittura portarmi a vivere in un kibbutz ma la strada del giusto destino è come una buona canzone punk, corta e veloce. Oltre alla sua abilità orale, cosa che mi faceva impazzire, si dedicò nell’impegnarsi a insegnarmi la traslitterazione di due lettere ebraiche:
la r e la k. Come mi spiegò brevemente, gli ebrei avevano fretta nel deserto e per questo motivo oggi si ritrovano con un alfabeto quadrato senza troppe rotondità e curve, davvero molto punk.
Ora che ricordo nemmeno lei, Natalie, aveva molte curve.
Rak Kar, lo specchio simmetrico in ebraico della mia situazione.
Rak Kar, soltanto freddo. Potrei farmelo tatuare.
Rak Kar. Questa è la frase che da giorni campeggia sul mio messenger ma nessuno mi ha mai chiesto che significa.
O sanno tutti l’ebraico o Natalie in Italia deve essersi passata tutti i miei contatti messenger. Ma pensare al sesso degli altri è qualcosa che in questo momento che non mi conviene.
Mi uccide. Mi uccide perchè non mi tira. Mi faccio pena, nel senso di pietà. Lo stomaco è a pezzi e si contorce come una bestia senza controllo. Da messenger nessuna notizia. Mi loggo fuori in fretta.
Sono un coglione anche solo ad aspettare chi non vuole essere aspettato. Me lo han detto tutti. Non è da me.
Non so più cosa sia da me o meno. L’occhio cade ancora sui sonniferi. Tutti no, ma voglio un sonno senza sogni. Così come la mia vita da sempre. Senza sogni. Non mi posso permettere il lusso di sognare. Sono sul fondo di uno stagno, dove secondo la pizzica ci stanno le ranocchiole a cantare. Le ranocchiole, nomignoli affettuosi del cazzo. Nella mia mente le ammazzo tutte.
Una ad una. In modo sadico. Come in quel vecchio videogioco che ci giocavo da piccolo, Frog, dove dovevi aiutare una rana quadrata ad attraversare la strada in un mondo quadrato, in quella specie di borghese romanzo zen di formazione virtuale spacciato per videogioco. Ora le aiuto a morire dolorosamente. Scoppiano.
Sanguinano. Si scorticano. Implodono. Tutte cose che vivo quotidianamente da tempo. Che vadano a gracidare d’amore altrove penso mentre ingoio una pastiglia e guardo l’etichetta. La notte è lunga e non mi fa paura. Mi vengono allora in mente le parole del testo della canzone che cercavo ieri pomeriggio. Benedetti siano i Sonic Youth e il loro cultural punk!

You’re it No, you’re it
Hey, you’re really it
You’re it No I mean it, you’re it
Say it Don’t spray it Spirit desire (face me) Spirit desire (don’t displace me)
Spirit desire We will fall
Miss me
Don’t dismiss me
Spirit desire Spirit desire
We will fall Spirit desire
We will fall Spirit desire We will fall Spirit desire We will fall
Everybody’s talking ’bout the stormy weather
And what’s a man do to but work out whether it’s true?

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