Divorare gli dei. Un’interpretazione della tragedia greca di Jan Kott

Famoso per lo più, per il suo Shakespeare nostro contemporaneo, l’ottimo Jan Kott merita ancora oggi di essere letto e riletto, sopratutto in questa sua raccolta di saggi dedicata all’immortale teatro greco, dove il celebre studioso polacco scompone la mediazione tra sacro e teatrale in una personalissima mediazione maturata dopo anni di studio e di osservazione sull’immediato e sul sociale circondante.

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Dalle pagine dei giornali moderni al coro greco il passo è più breve di quel che si possa pensare perché se è vero che l’uomo è mortale le sue tragedie, anche in senso lato, restano immortali. Vi consiglio così questa originale e suggestiva interpretazione dei capolavori del teatro greco, effettuata da parte di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, Kott, che, armato delle conoscenze derivanti all’epoca da sociologia, psicologia, antropologia, storia delle religioni, decide di accompagnare il lettore in questo viaggio sul destino dell’uomo attraverso il tempo.

Gli accostamenti si succedono densi e vertiginosi: Prometeo, Beckett, le Baccanti, Lévi-Strauss, Sofocle, il teatro dell’assurdo in una serie di arbitrarietà apparenti, il cui valore d’uso si dimostra immediato. Dietro il grande canovaccio di regia c’è tutto il vasto sapere di Jan Kott,; c’è Kott polacco che ha alle spalle incubi e tragedie figlie di un contesto storico dominato dall’ingombrante presenza di un potere imperscrutabile, ma c’è soprattutto l’uomo di teatro portato a trasferire sulla scena i suggerimenti della pagina scritta e a lasciarsi guidare dalle sollecitazioni visive che la sua penetrante immaginazione gli suggerisce.

In questo suo preziosissimo studio viene sviluppata un’ analisi intelligente non solo teatrale, infatti Kott esplora più campi delle scienze umane dimostrando di trovarsi a suo agio in tutte, ma anche antropologica del teatro e della società greca, per chiudere poi il circolo di Prometeo ne i Giorni felici di Beckett. Si deve po segnalare un pregio dell’autore, abile sarto capace non solo di tessere ma di reggere caparbiamente i pericolosi fili dell’analogia.

Può essere vero che la società greca, da cui deriviamo, è stata sopraffatta della storia, ma il suo influsso resta ancora enorme, basti pensare ad una marca di detersivo come Ajax (vi siete mai chiesto perché si chiama così? Semplice è nome ereditato dal mito di Aiace).Personalmente ho trovato splendido il capitolo dedicato al semidio Ercole, lontanissimo dalle sue recenti versioni televisive e cinematografiche, scomposto com’è nelle sue due realtà coincidenti e contrastanti umano e divino. Si può credere solo in dei che non si vedono e si può concepire solo quello che è assurdo. Da ripescare o da scoprire questo testo si dimostra essere uno strumento di vita utilissimo per capire e comprender più di quel che è stato, è e sarà scritto nel mondo.

Jan Kott fu un saggista e critico teatrale polacco naturalizzato statunitense. Si oppose culturalmente al regime comunista instaurato nel suo paese già dal 1956. Nel 1961 pubblicò Szice o Szekspire (Shakespeare nostro contemporaneo,) riproponendo il leggendario bardo inglese in chiave contemporanea. Nel 1966 fu costretto a emigrare negli USA, dove insegnò in varie università. In seguito, nel 1970, riprovò con successo un’operazione simile, come abbiamo appena visto con The eating of Gods (Divorare gli Dei, opera che venne tradotta per la prima volta nel nostro paese nel 1977), un’originale e aggiornata interpretazione della tragedia greca.

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