Finora abbiamo illustrato due atteggiamenti nei confronti della morte. Il primo, il più antico e quello più a lungo seguito, nonché più comune, è la ben nota rassegnazione al destino colletivo della specie, che può essere riassunta nella frase: et morirerum, e moriremo. Il secondo, comparso nel dodicesimo secolo, rivela l’importanza attribuita nell’epoca moderna all’ io, alla propria esistenza personale, e si può esprimere con un’altra frase: la mort de soi, la propria morte, A partire dal settecento, la società occidentale ha cominciato a dare alla morte un nuovo significato. L’ha esaltata, l’ha dramatizzata, e l’ha considerata avida e inquietante, Ma già l’uomo cominciava a preoccuparsi meno della propria morte e di più della mort de toi, della morte di qualcun altro.
Il teatro di Sabbhat – Philip Roth, traduzione di Stefania Bertola
Mi andava di condividere questo estratto letterario oggi perché mi sembra davvero molto attuale, nella divisione della morte, come anche nel caso di una epidemia. Attualmente a livello sociale, ti interessi troppo alla morte degli altri e troppo poco alle loro vite. La cronaca attuale ha trattato il virus come un fronte di guerra, ne ha adottato il lessico, diffondendo bollettini di caduti più volte al giorno. Il contagio a questo punto viene assimilato nell’immaginario collettivo come un fronte nemico. Chiudiamo e apriamo confini politici credendo di poter gestire un’emergenza mondiale. La politica locale affronta un problema globale con soluzioni medioevali, di quando tra le altre cose le distanze erano molto più significative, per alimentare l’illusione dell’andrà tutto bene e, almeno in questo, ci trovo un senso propedeutico. Ma se qualcuno pensa poi che questa emergenza non sia gestibile così diventa immediatamente un tuo nemico, gli fai subito un processo alle intenzioni e lo condanni, senza appello. Il tuo nemico diventa lui, il tuo prossimo non il virus, che in fondo è un virus è agisce come agisce per sua stessa natura, no? Lo perdoni per questo e magari ti fa un po’ di tenerezza rappresentato com’è anche nelle vignette, più umano dell’umano. Devi quindi dileggiare il tuo prossimo, mostrarti superiore moralmente, in base a cosa lo sai solo tu, forse perché ti stai lavando le mani, indossi una mascherina e stai a un metro di distanza da tutti?
Sarà la mascherina che non ti permette di considerare le ragioni e le azioni degli altri, tutte teste di cazzo, l’unico sano di mente sei tu, vero? Insomma per salvarti devi insultare perché in questo modo hai trovato un colpevole, ah che soddisfazione! Finalmente hai un capro espiatorio tutto per te e non ti importa se la storia dell’uomo è storia di epidemie. L’uomo ha bisogno di un nemico da incolpare per rispecchiare il suo fallimento negli altri. Non ti importa affatto che le varie amministrazioni politiche abbiano tagliato le spese sociali, mica è colpa loro, la loro natura è quella austera con te, e che continuino a farlo. A te importa che l’altro non debba prendere l’aperitivo e che si lavi le mano. Bravo, ora è un perfetto orsetto lavatore, ma prima le mani, non se le lava nessuno in questo paese?
Tu non vuoi morire in un evento collettivo, non vuoi finire in uno di quei tanti bollettini giornalieri di ora per ora, il mondo, quando sarà il momento dovrà conoscere la tua fine come si deve! Il nostro egocentrismo è arrivato anche questo, la politica dell’ombelico ha disossato secoli di inutile collettività.
Anche chi ha lasciato Milano, legalmente, senza nessun impedimento perché non si è fidato di tutto quello che gli è stato detto fino a quel momento, è diventato un tuo nemico che stronzo, 0, perché ha portato il contagio, il nemico, la guerra a casa tua, in fondo non ha preso piede lo slogan “aiutiamoli a casa loro” per niente, no ?
La gente, la gente di ogni colore per l’appunto, scappa dalla guerra. Lo vedi ogni giorno nel telegiornale, nelle news. Come ieri.
Quel che mi preme precisare, dal basso della mia inutilità, è come tentare di capire che le emergenze finiscano inevitabilmente con il crearsi dove si sono precedentemente create le condizioni per il loro sviluppo. Se decido di non bere, morirò di sete, no? Ogni progetto considera i rischi e adotta soluzioni pronte. Una nazione dovrebbe avere un progetto, no?
Purtroppo la macelleria sociale praticata ormai da anni ha ridotto di molto i numeri dei posti letto e del personale sanitario, ma anche la gestione della pubblica istruzione ha il suo perché in tutto ciò. La “squola”, questa cosa inutile che viene ormai gestita come un babysitteraggio sociale, è assimilato sempre più a un posto dove parcheggiare i figli mentre gli adulti fanno altre cose, tanto studiare serve a niente no? Parli tanto di analfabetismo di ritorno, gente incapace a comprendere un testo scritto, figuriamoci un decreto. Sei poi continuamente esposto a una cattiva comunicazione. Ti chiedi dov’è la deontologia di una professione che non perde due minuti di tempo a diffondere in tono allarmistico una bozza di decreto non firmata?
Non c’è, vero ma invece di puntare il tuo dito sulle cose che non funzionano davvero, per cercare di fare in mondo che almeno finiscano con il ripetersi, sprechi anche questa occasione, più interessato a guardare alla morte dell’altro che a una nostra possibile rinascita. Se l’Italia vorrà ripartire dovrà rifarlo da qui, istruzione, sanità e comunicazione, altrimenti puoi metterti comodo e seduto a guardare come muore il vicino, vicino dopo vicino fino ad arrivare al tuo esclusivo turno.
Dividi come sempre, si cade. Uniti, anche a un metro di distanza, si sta bene.
Non parlo del virus, della sua mortalità, non sta a me, già esistono troppe fronde, guerre intestine tra gli esperti, e le lascio volentieri agli altri.
Scortecciante. Bellissimo articolo che condivido in tutte le sue parti.