Oggi, alla vigilia di Napoli- Real Madrid mi risulta difficile rispondere a questa domanda. Ci sanno per battuti, per sconfitti. Per piagnoni, per ogni cosa, più nel male che nel bene, per questo motivo recupero un mio vecchio post in attesa di quella che per NOI è la madre di tutte le partite.
Parrà brutto agli altri tifosi, a chi si crede importante e lo è all’interno dei nostri confini nazionali ma in 30 anni la squadra che amo è riuscita a giocare due volte in Champions League ( 1 in Coppa dei campioni) contro il Real Madrid, non avendo alle sue spalle quello che avete voi che, in altre parole, si riassume con il “Fatturato”. Polemiche a parte, a voi buon Porto, a noi obtorto collo il Real. Ben venga, questa è un’occasione, un ‘occasione per crescere. Per la squadra, per la società, per l’allenatore e per i tifosi. Gli spettatori del San Paolo potranno vedere un pallone d’oro finalmente, Cristiano Ronaldo, e una squadra forte. Fortissima, inutile nasconderlo.
Ma torniamo alla domanda di cui prima e tentiamo di dare una risposta a quel “Cosa vuol dire essere tifoso del Napoli?” che vi ha portato fin qui a leggere. Risulta difficile, davvero rispondere a una domanda del genere perché il Napoli ha tifosi ovunque e dovunque, un tifo, quello azzurro che travalica i confini cittadini, regionali, nazionali e continentali, ma non siamo qui ad occuparci della diaspora azzurra come fenomeno sociale, anche se è bene precisare che un tifoso napoletano di New York non è uguale a un tifoso di Afragola, così come il mio amore per il Napoli è diverso da quello di mio padre. I miei primi vagiti calcistici sono legati a Renica e Caffarelli. Io imparavo a sillabare con Bruscolotti mentre lui era all’apice della passione tifando per Totonno Juliano. Giusto per intenderci, l’unica cosa che ci unisce tutti, a noi, è la passione, la passione per quel colore, per quella maglia che ha una storia e una tradizione unica che è riassumibile con una semplice frase:”Che vi siete persi?”
Ve la ricordate? Questa è scritta che, misteriosamente, comparve nel lontano 1987 sui muri del cimitero comunale di Napoli dopo la festa scudetto. Uno scudetto a Napoli si vede ogni morto di Papa e quindi è solo questione di fortuna, di azzeccare la generazione giusta per tifare Napoli. Quanti tifosi dei nostri ci hanno lasciati prima del 1987? Ma Napoli è una città che sa affidarsi alle proprie radici, alla sua cultura e alla sua grande tradizione. Napoli è una città difficile, una capitale spodestata, dove vita e morte danzano avvinghiate un ballo quotidiano, ma è anche la casa di Totò, del principe della risata, il poeta autore de “A Livella” la poesia sulla morte.
La morte,impegnata per Bergman in una partita a scacchi, vista, a volte, come liberazione ai mali del mondo, proscenio di santità seguente alle sofferenze terrestri, qui, in quell’anno venne presa a schiaffi due volte. La prima con lo sberleffo del cimitero: Che vi siete persi? Testimonianza suprema del noi ceravamo. Noi abbiamo visto. Siamo stati fortunati, vero, ma la fortuna aiuta gli audaci, e per questo motivo osiamo, abbiamo sfidato la morte una volta e lo rifacciamo una seconda.
Come? Semplice con la vita. Andate a guardare l’anagrafe partenopea e il boom demografico e poi, quanti figli sono stati battezzati con il nome di un nuovo santo protettore? Diego Armando. Già, e uno di questi, un classe 90, nato sul finire dell’epoca maradoniana, fa il calciatore, difensore per la precisione, nel Bayern di Monaco: Diego Armando Contento. Il 1987 è l’anno che forse può meglio far capire cosa vuol dire essere tifoso del Napoli, un anno simbolo ma non solo, perché Eros e Thanatos continuano a tessere i fili di questa maglia, amata da un pubblico capace di provocare un terremoto sonoro appena il pallone entra in rete, insaccato da uno dei suoi beniamini o quando sta per finire l’inno della Champions.
Infatti nella partita di Champions League contro il Manchester City, valida per il girone di qualificazione, i sismografi del dipartimento di Scienze Fisiche dell’Università Federico II di Napoli hanno registrato “qualcosa” pari ad una scossa sismica subito dopo il gol del 2-1 del Napoli contro il Manchester City. La causa? L’esultanza dei tifosi del San Paolo alla rete di Cavani. Un esempio di certo non casuale, perché testimonia il legame tra la squadra e il suo tifo, appassionato quanto unico, che ama definirsi, non a caso, di sangue azzurro.
Cosa vuol dire essere tifoso del Napoli oggi. Molto di più di quel che pensiamo. Vuol dire, semplicemente, amare.
Tifare il Napoli è una qualcosa di più, è una sensazione d’amore che non si può ni spiegare ni descrivere.
Perché quando si dice il Napoli si sente nel sangue.