Il 4 settembre 1939 le truppe tedesche radunarono uomini e ragazzi per giustiziarli: questo fu il massacro di Katowice. Una foto storica immortalò gli ultimi momenti di quelle persone, ma per anni il suo autore è rimasto sconosciuto. La foto dal balcone è stata scattata pochi istanti prima che le vittime fossero ammassate nel giardino sul retro di un vicino caseggiato per essere uccise.
Con le mani alzate in aria, un gruppo di civili polacchi è costretto a marciare per strada. Quegli uomini e quei ragazzi, così immortalati, furono tra le prime vittime di Hitler: solamente tre giorni la Germania aveva invaso la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale. Una delle immagini più note, ad oggi, era prova di paternità ma una ricerca effettuata da un giornalista polacco, Tomasz Borowka, ha recentemente rivelato che l’uomo dietro lo storico obiettivo si chiamava Gino Busi, un diplomatico italiano che ha anche salvato la vita a diverse persone nella città slesiana. Busi era il console italiano a Katowice ed era arrivato in città soltanto 4 mesi prima, infatti secondo i documenti ufficiali il suo incarico nell’Alta Slesia iniziò il 25 aprile 1939. Borowka ha identificato Busi come l’autore delle fotografia dopo aver attentamente analizzato gli angoli dell’immagine e l’edificio da cui è stata scattata.
La foto poteva infatti essere stata scattata dal consolato francese, presente nello stesso edificio, ma il 4 settembre 1939 non c’erano più francesi in città. La Francia era già in guerra con la Germania, e dalla cronaca della giornalista britannica Clare Hollingworth, che si trovava a Katowice in quel periodo, apprendiamo che il personale del consolato francese, insieme a quello britannico, fu trasferito il 2 settembre. A questo punto della storia l’unico diplomatico presente in quell’edificio era proprio Gino Busi. Lo stesso Borowka ammette che, l’uomo in piedi sul balcone, impegnato a scattare foto per testimoniare la follia di quei momenti, poteva essere solo Gino Busi. Il console italiano si trovava in Alta Slesia solo da quattro mesi ma non si limitò a scattare la foto, anzi salvò diversi soldati polacchi proteggendoli al consolato, offrendo loro abiti civili. Durante la guerra, produsse falsa documentazione per salvare gli ebrei e concedere visti di uscita dal paese permettendogli di scappare dalle grinfie di Hitler. Busi fu un fermo oppositore dell’invasione tedesca del 1939 della Polonia e iniziò fin da subito a documentare le atrocità naziste. In un dispaccio inviato a Roma scrisse: “Gli insorti, tra i quali c’erano veri eroi, fatti prigionieri con armi in mano o in condizioni simili, furono subito fucilati”. In un altro rimarcò: “I cittadini polacchi sono trattati severamente, soprattutto se sospettati di sentimenti anti-tedeschi…”
Nella sua corrispondenza con Roma volle poi sottolineare come: “Il trattamento degli ebrei è incomparabilmente peggiore [rispetto ai polacchi]; sono completamente esclusi dalla vita civile e commerciale e le loro proprietà e depositi bancari confiscati integralmente…” “Solo le donne ebree rimangono a Katowice. Gli uomini sono scomparsi e nessuno sa dove siano stati mandati”. Ora, attraverso meticolose ricerche negli archivi e nei documenti accademici a lungo dimenticati, Borowka ha scoperto che anche Busi ha rischiato la propria vita per cercare di salvare coloro che venivano cacciati e perseguitati. “Il giorno stesso in cui vennero scattate le foto, Busi salvò la vita di soldati e ribelli polacchi in fuga dai tedeschi offrendo loro un riparo nel consolato e abiti civili per fuggire”, ha detto Borowka. Inoltre ha aiutato il vescovo di Katowice, Stanisław Adamski, a contattare il governo polacco in esilio per cercare di convincere la regione a dichiarare la nazionalità tedesca per sopravvivere all’occupazione, senza dimenticare che furono proprio i suoi rapporti “sull’arresto da parte della Gestapo a Novembre di 183 accademici polacchi a Cracovia” che portarono Mussolini a contattare personalmente Hitler in segno di protesta” portando alla liberazione di 101 di loro.
Busi, determinato ad aiutare, salvò diversi ebrei, tra cui Markus Braude e sua moglie Natalia, sorella del famoso intellettuale e scrittore ebreo Martin Buber, di Łódź, La coppia sembrava destinata alla morte, ma la loro richiesta per un visto di uscita dal paese arrivò sulla scrivania del console italiano che la firmò, rischiando la propria vita il 10 aprile. Questo visto risulta essere davvero molto significativo perché è l’unico documento dell’Olocausto rilasciato in una zona dove già era iniziata la costruzione di un ghetto ebraico nella Polonia occupata dai nazisti.