Latin Lower

Latin Lower, semplice racconto sui mondiali di calcio, era stato scritto per un’antologia de Il Foglio Letterario, progetto poi accantonato. Le tematiche di riferimento sono le stesse di “Balla Juary”:il calcio, l’ingresso nel mondo adulto tramite il lavoro che non c’è e il sesso come iniziazione all’amore…Contrariamente a “Balla Juary”, Latin Lower, nei toni e più leggero e ironico anche se è pervaso da una vena di malinconia. Per i miei cronisti ufficiali e non, Latin Lower fu stato scritto a Febbraio/Marzo, dopo il naufragio di un fidanzamento fasullo e dopo il mio ritorno alla vita “on the Road”, all’insegna del mio ritorno in Polonia (otto anni dopo!)
Se avete voglia di leggerlo, eccovelo qui :

LATIN LOWER

“Cigarini per Maggio, l’ala azzurra entra in area di rigore ed è GOOOOOL!!!!

Incredibile amici: Christian Maggio! 1 a zero! Signori questa è l’Italia!
Questa è l’Italia! Un colpo di biliardo come il Cigno di Utrecht, esattamente come Marco Van Basten in Olanda- Urss degli europei del 1988. Splendida coordinazione di super bike Maggio! Ma questi sono i mondiali tifosi azzurri e salite su con noi sulla giostra che l’avventura dell’Italia è appena cominciata”

E’ evidente come ormai anche i cronisti e il linguaggio sportivo si siano evoluti.
Una volta era cronaca, oggi invece è tifo puro.
Prendete una pagina della Gazzetta dello Sport di venti anni fa e confrontatela con quelle di adesso. A rimetterci è stato il linguaggio, tagliato e cucito ormai su titoli pressoché onomatopeici.
Così anche la nazionale azzurra in questo mondiale si è dovuta portare a seguito i suoi cronisti-tifosi in un variopinto caravan serraglio; cronisti tifosi che normalmente seguono le squadre del campionato di serie A sulla pay per wiew.

Fortunatamente il primo gol azzurro in questo mondiale sudafricano l’ha segnato un giocatore del Napoli e così l’esultanza è quella tipica partenopea.

Maggio poi, un nome romantico...

na sera e maggio

maggio, il mese del primo e indimenticabile scudetto napoletano.
Maggio, un nome, una profezia dietro a una profana parusia.
Chissà che non sia una buona novella per questa nuova religione mondiale del pallone chiamata a ripetere i suoi riti ogni quattro anni.

Il gol mi mette di buon umore, non poco a dire il vero, mentre sotto di me si sono  addormentati i cieli dei tetti rossi di Danzica.

Estate del 2010, i calciatori sudano al caldo di un clima sud africano mentre qui a 70 anni dalla II Guerra Mondiale e a 30 anni da Solidarnosc, i mondiali di calcio passano come un leggero vento di folclore perché la nazionale di casa non si è qualificata.

Per mia fortuna riesco a seguire, grazie al satellite dell’albergo, quasi tutte le partite anche se in una guazzabuglio di reti e di lingue estere, ecco la nuova torre di babele.

Non preoccupatevi, I riferimenti biblici escono fuori solo perché l’unico libro che ho con me è l’immancabile bibbia d’albergo, edizione trilingue: polacco, inglese e tedesco.

Sfortunatamente non ho nessuno con cui guardarle o almeno è quello che pensavo fino a quando non sento bussare alla mia porta.

Toc toc

–  Kto tam?

(In polacco vuole dire chi è là)

Del perché parlo polacco è una storia lunga che magari vi racconterò in un’altra occasione. Per ora vi basti sapere che per me la Polonia è una seconda casa.

In effetti mi sento un po’ come  l’Alain Quatermann polacco che invece di avere  il  continente africano a  sua protezione, si ritrova a difesa il Cristo delle Nazioni,ovvero  la Polonia com’è storicamente conosciuta.Il mal di Polonia poi è un sentimento strano che in pochi capiscono, paragonabile forse al mal d’Africa, un’innata nostalgia per questa realtà europea ma sicuramente peculiare.
Ora, aldilà di questa barriera intagliata dal legno delle foreste di Chorzow o di qualche altro paese narrato da Isaac Bashevic Singer, non risponde nessuno.

Toc toc

Si ripete il rumore sordo.
Mi sembra di essere in una di quelle barzellette da telefilm americano della serie: “toc toc chi è là”.

Invece sono nella mia vita, in una parte decentrata della mia vita.

Sono sempre stato un tipo riflessivo ma in qualche modo so bene quando è il momento di agire anche perché l’arbitro ha appena mandato le squadre negli spogliatoi per la fine del primo tempo.

Così scendo dal letto e vado ad aprire.

Giro la maniglia e attiro a me la porta di quel legno profondamente immaginato in qualche saga familiare da premio Nobel, tipo Milosc, che pesantemente segue il suo raggio d’azione limitato, restando ben piantata sui cardini.

In un gioco di circonferenze visive incomincio dapprima a intravedere e poi finalmente vedo.

E’ una ragazza.

Come in tutta la mia vita.

Sono maledetto dalle ragazze.

Le incontro, me ne innamoro e le seguo.

Le donne no, quello è un capitolo della mia vita che si deve ancora aprire.

Non c’è altro da aggiungere.

Ognuno della sua vita fa quello che vuole.

Potrei farvi l’elenco numerato e dettagliato: non ci metterei molto in fondo, anzi mnemonicamente già lo faccio, ed ecco che scorrono le iniziali, per rispetto della privacy,  in rigoroso ordine cronologico:

A, N, Y, F, S, M, V, N, M, D .

Se ne ho dimenticata qualcuno sarei pronto a scusarmi ma la confusione del momento, le storie di Singer,il mondiale azzurro, il gol di Maggio e la bionda alla porta, beh, perdonatemi ma chiunque avrebbe perso la testa.

– Czy potrzebasz qualcosa…

Dice lei ma non ho capito…non ho messo a fuoco il cervello, intontito già al primo colpo di questo incontro e rispondo con un:

-Non ho capito.

La frase mi esce proprio in italiano non facendo capire lei-

– May i the towel…?

Hmmm…ok, a questo punto penso di aver capito, non parla un gran inglese ma deve essere qui per gli asciugamani….

– Sure, sure.

Certo Certo e la faccio cenno di entrare mentre dandole le spalle torno a sedermi sul letto mentre mamma Rai trasmette l’immancabile pubblicità della pasta…

– Are you italian?

– Tak, yes

– Oh I understand

Fermi tutti, ha capito? Cosa ha capito. Qua nemmeno ho parlato e vengo già inserito nell’elenco degli stereotipi: in pizza, mafia, mandolino e latin lover?
– Co ty rozumiesz? (Cosa hai capito)
– Mowisz po polsku? Dlacego? (Parli polacco? Perché?)
– Come ti chiami?
– Monika-
E in inglese le dico che è una lunga storia e che se vuole sentirla posso raccontargliela di fronte ad una birra stasera, dopo che lei ha finito di lavorare e dopo la partita ovviamente.

Non al bar dell’albergo, mi dice lei, perché non vuole che si facciano una brutta idea visto che lavora qui solamente da due settimane e già mettersi a frequentare clienti e italiani per di più, non l’aiuterebbe di certo.
Oh ma sta storia degli italiani all’estero dovrà cambiare prima o poi, no?

Sono quasi stufo di essere accomunato alla massa infoiata di italiani che va all’estero ad alzare il tiro su tutto quello che passa.

Comunque se ne va e l’appuntamento è al centro commerciale vicino.

Torna invece il secondo tempo della partita e l’Italia viene rimontata da un gol di un certo Papete!

Papete dico io, ma si può prendere gol da Papete?!

Non è bastato un grande Maggio a giugno e il mondiale comincia con un pareggio.

Sul cellulare arriva qualche messaggio dall’Italia, dove il malcontento sembra essere generale.
La spedizione azzurra è deludente, c’ è chi dice in Spagna come nel 82 chi in Messico come nel 86 e un mio amico arriva ad azzardare addirittura un lontano paragone con l’Italia di Sacchi negli Stati Uniti nel 94.

Mentre penso a Signori, schierato come terzino nella partita contro la Norvegia e a Zola espulso immeritatamente contro la Nigeria, mi faccio una doccia prima di uscire.

Diciassette piani più giù mi aspetta un mondo lontano dalle tipiche polemiche calcistiche all’italiana; qui Maurizio Mosca e Aldo Biscardi avrebbero dovuto inventarsi un altro mestiere.

Uscito dall’albergo il mondo continua a girare e mi ritrovo a in un lungo viale a passeggiare verso un centro commerciale,

Non è una brutta città e a dire il vero e comincio a pensare che potrei rimanerci a seconda di come vanno le cose anche se il mio incarico finirà tra poco, come tutti i nuovi contratti.

Vallo a trovare un contratto che dura più di tre mesi al giorno d’oggi.

Sono qui da oltre due mesi per rilevare il peso specifico del carciofo polacco e trasmettere i dati ad un’agenzia europea di cui non sto a farvi il nome.

Un incarico inutile mutuato dalle modifiche genetiche dell’apparato di Maastricht. Questa è l’Europa!

Uno studia, si fa un mazzo così per diventare una persona rispettabile e finisce poi con il rilevare il peso specifico del carciofo della Pomorskie (Pomerania), la regione di Danzica.
Mah…e mi ritengo ancora fortunato, un mio amico è finito in depressione dopo aver lavorato come portalettere per tre mesi.

E’ impazzito per la burocrazia, gli A.G., la gente che non è in casa e poi va a lamentarsi perché il postino lascia l’avviso nella buca delle lettere senza suonare.

Ha suonato a tutti i campanelli!Lo giura, ma non ha mai risposto nessuno.

Ora fa il bassista in un gruppo punk. La tracolla per il basso se l’è ricavata dalle corde delle tapparelle mentre un’altro nostro amico invece voleva usare le corde delle tapparelle come solette per le scarpe e ora fa il vigile urbano.
Questa è l’Italia.

Null’altro da aggiungere mentre le porte automatiche del centro commerciale si aprono davanti a me, in semi lontananza, la vedo.

Senza divisa dell’albergo, avvolta nel suo stile personale la riconosco ancora di più come persona. La vedo diversamente, capisco alcune cose, altre no.

Andiamo a sederci in un locale dove prendiamo due birre e come promesso le racconto la mia storia o almeno parte della mia storia del perché parlo polacco.

A volte non so cosa capisca davvero perché ride quando penso di aver detto qualcosa di serio e a volte non ride quando penso di aver fatto una battuta brillante.

Alla storia del carciofo della Pomorskie non ride.
L’ironia sfuma in un coagulo di lingue.

Sembriamo un gramelot di Dario Fo in questo incontro d’esperanto.

Si è fatto tardi, deve rientrare.

Ci salutiamo con due sorrisi differenti.

E mentre va via si gira, si porta il dito indice sulle labbra poi mi indirizza il bacio e facendolo mi dice:
– Papete- e ride, andandosene così.

Pago e mi incammino verso la mia stanza.

Parte II

Il giorno dopo. the day after

Il sole è in grado di splendere anche su Danzica.
Mi sento un alieno in mezzo al centro.
Danzica è un angolo preciso d’Europa, piazzata lì dov’è.

Mi sento un alieno, come Sting a New York, applicato all’angolo nel teorema sociale della mia vita.

Come i protagonisti di “Mediterraneo”, il film che ha dato l’Oscar a Gabriele Salvatores, ho quell’età in cui ci si deve decidere se mettere su famiglia o perdersi per il mondo.

Al momento sono perso, solo tra le mie indecisioni e ho accettato questo incarico per vedere se posso effettivamente perdermi per il mondo e mi sono perso.

Ho passato il resto della precedente serata a leggere la bibbia mentre nella mia mente risuonavano le tre sillabe di un nome centroamericano cadenzato da una voce femminile polacca.
Papete.

Ma che vorrà dire tutto ciò?

Controllo l’agenda-ore 10 piazza del mercato-rilevamento carciofi, sai che novità, sono quasi 3 mesi ormai che peso carciofi…Ok, sono impegnato per tutta la mattina.

Prendo un caffè al bar dell’albergo, accreditandolo sul conto spese della camera e chiedo alla receptionist come posso raggiungere il mercato.

Linea 9, sei fermate, sceso giro a destra.

Questo è quanto. Il resto della mattinata passa tra calcoli matematici applicati alla verdura per andare poi ad esprimersi in politichese.

Rientro in albergo che sono le tre…sbrigo due o tre cose su internet e mi accorgo che sono le sei,
Accendo la televisione per la partita del mondiale.

Alla fine del primo tempo mi accorgo che la sto aspettando ma nessuno ha ancora bussato alla mia porta.

Vado a controllare gli asciugamani e amaramente scopro che sono già stati cambiati.

Finisco così di vedere la partita, finita con uno squallido zero a zero e mi avventuro per le strade di questa città tutta da scoprire.
Dopo un kebab poco locale decido di andare in un pub consigliato da una guida scritta da un italiano che qui ci ha vissuto cinque anni quindi, penso che anche lui un mondiale di calcio deve averlo visto qui visto che il torneo si effettua ogni 4 anni.
Oddio, ecco comincio a calcolare a caso e mi porto il lavoro al pub, meglio smettere di pensare.
Tra gli avventori etilisti sgamo subito un finlandese che cerca di ordinare una Koskenkorva con non troppa fortuna, rispolvero il mio finlandese (del perché parlo un po’ di finlandese, beh questa è un’altra storia che magari vi racconterò in occasione degli europei di calcio che si terranno in Polonia nel 2012).
Alla nostra nuova amicizia internazionale si aggregano altri confini: un inglese e la sua amica francese; insieme decidiamo di dedicare la serata al “cane pazzo” (vodka, tabasco e succo di fragola) ma il barista ci caccia via che sono le quattro del mattino e non riesco a ricordarmi i versi della poesia della Szymborska, di questa serata rimarrà giusto un mal di testa e le foto taggate su facebook.

Il risveglio dell’hang over è sempre traumatico.
Oggi mi tocca controllare la grande distribuzione, chiamo il numero e in qualche modo mi metto d’accordo.
Siccome il magazzino è fuori città, niente da fare, mi tocca prendere un taxi che ovviamente metto in conto all’agenzia.

Una delle poche cose che ho imparato sui taxisti polacchi e mai fargli sapere quanto non capisci. Per questo compro una copia della “Gazeta Wyborcza”, un quotidiano locale e dopo aver detto all’autista la via, mi metto a leggere il giornale o ci provo.
Starò capendo il 40% dei titoli e non ho tanta voglia di mettermi a seguire le beghe locali o il gossip di attrici e cantanti che manco so chi siano.
Mi soffermo sulle pagine sportive dove il mondiale è seguito a tratti.
Articolo sulla partite di ieri, presentazione delle gare di oggi  trafiletto su quelle di domani. Se riesco a tornare in tempo dalla campagna polacca potrei vedere la partita altrimenti, nulla.

Il taxi attraversa campagne su campagne dove ogni tanto appare qualche cappelletta o qualche crocifisso ma per il resto a parte la presenza divina qui non c’è nessuno fino a questo immenso capannone, cemento a vista, piantato nel nulla.
Un chiodo di modernità che trafigge il doloroso suolo di questa nazione.

– Musie czekac?

– Czekaj, czekaj… Ripeto di aspettarmi in un imperativo sgrammatico perché se mi abbandona qui non saprei proprio come fare a tornare.

All’interno mostro il tesserino dell’agenzia europea a un guardiano che deve aver ricevuto ordini dall’alto per il mio annunciato arrivo.
Mi porta a fare un giro guidato di tutta la struttura e insiste per offrirmi una grappa da lui distillata.

Per educazione, qui in Polonia non si rifiuta mai un invito a bere.
Il guardiano vuole brindare all’Italia; scopro che segue il calcio italiano e brindiamo all’euro-gol di Maggio.

Penso che sia di patate mentre butto giù quest’intruglio.
Mi dedico quindi, con un sapore di patata in bocca, a effettuare le misure regolamentari sul carciofo della Pomorskie quando il tipo mi fa cenno di seguirlo.
Mi porta alla sua televisione perché, capisco, comincia la partita delle sei.

Ed ecco che entra il tassista che mi doveva aspettare, in mezzo al silenzioso nulla ha sentito gli inni nazionali e mi chiede se può aspettarmi guardando la partita. Un cenno d’intesa con il guardiano e ci mettiamo a seguire l’incontro bevendo vodka di patate.

Finita la gara finisco velocemente i miei calcoli e  il magazziniere chiude le quattro pesanti serrature e ci chiede un passaggio visto che la prossima autolinea passerà tra circa un’ora di campagna.
Ma che volete, basta una partita di calcio e dell’alcool per far nascere un’amicizia tra uomini e così finiamo in un altro locale di Danzica a passare la serata.
Il magazziniere, Marcin, è uno studente di ingegneria informatica che lavora per pagarsi gli studi mentre il tassista, Marek, si è appena divorziato perché la moglie l’ha lasciato per un avvocato di Cracovia.
Il mondo, in diversi luoghi, presenta sempre le solite storie.
Finiamo a cantare le canzoni dei “Nirvana” con delle bocche impastate che nemmeno Kurt Cobain, per non parlare dei nostri sguardi non troppo intelligenti.
Tra tutto ciò mi trovo per un attimo a pensare se mi avrà cambiato gli asciugami.

Parte III

Nulla da fare

Oggi gioca l’Italia e puoi lamentarti quanto vuoi di questo cavolo di paese ma quando gioca l’Italia e sei all’estero, beh ti senti più italiano che mai.

Ho organizzato la giornata in modo da poter essere alle sei in camera.

Tutto scorre liscio, secondo programma e speriamo che anche la partita degli azzurri vada tranquillamente in porto, non voglio lontanamente pensare ad un altro pareggio.

Attacchiamo da subito e passiamo la prima mezz’ora nella metà campo avversaria, siamo fritti penso, perché a quelle temperature spendere tante energie senza segnare è solo un dispendio inutile.

Mancano quattro minuti alla fine di un primo tempo tirato che ecco bussare alla porta.
– Kto Tam?
– Towel.

Sobbalzo è lei.

Mi sorride quando le apro la porta e mi chiede come va.

Non devo avere una gran bella cera dopo due notti alcoliche e lo stress della partita che continua a scorrere in sottofondo.

Gli azzurri attaccano ma niente da fare.

Mi chiede se può guardare la partita con me visto che con la mia camera ha finito.
Non sto a farmi troppe domande, la faccio accomodare e le offro qualcosa da bere.

Comincia poi il secondo tempo e la sofferenza sul mio viso deve essere evidente visto che le parole si diradano e guardiamo in silenzio l’ondata azzurra infrangersi vanamente contro la difesa avversaria.

– Nulla da fare- le dico -non va.

Sorride senza capire l’italiano, forse per gentilezza o che, poi l’inaspettato: Lippi butta dentro Masaniello Quagliarella,il capopolo del San Paolo, come si affretta a spiegare il cronista tifoso, e sussulto.

Ho avuto sempre un debole per le giocate pazzesche e Quagliarella è un mio idolo, da quando veste la casacca del Napoli poi…

La partita procede a scatti, paghiamo il caldo e l’assalto iniziale, tant’è che becchiamo pure il classico gol in contropiede.

Siamo sotto uno a zero e nella stanza siamo in tre: io, Monika e la disperazione.

Mi viene vicino forse per consolarmi, ma sul mio volto sembra ormai che siano passati tutti e cinque i cavalieri dell’apocalisse, i quattro classici della bibbia più l’integrazione  moderna: Sfiga.

Due minuti di tempo supplementare ed ecco la magia.

Quagliarella inventa un gol, uno dei suoi da trentacinque metri.

Esplodo!

La partita finisce, uno a uno.

Arrivano i messaggi sul cellulare ma io sono già abbracciato a Monika e senza essermene accorto ci guardiamo per un istante e finiamo per volerci bene in maniera fisica.
Sarà lo stress, la partita o che altro ma sento che questa ragazza mi piace davvero. Sento che tutto sta per finire troppo in fretta e devo pensare ad altro, cazzo, ma non ho voglia di pensare a qualcosa di triste in un momento così bello.
Cerco con la coda dell’occhio qualcosa su cui concentrarmi nella stanza mentre cerco di mantenere costante il ritmo della nostra unione e Zac:
Eureka, la tapparella!

Penso alla tapparella come tracolla per basso, come soletta per le scarpe e come ritardante sessuale.
Nell’enfasi del momento mi scappa anche ad alta voce: Tapparella!

Tanto che poi dopo mentre siamo abbracciati a letto me lo chiede:

– Chi è sta tapparella?

Mi sento come uno yankee alla corte di re Artù, Mark Twain, nell’occasione del “pronto centralino” ma per evitare complicazioni le assicuro che invece di Tapparella ho detto Quagliarella, l’autore del gol del pareggio.

Mi guarda in un modo strano ma sono troppo emozionato per comprendere.

L’adrenalina della partita mischiata alla passione.

Parte IV

Dissolvenza

Il mattino dopo lei deve andare che tra poco comincia il turno.

In realtà se ne va abbastanza di fretta con un piccolo bacio sulle labbra e un sorriso ma nulla più.

Solo adesso che lascia la stanza mi accorgo di aver fatto una cazzata.

Sto facendo l’amore con una ragazza bellissima e le sono andato a dire che nel momento dell’amplesso stavo pensando all’attaccante del Napoli!

Ma come cazzo mi è venuto in mente?

Era meglio la realtà: la tapparella.
Mi avrebbe preso per pazzo ma non per depravato.

In realtà non ho più dati da prendere, certo devo ancora buttare giù il report e trasmetterlo ma è una cosa che posso fare tranquillamente senza fretta.

Di conseguenza mi trovo qui a Danzica senza aver nulla da fare, a parte risolvere la situazione con Monika.

Che fare?

iMi vengono in mente Marek e Marcin, il tassista e il magazziniere, li chiamo e ci mettiamo d’accordo per guardare la partita pomeridiana delle sei.

Ci troviamo al pub dell’altra volta, che in occasione del mondiale ha aperto  prima per far aumentare il suo giro di affari vista anche la presenza di diversi turisti europei.

Marek è più allegro dell’altra volta, la distanza dalla moglie sicuramente gli ha giovato e ci racconta di come ora si sia messo a frequentare un trans conosciuto durante il suo turno notte. Una cosa così non l’aveva mai provata confessa e ci chiede di non giudicarlo male ma aveva voglia di dirlo a qualcuno e così si è confidato con noi che siamo gli unici, secondo lui, in grado di capirlo. Capiamo, poco ma capiamo, e il primo giro di birra scorre per lui e la sua nuova vita.

Poi a confidarsi è Marcin ma dopo  l’uscita di Marek penso che ci sia poco ormai in grado di sorprendermi. Marek ci confessa di aver tentato il suicidio per colpa di una ragazza con cui ha convissuto 3 anni e che all’improvviso è scappata con un venditore di cravatte, tradendolo e umiliandolo anche sessualmente. Ora, ci dice, va meglio, la felicità è un’altra cosa ed è per questo che ha accettato il lavoro al magazzino,dice, per tenere la mente prigioniera.

Marcin scrive poesie, ha anche pubblicato qualcosa, su alcune riviste che a detta di Marek sono prestigiose. Ma non ne ha voglia di leggerle, ce le farà avere.

Brindiamo, con un secondo giro, al cambiamento delle cose che è già il mio turno di confidarmi.

Allora racconto del mio lavoro coi carciofi, della mia non vita in Italia, sballottato tra tre mesi di qua e quattro mesi di nulla prima di andare di là, racconto del mondiale, di come mi trovo a Danzica ma quel che mi preme raccontare è Monika, della nostra storia, della tapparella e di Quagliarella.

Appena finito di raccontare, scoppiano a ridere.

-Wloch- dicono, già italiano e ridono

Un tassista innamorato di un trans e uno studente poeta magazziniere aspirante suicida mi ridono in faccia ma va bene così perché c’è l’Argentina di Maradona che infila a passo di Tango una difesa europea…sono sul 4 a 0 e brindiamo a Maradona.

Parte V

Life is Life

Oggi è l’ultima partita del girone di qualificazione dell’Italia che se non vince è quasi fuori.

Come da calendario si presenta Monika in camera mia.

E’ ancora più bella di quanto la ricordassi.

Ha preso il giorno libero per poter guardare la partita decisiva degli azzurri con me.

Posa la sua borsa nell’angolo opposto alla televisione e viene a baciarmi, un bacio lento, morbido, senza approfondire ma carico di tutto quello che deve esserci in un bacio.

Ha anche portato una torta al formaggio con cannella fatta da lei che fa impazzire la mia gola. Pensando alla Bibbia sul comodino aggiungo anche questo peccato.

Parte l’inno di Mameli dalla televisione e mi chiede cosa significhino le parole.

Mi parla dell’inno polacco e mi accenna il passo di Dambrowki che dovrebbe marciare dalla Polonia all’Italia.
Già per la nostra e la vostra libertà.

Siamo nell’inno nazionale di un altro paese ma penso che a volte non ce lo meritiamo, non riusciamo nemmeno a riconoscerci come nazione, ma queste sono altre storie che andranno poi raccontate tra altre pareti.

L’Italia o meglio, la nazionale, è uno strazio continuo..reduce da due pareggi sembra destinata  al terzo..

Paraguay, Honduras e Slovacchia, non abbiamo fatto torti a nessuno, pareggiando con tutti e penso che potrebbe andare meglio ma le cose tendono al peggio.

Il ct di Viareggio nel tentare di agguantare la vittoria e di passare il turno che fa?

Mi rovina la vita, buttando dentro un’altra punta e fin lì niente di male, solo che l’attaccante in questione è il Masaniello azzurro, il capopopolo del San Paolo, già, Fabio nientepocodimenoche Quagliarella.

-Quagliarella? Czy to jest Quagliarella? Mi chiede Monika.

-Sì,è proprio lui, Quagliarella…

La partita diventa un doppio supplizio, in campo e fuori, con gli azzurri che non sfondano e con lei che mi esamina da quando in campo c’è l’altro vertice di quello che per lei è un triangolo.

Che la patria non me ne voglia ma che non segni Quagliarella!

Detto fatto, palla da venti metri all’incrocio dei pali.

Come non esultare?

In 3 o 4 nanosecondi netti sono già alzato coi pugni serrati e in una smorfia a tratti disumani grido: GOOOOOOL.

Nella foga non penso a nulla se non che ad abbracciarla.

Per il resto della partita ci troviamo a saltellare come dannati nel peggiore dei gironi infernali fino a quando finisce la partita; uno a zero.
L’Italia sale a quota cinque e passa il turno.

Apro un bottiglia di vino senza sapere nemmeno quale, la prima che trovo nel frigo bar.

Ce la scoliamo e mi getto nel letto, sfinito, manco avessi giocato io. e lei che mi fa cenno di aspettare; prende la sua borsa e se ne va in bagno.

Aspetto, almeno mi riposo, non so cosa ma aspetto.

Ed eccola che qualche minuto dopo torna.

NOOOOOOOOOOOOO.

Ha indosso solamente la maglietta azzurra del Napoli, con tanto di numero 27 e nome, inutile dirlo: Quagliarella.

– Sorpresa! Dice in italiano.

Non so se ridere o piangere.

Non so se mi ha scambiato per un omosessuale latente o per chissà cosa ma alla fine sembra che le vada bene così. Life is life.

Sarà l’Italia, sarà il vino, sarà la sua sorpresa, o sarà chissà che altro ma mi sto davvero innamorando di questa ragazza…ma quello che accade da qui in poi tra queste pareti è qualcosa che in questo modo, in questa maniera, non mi era mai capitato prima d’ora e non devo nemmeno più pensare alla tapparella.

Parte VI

Danzica, giorno della mia partenza.

L’Italia continua il suo cammino mondiale, le partite d’ora in poi saranno a eliminazione diretta, e quelle che restano me le guarderò in Italia.

I carciofi della pomorskie sono stati misurati come da programma e l’agenzia europea mi ha fissato il biglietto di ritorno in patria oggi.
Partenza alle 18:00  dall’aeroporto Lech Walesa e arrivo alle ore 20:00 a Bergamo, Orio al Serio.

Finisco di mettere la roba nella valigia, separando i vestiti sporchi da quelli puliti. Fascio attentamente con le pagine della  “Gazeta Wyborcza” (che usai per ingannare Marcin quando andammo al magazzino da Marek), le immancabili bottiglie di vodka da portare agli amici.

Esco dall’albergo e trovo già il taxi di Marcin che si è offerto per portarmi all’aeroporto.

Per strada ci dobbiamo fermiamo a tirare su Marek che vuole accompagnarci e salutarmi.

Manca Monika, di Monika nessuna notizia dopo il nostro incontro.

Ho provata a chiamarla sul cellulare ma sembra sparita.

Siamo arrivati al piccolo aeroporto dominata dall’insegna a W che  nella mente dell’architetto che lo ha progettato dovrebbe ricordare gli storici baffi dell’elettricista che sfidò il regime.

Parcheggiamo e andiamo al bar, manca più di un’ora alla partenza e il momento dei saluti è sempre triste che è tutto un non perdiamo i contatti, torna quando vuoi, etc…Le solite cose che si dicono in queste occasioni.

Sono lì con loro ma è come se non ci fossi, la mia testa è a Monika.

Arriva un messaggio.
E’ lei che mi dice che sta arrivando.

Arriva e in polacco mi dice:

-Non puoi partire

-E perché?

Silenziosamente tira fuori una piccola maglietta azzurra, di quelle con le ventose che i tifosi attaccano alle automobili.
Dove abbia trovato in così poco tempo tutte ste cose del Napoli è una cosa che le devo chiedere prima o poi.

– Che vuol dire?

Si tocca la pancia e senza dire nulla capisco.

Ma è passato così poco tempo, impossibile saperlo.

Ma io sono uno che le cose non sempre le capisce.

– Voglio un figlio da te e se vuoi possiamo anche chiamarlo Quagliarella- mi dice in un italiano stentato e improvvisato.

Marcin e Marek allora brindano:

Quagliarella!

Quagliarella!

Quagliarella!

Ci guarda tutto il bar dell’aeroporto, il solito italiano con una donna, il solito latin lover.
No! mi verrebbe da dire a tutti contento come sono,  un latin lower che si è perso per il mondo, grazie a un mondiale, ad un carciofo e ad una tapparella.

Fabio Izzo ha visto giocare dal vivo squadre di mezzo mondo: dal Ruch Chorzów al Tampere United, passando per il Racing Club de Avellaneda fino all’Avellino ed è stato un candidato ufficiale per la panchina della nazionale del Camerun nel 2007.
Ha visto indossare in uno stadio il numero 10 del Napoli prima  a Maradona e Asanovic poi ed è convinto che non si possa vincere con un gol di Ametrano.

Da autore ha raccontato il calcio minore in alcune pagine del suo “Eco a Perdere” (edizioni il foglio) e il calcio come ragione di vita sociale in “Balla Juary”(sempre per il Foglio)