In ricordo di Jurij Druznikov

Dal mio vecchio blog “Eco a perdere” (http://ecoaperdere.blogspot.it/) il ricordo di Jurij Druznikov

In ricordo di Jurij Druznikov

È scomparso ieri, all’età di 75 anni, Jurij Druznikov, considerato dalla critica uno dei più importanti scrittori russi del Novecento, candidato al Nobel per la letteratura nel 2001 e menzionato nello stesso anno come autore del miglior romanzo in traduzione (Angeli sulla punta di uno spillo, Barbera 2006) dall’Unesco. Druznikov, che viveva negli USA dal 1985, è morto nella sua casa di Davis, California, per le conseguenze di una grave polmonite che lo aveva colpito due settimane fa. Scrittore, critico letterario, pedagogista, autore teatrale, Druznikov aveva pubblicato le sue prime opere durante il regime stalinista. Subito bollato come dissidente, era stato più volte censurato ed era vissuto per anni sotto lo stretto controllo del KGB. Nonostante fosse stato radiato dall’Unione scrittori sovietici, con il conseguente veto alla pubblicazione, continuava a diffondere i suoi scritti clandestinamente, fino al 1985, quando il samizdat (ciclostile) di Angeli sulla punta di uno spillo, il suo capolavoro, fu rinvenuto durante una perquisizione in casa di un amico. Arrestato, stava per essere internato in manicomio criminale, ma fu salvato da una petizione internazionale cui parteciparono intellettuali come Bernard Malamud, Kurt Vonnegut, Arthur Miller, Elie Wiesel. Grazie a queste pressioni Gorbaciov decise di lasciarlo fuggire. Druznikov riparò prima in Italia e poi negli Usa, dove gli fu offerta la cattedra di Letteratura russa all’Università della California, dove ha insegnato fino alla morte.

Le opere di Druznikov, fra cui ricordiamo, oltre che Angeli sulla punta di uno spillo anche i romanzi Il primo giorno del resto della mia vita, pubblicato il mese scorso da Barbera Editore, Passport to yesterday, Superwoman, la raccolta di racconti Là non è qua (Barbera 2007) e i saggi Informer 001 or the Myth of Pavlik Morozov e Alexander Pushkin and Political Uses of Nationalism, sono state pubblicatein 14 paesi e tradotte in altrettante lingue, fra cui inglese, russo, italiano, polacco, francese.

Come omaggio alla memoria di uno scrittore e di un uomo pubblico di seguito qui per voi la mia intervista, forse l’utlima intervista italiana a Druznikov che gentilmente mi concesse. Ricordo con piacere il nostro scambio di mail, il suo modo garbato e pacato, i suoi consigli e la disponibilità. ricordo che gli invidiavo il fatto di aver conosciuto Czeslaw Milosz, ora lo posso dire, ma ora posso dire che mi mancherà. Avevo in programma un’altra intervista, sto leggendo il suo ultimo romanzo e una volta terminato avrei ripreso a “molestarlo” via mail per parlare di letteratura, così come abbiamo fatto in passato. Addio Jurii, aiutaci a scrivere altre belle pagine e a vivere da uomini!

Fabio Izzo: Nel tuo ultimo libro Là non è qua la tua anima letteraria si è divisa in due. Hai scomposto il tuo modo di scrivere adattandolo alla sezione cosiddetta “americana” e alla sezione russa. In seguito a ciò quale anima senti maggiormente tua?

Yuri Druzhnikov: Le riconosco entrambe come mie anche se in modo diverso. Ho trascorso la prima metà della mia vita in Unione Sovietica e la seconda qui in America. Ho avuto modo di poter sviluppare materiale per la mia scrittura scrivere da tutti i “miei” paesi. Nel mio recente libro, pubblicato da Barbera Editore, mi sono reso conto che le persone da me incontrate, sia in Russia che negli Usa, erano così divertenti o così strane che ognuna di loro, ognuna di quelle eccentriche personalità, erano l’ideale per una storia speciale ma di breve durata. Le storie lì raccontate sono vere, con un umorismo particolare e selezionato dalla vita, come può esserlo per voi italiani amanti del caffè, una preziosa miscela di caffè.

F.I.: Dalla prima parte del tuo libro (la cosiddetta “qua”) fuoriescono tutte le manie e le paure tipiche della popolazione occidentale, sviscerate nel tuo personalissimo stile fresco quanto geniale che può essere paragonato in campo cinematografico alle gags dei Monty Python. Tornando invece in letteratura, pensi che il futuro occidentale sia strettamente legato alle pillole di Murtibing predette da Witkiewicz?

Y.D.: Secondo quanto indicato dal grande scettico polacco Milosz, premio nobel per la letteratura e mio collega all’Università della California, la predizione di Witkiewicz riguarda strettamente la società occidentale ma secondo me non solo quella, le pillole riguardavano anche la società comunista.Se per pillole intendiamo le mie storie brevi penso che sarebbe esagerato paragonarle ad un romanzo importante come quello di Mitkiewicz. Come pillole, le mie storie satiriche, danno un sano scetticismo e aiutano a capire meglio il mondo che ci gira intorno.

F.I.: Nella seconda parte, quella russa (la cosiddetta “là”), è quasi impossibile non notare la tua abilità nel rappresentare un mondo nettamente diviso per concetti e idee. Quale sarà, secondo il tuo pensiero, il futuro dell’emisfero orientale?

Y.D.: Non voglio trascurare il mio essere testimone di tutto quello che fu l’Unione Sovietica, uno sguardo all’utopia di Thomas More e a 1984 di George Orwell, lì abbiamo ritratti verosimili di quello che è stato.Parlando del futuro, vorrei vedere i paesi dell’Est ricchi come l’America, liberi come l’Europa e pacifici come l’Islanda, ma per ora sono consapevole dell’improbabilità della mia previsione. In realtà l’Est è povero, soggetto a un mezzo totalitarismo e aggressivo al pari dei nazisti. La guerra in Iraq è un errore perché Hussein sapeva bene come manipolare il fanatismo e ora il mondo occidentale deve essere forte nel mondo arabo, molto più pericoloso del Patto di Varsavia. Penso inoltre che un miglioramento per l’ Europa e per gli Usa sarebbe quello di impiegare meno soldati, carri armati e servizi segreti in quella parte di mondo. Inoltre sarà un bene la cattura di Osama bin Laden. Credo in un lento processo del emisfero orientale. Se guardiamo alla Cina e all’India è lecito chiederci se un giorno questi due paesi ci aiuteranno a combattere il terrorismo.F.I.: Sei un intellettuale russo che lavora negli Usa. Questo fatto come influenza il tuo scrivere?

Y.D.: Qui in America ho trovato la mia indipendenza; nessuno mi controlla in California su quello che dico o scrivo. Questo però non li salva dall’essere bersagli della mia penna. La percentuale di sciocchi è uguale sia qua che là. Non dispongo ora di dati ufficiali riguardanti il fenomeno dell’alcolismo ma quasi sicuramente la situazione è problematica sia negli Usa che in Russia, così come per i senzatetto e altri problemi sociali. Sono vent’anni che vivo ormai negli States e questo mi ha dato la possibilità di osservare due differenti realtà, la mia madrepatria e il mio paese adottivo. La Russia è uno stato di polizia, dove il partito del Kgb ha manipolato il paese. Penso che per la stabilità e la democrazia in Russia siano necessari altri 50 anni se non addirittura 100 anni.

F.I.: Nel mio libro (Eco a perdere) affermo tra le altre cose che lo scorso secolo può essere definito come “secolo russo” a causa dei grandi eventi che ne hanno sconvolto lo svolgimento (basti vedere le date 1917 e 1991). Ora come il potere, trasferitosi in America, anche la letteratura ha seguito lo stesso percorso. Si trova d’accordo?

Y.D.: In linea di massima sì ma vorrei aggiungere qualcosa. Ancora non sappiamo di preciso quanti morti ci sono stati in Russia nel periodo 1917-1991 (ufficialmente figurano 60 milioni ma secondo una mia stima si tratterebbe di 90 milioni). Il potere si è trasferito in America ma l’arte e la letteratura stanno ancora fiorendo in Europa. In Italia ho avuto modo di constatarlo al Festival Letteratura di Mantova. L’America è la terra della cultura pop.

F.I: Su quale progetto sta lavorando ora?

Y.D.: Ho appena portato a termine una detective story basata su una storia vera. Qui la documentazione e la ricerca dei testimoni mi ha portato via molto tempo. Ora in Italia è in fase di traduzione e sarà presto pubblicato dal mio editore

F.I: Se la sente di darci qualche consiglio:a cosa dovremmo stare attenti per il nostro futuro?

Y.D.: Innanzitutto alla salute! La longevità e la qualità della vita. So, ad esempio, che l’Italia è impegnata in prima linea nella ricerca sul cancro. Questo impegno, assieme a quello di altri potrebbe, significare che nel futuro la gente sarà liberata da questo male. A pensarci, avremmo potuto sentire cantare Pavarotti ancora per molto.

F.I: Qual’è il tuo consiglio per vivere meglio nel mostro mondo?

Y.D.: Salvare le nostre culture e tradizioni. Conservare i valori: famiglia, amore e amicizia. Rappresentano un’ alternativa al rumore della tv commerciale che ci sovrasta e ci spaventa. L’individuo necessita di una sua nicchia dove poter amare il prossimo, leggere, scrivere, fare foto e collezionare francobolli.

F.I.: Nel 2001 ha ricevuto la candidatura per il premio Nobel ma non l’hai vinto (e mi dispiace). Ora, ironicamente, le do la possibilità di convincere la giuria a darle il Nobel.

Y.D.: Ma quale soldato non vuole diventare generale! Solzhenitsyn ha scritto nei suoi diari: “il premio è stato dato, e ancora una volta non a me!” successivamente poi gli fu conferito. Per scherzo potrei prova a convincere i giurati del Nobel leggendogli le mie pillole da “Là non è qua”. Se riesco a farli ridere magari cambiano idea.

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