L’otto per mille di Star Wars

Perdonate gli accenti, perdonate le spalle, perdonate il ritardo, tutti noi abbiamo sempre qualcosa da farci perdonare, ora che poi è Natale è tutto più facile perché per una ventina di giorni siamo tutti più buoni, tra l’altro è uscito Star Wars e in Australia puoi donare il tuo otto per mille alla religione dei cavalieri Jedi. Questo è il riassunto del mondo moderno. Che qualcosa sia con voi!

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Ricomincio da To Jest

Questo è un post lungo e noioso quindi se non avete tempo, non soffermatevi troppo perché potrebbe non valerne la pena, davvero, ve lo dico da amico molesto di Facebook. Non metterò nessun tag , un po’ perché non voglio trascurare o offendere con la mia dimenticanza, infatti l’elenco delle persone da ringraziare e troppo lungo e poi, mi piace l’idea che Voi, amici cari, possiate riconoscervi in queste righe disparate e sconclusionate messe insieme nelle prime ore di questo Venerdì che mi vede ancora insonne. In realtà è difficile perfino per me dire perché io lo stia scrivendo tutto ciò, perso come sono in questo angolo di mondo… forse voglio solo rispondere a una domanda che mi pongo da tempo…cosa c’è dietro un libro? Pubblicare un libro è un po’ come mandare un messaggio in una bottiglia, non sai mai verso quali lidi sia diretto e dove possa finire con l’approdare e così fu anche con questo mio To Jest che da due anni ormai mi porta in giro, arrivato com’è in posti dall’ortografia decisamente incerta nella memoria quanto improbabile, da Morbello a Poltava passando per Ovada, Molare, Genova, Trento, Cosenza, Cava de’ Tirreni, Gdansk e Ostrowiec Swietokryskie… un libro fortunato, passato al vaglio da un maestro di breviario e che ha trovato la fiducia di molti… in fondo se ci penso è davvero buffo come la scrittura, la mia debole scrittura emotiva, riesca a convincere la gente a credere in me e, a dire il vero, in questo periodo non sono stati di certo pochi a farlo… tanto che qualcuno mi disse “sei più scrittore di altri!”, beh forse ricordo male e il punto esclamativo non c’era nella nostra conversazione, ma tant’è… Io, davvero, non so come meritarmi sul serio questa qualifica, cerco sempre di essere all’altezza della mia missione, cosa umanamente impossibile, ma semplicemente, posso dire che ci provo, tra un errore di vita e un espediente culturale… scrissi questo To Jest per esorcizzare un po’ di eventi che precipitarono su di me tutti assieme, dalla fine della relazione con Valentina, sono anni che non ne scrivo il nome completo, alla tragica scomparsa di uno dei miei più grandi amici, il Perra e non solo. La composizione di To Jest è stata purtroppo accompagnata da due funerali, il libro è dedicato a Pietro Marchesani che non fece mai in tempo a leggerlo, e due mancati matrimoni miei, niente da fare, scelgo sempre la donna sbagliata o sono le donne sbagliate a scegliere me? Come vedete io e questo libro ne abbiamo passate tante insieme in tre anni. Stavo quindi crescendo e crescere vuol dire, in qualche modo, cominciare a capire le perdite. Ricordo fin troppo bene come sei anni fa, in pochi mesi persi tutto, da Roma ad Acqui e mi ritrovai solo con le nove stagioni di Seinfeld in Dvd, la birra dell’Orso e venti fottutissimi euro nel portafoglio. Potevo mollare, ma come Andrea disse poi in seguito: “ scrivi, perché scrivere è quello che ci ha sempre salvato” e che, forse, aggiungo io, ci salverà sempre. Così mi misi a scrivere e per scrivere mi misi a viaggiare, tornando dove sono ora, in Polonia, una nazione che per me, e spero che non solo per me, è davvero stregata. Ci ho messo tre anni ad elaborare To Jest, fissato com’ero sui piani temporali, sul feticcio letterario di Schulz, perso nei ragionamenti filosofici, cercando di intrecciare il tutto basandomi sempre e solo su una frase della Szymborska. Lo scrissi, lo riscrissi, lo smontai e lo riassemblai, affacciandomi su quel mare, il Baltico, che mi aveva accolto nel mio momento peggiore e che mi aiutò a non mollare. Io ora non so se Cracovia rappresenta per me un punto di arrivo o un punto di partenza ma non ci voglio nemmeno pensare al momento. Per ora so che l’aver scritto questo libro mi permette, per un motivo o per l’altro, di prendermi tre giorni di ferie, cosa non da poco visto che tra un lavoro e l’altro, sono anni che non me li posso permettere. Inoltre so di sicuro che quello che sto facendo e scrivendo al momento non è importante per il mondo, ma è importante per me e, forse, per qualche lettore al momento tutto ciò mi basta. Davvero, mi sorprendo ma è così, per la prima volta mi basta e quel perenne senso di insoddisfazione che mi attanaglia si è momentaneamente intorpidito. Che altro aggiungere? Nulla, ma se martedì prossimo, 17 Novembre 2015, sarete a Cracovia, verso le ore 18:00 potete fare un salto a trovarmi per provare a capire cosa c’è dietro un libro e perché la Polonia è stregata. A questo punto i ringraziamenti per gli assenti sono d’obbligo. Il mio grazie va a: Gordiano, che è stato tra i primi a credere in me. Simone e An To, per le conversazioni e la pazienza che mi hanno sempre dimostrato. Walter, per le discussioni sul testo. Frank, Carlo, o come cavolo ti fai chiamare ora. Andrea per il Grande Johnny e la Grande Umanità. Daniela. Valentina, Diego, Francesco e Bean, per essere una presenza costante. Alessio, Giovanni e Valerio perché la vostra musica e la vostra amicizia sarà sempre la mia colonna sonora migliore. Massimo che è dai tempi dell’Acqui- Genova che mi sopporta e supporta, Stefano, anche se ne va in Corea, Ciccio, perché in fondo Sa che ‘t dise, Sara perché in qualche modo, anche se gli anni passano, trova sempre il modo di esserci. Giovanna che sa cosa vuol dire To Jest. Giusi per i consigli sulle multe e non solo. Danuta per i caffè mancati. Emilia per i suoi sforzi nel promuovermi. Andrea, per tutti i chilometri fatti insieme a nord di Pisa inseguendo un sogno di salvezza che è sempre lì, irraggiungibile, anche se sembra a portata di mano e allora, non ci resta che scrivere.

 

 

 

 

 

Libertà di scelta

Il mondo è incredibile. Devi volerlo incredibile. Fatto concavo quando serve convesso e viceversa. Mezz’ora seduto di fronte a una scritta anti fascista, ma tutto si scolla e dimentica in fretta. Riportare a casa il senso di tutto ciò sarà impossibile o per lo meno difficile. Parole scelte anni fa che solo ora, tramite la via d’inchiostro dell’esilio, trovano la loro strada.

– Vuoi davvero rivedermi?
– Forse…
– Da che dipende?

Dalle costellazioni, dal calendario Maya andato a male, dalle maree, dall’orologio atomico di Houston in Texas, dalla galleria di neutrini del Cern di Ginevra scavata dai ministri della pubblica istruzione, dagli esodati, dai giovani choosy, dagli 80 euro che non ti spettano, dal gam gam style al pulcino pio, dai gol in fuorigioco della Juve, dalle polemiche di Benitez, dal wifi che salta sempre quando non dovrebbe, dalla morte di Kurt Cobain, dalle nuove labbra di Maradona, dal sole che si scaglia con violenza sul mio maglioncino invernale, dalle macchine in doppia fila, dai quindici minuti dal barbiere, dalla cronaca scambiata per storia, dai biglietti della lotteria, dal gratta e vinci, dall’aperitivo del venerdì sera con Piero, dalla colazione del sabato mattina con Ciccio, , dalle scommesse perse alla Snai, dal caffè con Robero e Andrea, dalla fatica della salita del Rocchino che diventa tristezza quando la fai in discesa, dalla voglia di evadere, dall’urgenza di capire, dalla necessità di accettarmi, dal tuo dono di accettarmi.

– Si, va bene, la vita è un gran casino, rivediamoci quando vuoi.

 

Prophetikon’s Filitsa Sofianou-Mullen – a review by Fabio Izzo

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I just read Prophetikon by Filitsa Sofianou-Mullen for the second time—the first was like an immersion in wild waters, a kind of forceful baptism into the poet’s visions and memories. The second reading gave me a deeper understanding of the importance of looking at the world with fresh eyes, of looking at the simple things in life with awe and at the traumatic things in life with acceptance and endurance.

The poet’s native Greece features almost permanently in her poems: the sea, Olympus across from it, the streets of her town, her home, her neighbors cooking, visions of childhood and motherhood in those places, and even reminiscences of how things used to be before “the posh cafés” took over. Other poems are more universal albeit localized: what is famine, what is it for a young girl to be begging relatives for food for her baby brother, after walking over the dead bodies of neighbors who have apparently starved to death and are left on the curb to be presumably picked up? What is happiness for the poet and for us, if not a simple worm-shaped poem that talks about spring time, rain and a child’s shoes leaving “worms intact and wriggling”? How does wisdom come to childhood?

I especially liked the dense poem about a real person “Christina 1979”. In it, although death is not mentioned, a school-fellow must have died and the poem is an attempt to come to terms with the death of the school-fellow and with the idea of death in general, as a girl contemplates it in her mother’s arms after her friend’s funeral.
I think the best poem in the collection is “Patmos”, a simple rustic incident on this island of the Dodecanese that forces the poet to contemplate from a bull’s perspective the confusion between ecstasy or life and death or “the short distance between delight and fall”.

The poems in this book will transport readers to Mediterranean landscapes redolent with pomegranate and mourning doves and into visons and prophecies for the past, present and future.

Here an interview with Filitsa Sofianou- Mullen

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Monferrato, neve e cappuccini

Da Mompracemradio riporto questo mio vecchio inedito che parla di Monferrato, neve e cappuccini

Hildebrando Aristolakis.
E’ la sua storia, la sua incredulità di fronte al mondo. Hildebrando sapeva.
Aveva visto che la neve legava la terra al cielo,
la rendeva simile ad una nuvola e copriva tutto lo spazio tra cielo e terra cadendo giù.
Hildebrando Aristolakis aveva avuto una vita semplice.
Come semplice erano i suoi pensieri.
Una laurea che era arrivata ad un posto di lavoro temporaneo, che lo lasciava sempre in sospeso, come un bambino sul tetto del mondo a guardare in giù.
Non si meravigliava più, in fondo il suo nome l’aveva abituato allo stupore.
Era uno stupore riscontrare tutte le volte che si presentava o che veniva introdotto a qualche nuovo conoscente come fosse facile risalire alle sue origini.
Hildebrando Aristolakis? Lei deve essere del Monferrato , giusto?
Giustissimo.
Il Monferrato è quel tipo di territorio che rigetta al mondo persone come Hildebrando Aristolakis e poi le tiene strette a se tra colline, vini e nebbia.
Hildebrando Aristolakis ricorda ancora quando in un viaggio scolastico delle scuole medie superiori, all’epoca erano ancora chiamate gite , e diceva che ricorda ancora quella scoperta di Roma, quella scoperta del mondo e di conseguenza , come il mondo scoprì lui.
Avvenne tutto con noncuranza in una sera di maggio sotto un ponentino che non aveva mai più riassaporato ma che rimase indissolubilmente legato al ricordo sonoro del suo nome così pronunciato:
Hildebrà Aristolà.
Seguì il solito ovvio: “ Il signore deve essere per forza del Monferrato”
Ma oggi nevicava e Hildebrando Aristolakis pensava a tutto ciò sotto la neve.
La guardava scendere giù e un desiderio nasceva in lui.
Avrebbe voluto chiedere ad ogni fiocco se anche lui o lei… oggi Hildebrando Aristolakis si poneva dubbi anche sulla sessualità dei fiocchi di neve e sulle cose tutte, quasi come se non si sentisse originario del Monferrato e quasi come avesse un aristoqualcosa nel cognome.

Era un altro giorno e si era ritrovato a scrivere un tema per il fratello della sue ex eterna fiamma.
Un tema da liceo e Hildebrando signor Aristolakis sapeva benissimo che le sue parole mal si sposavano con ambienti classici.
Da giovane il nostro aveva pure avuto una mezza idea di continuare la sua carriera di scrittore, ma poi aveva realizzato in cuor suo la differenza tra letteratura e libri spazzatura.
I libri di letteratura aulica sono quei libri nelle cui pagine giace l’autobiografia malnascosta dello scrittore assieme a un continuo citare di autori e opere sconosciuti ai più.
Il resto , tutto il resto, esulava dalla letteratura contemporanea.
Scoperto questo Mr. Aristolakis continuò a scrivere cose sue, si proclamò poeta e divenne salariodipendente.
Ovviamente tutto ciò nelle sue poesie venne sempre taciuto e le sue opere letterarie di bassa qualità contemporanea parlavano di un discendente della stirpe monferrina degli Aristolakis ribattezzato come Hildebrando che amava leggere romanzetti da poco e perdere tempo racchiuso nei suoi pensieri davvero incomprensibili ai più, a volte non ci capiva nulla nemmeno lui e attribuiva quindi questi pensieri incomprensibili a qualche contaminazione da letteratura aulica.

Si potevano inventare molte cose al mondo, tutto era riempibile di fantasia e Hildebrando lo sapeva bene.
Molte volte avrebbe voluto inventarsi un’altra vita, una vita non sua, una vita differente da romanzo economico o da soap televisiva, una vita dove non ci fosse un attimo di tregua e dove i pensieri venissero compressi da azione e donne mozzafiato, ma a mozzare il fiato monferrino era solo la noia e quella casa che si chiama nebbia tra le colline.
Si potevano inventare vite intere, riempire curriculum vitae di fantasia e raggiungere il successo.
Si poteva usare la fantasia, ma alla fine si doveva mentire.
Mentire? Un Aristolakis di certo non lo fa, gente umile ma integerrima.
Il credo di famiglia era: Un Aristolakis non mente, subisce.
Non c’erano bugie o menzogne nella famiglia e quindi di conseguenza mancavano blasoni, stemmi, stendardi ,icone , santi, emblemi e ricchezza nella famiglia.

Rifletteva aspettando il treno.
Rifletteva riflessi di luce propria.
Era perso in quel paesaggio troppo russo da non essere italiano, perso nel bianco caduto precedentemente.
Si inventava quindi un personaggio russo, un Nicolaj Rossi.
Gli dava un nome, un età, un aspetto indefinito e arrivava a percepirne l’esistenza.
Nicolaj Rossi a Mosca ora esisteva in un paesaggio troppo italiano da non essere russo.
Nikolaj Rossi poteva percepire Hildebrando Aristolakis e riflettere di luce propria.

Un altro giorno e si sentiva perso, sentiva perso il suo ruolo nel universo, aveva perso la renitenza, perso il significato del peccare.
Un alone di perdita avvolgeva il suo mondo conosciuto, quello sconosciuto, lo aveva perso da tempo nelle ricerche di mattine ancestrali dentro un cappuccino privo di identità.

La radio macinava tempo e acqua di anime nella lenta mistura di una canzone che parlava di un amore troppo lontano nel tempo.
Di un amore finito quando al tuo debole nome di Hildebrando lei preferì un tizio che si faceva chiamare Barracuda.
Una delle prime delusione , forse la prima, perché in lei aveva investito più che in chiunque altro il povero ragazzo del Monferrato?
Pensava di essere amato, di essere accarezzato, di vivere ogni attimo come se tutto questo fosse per lui, destinato a lui e mai, ma poi mai, in una mente che si era persa ben prima dei bastioni di Orione era stata concepito un barlume, un aborto di pensiero disastroso schiantatosi nell’amore.
Contro Barracuda invece, era probabile che ogni storia di amore
finisse e che lui invece finisse a scrivere temi sul Petrarca per un ragazzino viziato che aveva il solo merito di essere il fratello della ragazza che scelse Barracuda al posto dell’amore.
Amore?
Ma era amore?

Hildebrando non lo sa e questi sono pensieri che naufragano alle nove del mattino nella schiuma calda di una bevanda calda in un mattino tiepido di un mite inverno in una testa calda dalle mani fredde.