Chi costruisce prigioni si esprime meno bene di chi costruisce la libertà

“Perché chi costruisce prigioni si esprime meno bene di chi costruisce la libertà”. Finisce così il testo di Dagermann dove nel suo finale si aprono tutte le porte verso la libertà. Un finire, quello dell’autore che trova la sua data nell’anno 1954, con il suo suicidato, avvelenamento co i gas di scarico della sua automobile. Morto in una prigione di metallo. Lui, che per tutta la vita si era sempre mosso in difesa della libertà, aveva semplicemente deciso di morire chiuso in una cassa di metallo. Ironica e dissacrante anche la sua morte quindi,  morte che potremmo definire spiritualmente anarchica perché questo è stato il movimento che da sempre aveva ispirato Dagermann, lui che costretto a scegliere tra Hitler e Stalin prima e lo Zio Sam dopo, alla fine  aveva scelto la libertà intellettuale. Un’anarchia ideale e ampia che si poteva respirare solo lassù, sotto l’Aurora Boreale  nel Grande Nord che trova il suo brillante esempio nel ripudio del saluto a mano tesa: il saluto di un essere umano deve essere rilassato e aperto all’accoglienza questo amava ripetere Dagermann ai suoi coetanei in classe. In questo suo libro, pubblicato in Italia da Iperborea, questo pensatore scandivano ci appare ironico e trasversale, appassionato e mai rilassato, così nelle sue opere come nella sua vita. Oppure come nella sua dissacrante poesia, composta per rispondere ad un assessore che si lamentava del fatto che i poveri possedessero cani, dove dapprima si consiglia ai poveri di possedere topi per arrivare alla conclusione poetica dove il compito del comune diventa quello di abbattere i poveri al solo fine di risparmiare. Questo era Stig Dagermann, l’uomo senza fede che in cuor suo non poteva mai essere felice. Un cacciatore, un predatore, un instancabile cercatore di consolazione. Questo era Dagermann e di lui e del suo pensiero ora restano le sue parole che mettono tutti a disagio.

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