I colpi di spugna, nella storia e nella cultura, i congressi di Vienna a livello sociale non servono a molto, risultano solo un pallido tentativo di cancellare il passato, cosa di per se, abbastanza deleteria di suo a ogni longitudine e latitudine. Con l’occidentalizzazione del mondo si è poi venuta poi a creare nell’Europa dell’Est una narrazione della mancanza che il puro intento di giustificare ed esagerare attraverso sensi di colpa e uso di un revisionismo cecchino mirato l’attuale convergenza con l’Occidente.
Questo recente tipo di story telling tende a mostrare le donne della PRL come conservatrici, poco propense al cambiamento , passive e incapaci di agire. Ma più che un rifiuto generalizzato del femminismo storico questo tipo di narrazione affonda le sue radici nella politica anticomunista del post-1989, quando in pratica, in maniera manichea, tutto è stato diviso in “buoni” e “cattivi”, le sfumature politiche cominciarono a scomparire e gli slogan pubblicitari iniziarono a dettare la morale alla società. Seguendo questi dettami si è oscurata un’intera generazioni di scrittrici, come ad esempio Irena Gumowska, che nel 1948, scrisse: “Le donne oggi devono e vogliono lavorare. . . In Polonia dopo la guerra abbiamo creato varie forme di nuclei familiari collettivi socializzati. Qui l’obiettivo principale è quello di creare cure diurne, mense e asili nido. Poi case per madri e bambini, lavanderie sociali, panetterie sociali e altri servizi sociali e cooperative” o Wanda Melcer che, sempre nello stesso anno, si espresso così: “Considereremo il lavoro domestico indipendentemente dal sesso, presumiamo che tutti lavorino a casa e, di conseguenza, tutti abbiano gli stessi diritti e doveri. Non c’è nulla nelle faccende domestiche che dovrebbe essere fatto solo da uomini o donne, ragazze o ragazzi”.