Il più italiano dei Beat, il beat più italiano: stiamo parlando del poeta Gregory Nunzio Corso, italo/americano di padre calabrese e di madre abruzzese. In gioventù il nostro Gregory entra ed esce dal riformatorio ma invece di perdersi, finisce con il riscoprirsi, lì infatti scocca il colpo di fulmine tra questo figlio di immigrati italiani e la poesia. L’autore de “La Bomba” ha così ricordato questo suo particolare incontro:
“..leggendo Shelley in un carcere minorile che aveva cominciato a scrivere poesie, a sognare la Bellezza con la B maiuscola, a immaginare mondi stellati non legati ai fili della logica inesplicabili”.
Un passato turbolento e una formazione da autodidatta non potevano che portare Gregory, lì dove nessun poeta si fosse mai spinto, cioè arrivare a fare a pungi con l’autore de “Il Nudo e il Morto” Norman Mailer, proprio in seguito ad una discussione fin troppo animata riguardante la Beat Generation.
La lingua poetica di Corso è colta e ricca di richiami classici, le immagini liriche esplodono fresche nelle sue opere e appaiono psichedeliche quanto infarcite di richiami alla cultura classica, come nel componimento “La Primavera del Botticelli”. Corso descrive in questi suoi versi la cultura italiana, addormentata in tutte le sue illustri figure, accompagnate sullo sfondo da campanili ghiacciati e smarriti in attesa di un arrivo di un segno, come fu per lui la scoperta della poesia nel carcere giovanile, in questo caso fino al momento in cui Botticelli arriva ad aprire la porta del suo studio, l’arte porta alla rinascita:
“Della Primavera nessun segno! Nessun segno!
Ah, Botticelli apre la porta del suo studio”.
Corso nell’arco della sua vita trascorse lunghi periodi in Europa, infatti dal 19957 al 1966 era facile trovarlo a Parigi, nelle stanze del famoso”Beat Hotel” del Quartiere Latino, storico albergo presso cui risiedettero diversi esponenti della cultura Beat come Ginsberg, Peter Orlovsky e William Burroughs. Nel decennio successivo Corso passò poi a frequentare assiduamente il paese dei genitori, l’Italia, vivendo spesso a Roma, città che attualmente ospita nel cimitero acattolico del Testaccio le ceneri del poeta, posizionate a fianco alla tomba di Shelley e non molto lontano da quella di Keats, poeti molto apprezzati dallo stesso Gregory.
Fernanda Pivano ha descritto il suo Corso così: “insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza”.
Una descrizione questa che calza alla perfezione anche per “Ah, Roma!” canzone che il poeta ha inciso su musica di Francis Kuipers per l’etichetta Red Records. Il testo, che trovate di seguito, è un esplosivo idioma, risultato di una mescolanza italo americana apparentemente semplice e ingenuo, strafottente nella pronuncia approssimata, ma se si oltrepassa l’apparenza si scopre che il testo non è mai sciocco, le sue parole scorrono fino a esplodere improvvisamente nel finale. Già, la poesia è una bella donna che permette al suo autore di fare tutto quello che vuole, tutto ciò che altrimenti sarebbe impossibile, di colmare lacune e di poter finalmente salutare Dio.
Ah, Roma!
Ah Roma!
Io molto tragico
Io no omo
No papa
No mama
No dente
No bella donna
No dio
Niente solo io
Ah, Roma!
Io molta felicità
Mie case tutte belle
Io papa
faccio mamma faccio bambini
I can buy dente grande coccodrillo
ancora
I got bella donna
signorina poesia
tutti Io
ciao dio
Corso fu anche protagonista della televisione italiana. Intervenne in una puntata di Blitz, trasmissione di Gianni Minà dove si trovò a colloquiare con Fabrizio De Andrè. Il cantautore genovese in diretta si espresse così a proposito del poeta Beat: “La cosa che mi ha stimolato di più da parte di Gregory Corso è questo suo modo di scrivere per stimolare a sua volta la gente a scrivere. Quindi non è stato una porta chiusa ma una porta aperta. Se tu leggi Dante Alighieri ti si chiude veramente una porta di stagno in faccia. Ha scritto lui, io non scrivo più. Corso ti dà la possibilità di continuare a scrivere, ti fa venire voglia di scrivere.”
Sempre da quella storica puntata apprendiamo che per Corso la poesia è “smart”, in risposta a una domanda di Minà, (sorvoliamo sulla traduzione simultanea dell’epoca che al pubblico italiano offrì una versione abbastanza improbabile mettendo sulla bocca dell’ospite americano un: “La poesia è semplicemente essere un po’ strani”, cosa che fece storcere un po’ il naso a Corso stesso che sembrò capire in diretta la traduzione sbagliata). L’incontro televisivo tra il cantautore genovese e il più giovane esponente della Beat Generation finì con l’omaggio di parte di Faber del disco del 1970 “Storia di un Impiegato” dove sul frontespizio compaiono, per l’appunto, alcuni versi del poeta per lui motivatore tratti da Visione di Rotterdam, scritti per ricordare la distruzione della città olandese effettuata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale: “La pietà si appoggia al suo bombardamento preferito e perdona la bomba” parole che ricordano i versi deandreiani: “Nella pietà che non cede al rancore madre ho imparato l’amore”,
De Andrè in questo suo intervento ha citato in parallelo Corso e Dante come poeti di riferimento, di apertura e di chiusura, Corso è per lui poeta motivante mentre Dante resta inarrivabile. Dante è però il trait d’union perfetto verso un altro omaggio che la cultura italiana, quella con la C maiuscola, ha fatto a questo poeta figliol prodigo. Molto famosa e apprezzata infatti è la lettura della Divina Commedia registrata da Vittorio Gassman, ma il grande mattatore ha omaggiato con la sua recitazione anche Corso. Infatti nello spettacolo teatrale del 1973, Il trasloco, ha letto i versi di Matrimonio, una delle poesie più famose di Gregory,