Erano dieci minuti.
Dieci minuti abbondanti.
Nessuno suonava alla mia porta nonostante stessi aspettando un corriere per dei libri.
Sul cellulare arrivava qualche messaggio.
Donne.
Ero troppo stanco per capirle.
Avevo sonno.
Erano più di dieci minuti che avevo sonno.
Wuster e birra era stato il mio pranzo.
La bottiglia di birra ceca in realtà mi guardava ancora dalla mia scrivania.
Wuster e birra e il pranzo che faceva ogni volta che mia madre stava male.
Quando la casa paterna si faceva triste e silenziosa e nel frigo non si trovava altro che quella confezione di wurstel al formaggio che a mio padre piacevano tanto.
La birra ce la mettevo io invece.
Erano anni che non mangiavo così…
E sono dieci minuti che continuo a fissare il lancinante bianco dello schermo.
Una sorsata di birra riscaldata.
Cerco di trovare il coraggio di raccontare questa mia misera storia mentre Judy Garland da una remota pagina di You Tube, sospesa nel tempo, canta solo per me Somewhere over the rainbow.
Stonerà non poco con quello che seguirà dopo ma ora è presto per capire…tra una variazione vocale e l’altra tra un salto temporale e l’altro non mi resta nulla da fare.
Nulla da fare come sempre.
Odio.
Davvero.
Strano a dirlo.
C’era solo un motivo che mi aveva portato a fare questo lavoro.
Semplicemente non sapevo fare altro.
Perso com’è ero nella mia mancanza personale di identità mi ero assoggettato a quello che gli altri vedevano di me.
E poi come si dice :” Poliziotto una volta, poliziotto per sempre…puttana una volta e puttana per sempre”.
Non c’era nulla di meglio per me che ero proprio al puttana della polizia.
Consulente ai casi anomali.
Così mi chiamavano loro mentre invece ero la loro puttana pronto a scattare per 15 euro l’ora ogni volta che ne avessero bisogno.
15 euro l’ora, quasi quasi mi conveniva davvero fare la puttana peccato che la migliore descrizione del mio aspetto fisico l’abbia dato una fanzine all’uscita del mio primo romanzo.
“Quando lo incontriamo, in un anonimo e stantio bar, ci appare subito togliendoci la luce, è lì in piedi, goffo e vertebrato come un Kurt Cobain obeso e coi capelli castani, insomma più un Homer Simpson dei Sadgasm che un’icona rock…”
Da allora non mi sono mai messo a dieta e ho quasi smesso di pubblicare perché nella vita di uno scrittore ci sono le bollette da pagare.
Una vita in bolletta poteva essere il titolo della mia biografia da tenere lì, a prendere polvere dopo quella di Strindberg “Il figlio della serva” e quella di Philip K. Dick “ Confessioni di un’artista di merda”, ma sono sicuro che voi questi nomi non li conoscete, a cominciare dal mio.
Sono sicuro che avete di meglio da fare che leggere libri che costano troppo quando invece l’aperitivo , il cellulare nuovo, e il capo firmato vi rendono esseri sociali in una società animale come la nostra.
Cosa differenzia l’uomo dall’animale?
La risata?
L’anima?
Ci hanno provato molti a rispondere e ognuno ha dato la sua risposta.
No, la vera differenza tra l’uomo e l’animale, la fa la letteratura, per questo vi dico che state tornando a essere animali.
Può una scimmia schiacciare i tasti del suo telefonino, del suo i pod pad (fateci caso che nomi gutturali, quasi animaleschi stanno dando a cose complicate per abbassarle al vostro livello) o vestirsi da sola, ma una scimmia non può leggere e comprendere, come molti di voi d’altronde.
Ecco, a causa vostra, invertebrati e illetterati che non siete altro sono finito a fare il consulente per i casi anomali.
In bolletta fissa avevo spedito il mio curriculum in giro e l’unica persona a rispondermi, oltre che ad una ditta di abbigliamento sportivo che voleva sapere come avevo fatto a ridurmi in questo stato (a loro, in tutta risposta, mandai la recensione della fanzine di cui prima) fu il responsabile delle risorse umane della polizia.Questo era circa due mesi fa.
Due mesi fa il tempo è diverso…
Vengo fatto accomodare nell’ufficio.
Un banalissimo ufficio di provincia che discosta molto dai modelli che ci vengono quotidianamente proposti dagli sceneggiati televisivi, come a dire: “tanto ormai tutto il mondo è reato”.
In televisione tutto deve essere, o sembrare molto più interessante che nella realtà, altrimenti hai voglia che la gente sceglierebbe davvero di vivere per due o tre ore nella sua realtà piuttosto che buttare la propria mente in queste anguste e strette “scatole cinesi del tempo” chiamate palinsesti, dove il tempo viene canalizzato, guidato e fatto defluire nel nulla,un nulla decisamente più commerciale e alla moda, anche se la moda è il massimo del commerciale visto che cambia i suoi maglioncini tutti gli autunni con degli addii senza troppi rimpianti.
Ecco la moda danneggia la società perché ci abituiamo troppo in fretta a disfarci delle cose vecchie che non abbiamo nemmeno più il tempo di accorgerci quanto siamo già diventati vecchi per il mondo che ci circonda, anche quello degli affetti.
Mi hanno fatto accomodare su una sedia, dicevo, dal lato sbagliato di una scrivania la cui superficie è sì invasa da fascicoli e carte varie ma dove tutto lì sopra appare rigorosamente e burocraticamente in ordine.
Avevo mandato un curriculum e mi hanno chiamato.
Gli unici.
Quelli che aspettavo di meno e ancora mi chiedo come mai abbiano chiamato uno come me.
Alle pareti sono appesi, in maniera più rinfusa, comunicati, circolari, fotografie e manifesti secondo un ordine che al momento mi sfugge.
I due agenti che mi hanno condotto fin qui si son fermati sulla porta.
Non sono entrati.
Si sono fermati sull’uscio, mi hanno indicato la sedia e dopo avermi perentoriamente intimato “Prego, si accomodi”, mi hanno detto di aspettare che “c’è qualcuno che vuole parlare con lei”, cioè con me.
“Voglio parlare con te”questa poi è una formula che conosco fin troppo bene e quando viene usata vuole solamente dire che sei nei guai.
Sono nei guai.
Ma questo non mi sembra poi tanti strano.
Ho passato un’intera vita tra tribolazioni e guai che quando verrà il giorno che si presenterà senza l’ombra di un problema, beh allora sì che sarò spaventato a morte.
Si apre la porta alle mie spalle, pessima posizione, sia per la porta che per le mie spalle secondo il feng shui ma non posso pretendere che questi dipendenti statali conoscano più di quanto sia mai stato scritto nel loro contratto.
Cacciatore carnivoro che in questo caso è rappresentato dal tizio appena entrato bramoso di assaggiare il problema in sospeso insaporito dalla mia carne e il mio sangue.
Non sono mai stato tanto bravo in matematica ma facendo due più due deve essere per forza lui l’uomo che vuole parlare con me.
Appena varca la soglia dell’ufficio mi sento già a disagio; sarà anche per il feng shui mancato ma tant’è.. per evitare di guardare subito in faccia i miei problemi osservo nuovamente la stanza in cerca di altri dettagli ma anche stavolta non si mostra meno asettica e minimalista di ogni altro ufficio moderni.
Entrando si siede subito, con troppa calma.
Io che sono un esagitato cronico, un ansioso da antologia..a me danno per forza i nervi questi tizi troppo calmi.
– Gradisce un caffè?
Necessito di un caffè per far rimettere in moto il cuore di questo tizio in giacca e camicia davanti a me, altrimenti dovrei prenderlo a schiaffi, concludo, nella matematica delle opportunità, che un caffè è meglio.
-Un caffè. Grazie.
Si alza e compie qualche passo, piccolo e stretto, ma viste le dimensioni dell’ufficio non potrebbe essere altrimenti; il tizio qui non ha fatto molta carriera.
-Potrei avere un po’ di latte?
– Certo, caldo o freddo?
Avete mai la sensazione che da una risposta, da una singola vostra risposta, possa dipendere tutto il destino del mondo?
Ecco, questa è la sensazione che sto provando proprio in questo momento.
Eppure mi è stato solamente chiesto se voglio del latte caldo o del latte freddo.
In gola è come se mi si fermasse il moto dell’universo, bloccando ogni via di fuga alle realtà ma questi non sono pensieri miei, non sono pensieri da me, eppure li ho dentro.
Devo sbloccare, sbloccare questi pensieri e liberarli per farli esplodere altrove.
Prende il tetrapack dove dovrebbe esserci del latte ma con sua sorpresa non c’è nulla, almeno è questo che risulta dalle sue frettolose indagini, scuotendo e riscuotendo il cartone.
– Finito ma non c’è problema..ne ho una sempre confezione nuova per i casi di emergenza come questo. Traffica poi e maneggia e rimaneggia da un cassetto tirando fuori un mezzo litro di latte.
Poco dopo sposta la sua attenzione dal latte a qualcosa di meno bianco, me:
-Mi può passare quel paio di forbici, quello che sta lì nella tazza alla vostra destra sulla scrivania?
Dopo aver guardato alla mia destra ho visto la tazza, di quelle da souvenir turistico che l’uomo occidentale si trascina dietro per mezzo mondo, senza troppo senso apparente se non come sberleffo ultimo. Infilato in questo scherzo globale c’è un paio di forbici che estraggo.
– Queste?Gliele porgo, ovviamente con la lama dalla mia parte come da sicura consuetudine, in fondo è sempre meglio non puntare nessuno con la punta delle forbici in mano.
-Tenga.
-Grazie.
E taglia l’angolo del becco del pacchetto del latte.
Mentre versa un po’ di quel liquido bianco nella tazzina dove riposava il caffè assoluto mi sento per un attimo, per un istante com’è un Mosè inascoltato, come una Cassandra liquida, non so perché.
Non lo capisco. Ma sono molte le cose che non ho capito in vita mia e così soffoco il mio disperato grido in un singulto, la forza eversiva del grido sommerse mi scuote tutto, sembra quasi che pianga ma come si dice, non si piange sul latte versato.
– Sì, certo è Pardo Lester, lo scrittore.- Signor Carvo, dunque lei riconosce questo signore nella fotografia?
– Mi racconti del vostro rapporto.
– L’ho conosciuto un mesetto fa, durante una puntata dove il signore Lester presentava il suo best seller “mio figlio:il ragazzo bolla”. avrà sicuramente sentito di questa faccenda, di questo povero ragazzo che per una grave forma di allergia è costretto a vivere in una bolla di plastica trasparente.
– E il signor Pardo è il padre del ragazzo?- Sì, sì.
– No, penso di no. Lui ha solo documentato la vicenda, penso che fosse un suo amico.
– Sì.- Su cui ha scritto il libro?
– Vatti a fidare degli amici!
– Ma no, sicuramente l’ha fatto per raccontare, per divulgare, per far conoscere questa storia, per aiutare delle persone
– Signor Carvo, lei prima ha detto, mi corregga se sbaglio, ha usato la parola documentare ma ci sono altri documenti sulla storia di questo ragazzo?
– Sì, sì.
– E sarebbero?
– Le foto che ha scattato lui.
– E oltre a queste testimonianze non c’è nient’altro sul ragazzo bolla?
– Beh c’è il libro di Pardo Lester.
– A noi non risulta nessun Pardo Lester.
– Sarà un nome d’arte.
– Signor Carro ci racconta la storia del ragazzo bolla?
– Sì, sì, un dramma che non le dico, guardi.
– Come venne a conoscenza dell’esistenza del ragazzo?
– Conobbi lo scrittore che si era interessato al suo caso e lessi il libro. Sa, sono abituato a trattare storie di uomini che sanno che fare nella vita e la storia di questo ragazzo, così determinato vivere nonostante la sua diversa abilità a vivere mi aprii gli occhi e decisi di raccontare la sua storia.
– E come riuscii a incontrarlo?
– Chiesi alla mia redazione di trovare il numero di telefono di quel tipo baffuto.
– Baffuto?
– Pardo Lester?- Sì, lo scrittore.
– Continui la prego…- Sì, sì, lui.
– E poi ci vedemmo per un aperitivo. Ma scusate, di cosa sono accusato? Quali sono i miei capi d’imputazione
– Come le dicevo prima, Signor Carvo, questo signor Pardo è mancante.
– Quindi mi state accusando di aver rapito o eliminato in qualche modo il signor Lester Pardo…ma vi state sbagliando in pieno!
– No, non, signor Carro, non l’accusiamo di nessun rapimento. Anzi l’accusiamo di aver creato una persona. di aver creato una persona?
Il caldo che fa male ha invaso in un secondo tutta la mia guancia, mi duole il mio viso, vengo di nuovo colpito e non ricordo più niente.