Dottor Sussurro

Il dottor Sussurro era uno di quei filosofi che hanno dalla loro parte
la forza della ragione Versale dell’esistenza.

Vestiva nella versione ufficiale dell’ordine dei Filosofi Che Hanno Dalla Loro Parte La Forza della Ragione Versale, per l’appunto i FCHDLPLFRV che tra le altre cose sono anche gli inventori del codice fiscale per ragione di praticità.

La loro divisa è un pastrano arancione decorato di motivi floreali e il Dottor Sussurro era solito indossarne una divisa in ottime condizioni.

Era solito girare per conferenze tra i Verso e la sua ultima teoria sulla “Deriva dei Versi” aveva suscitato molto scalpore tra gli esperti del settore e non.

Anche molti gruppi AntiDecalogo avendo preso visione di questa teoria presero a simpatia il Dottor Sussurro, che per questo in alcuni ambienti venne accusato di propensione all’eversione, cosa lungi dai suoi pensieri, il Dottore era un tipo riflessivo attento agli eventi e aveva sviluppato una sua teoria in considerazione di ciò e non propendeva per nessun gruppo eversivo, anzi era molto preoccupato di ciò.

Per questo motivo andava in giro sulla sua lunga SparaMobile bianca di conferenza in conferenza sollevando la forza dell’Attenzione dei Verso su questo preoccupante andamento.

Ma inutile, non veniva quasi mai capito e lo stesso ordine dei FCHDLPLFRV era pronto a chiedere le sue dimissioni viste le chiacchierate e infondate simpatie che erano attribuite al Dottore.
Sussurro in seguito a questi eventi si dimise dall’ordine FCHDLPLFRV e lasciò cadere il titolo di Dottore, restando solo un Sussurro nelle conferenze dei Verso.

Anche se la sua teoria continuava a girare negli ambienti accademici, la caduta del titolo, aveva innalzato un muro di ostracismo sulla figura di Sussurro che ora non veniva più invitato a conferenza accademiche ma da appassionati di FantaScienza.

La fantascienza nel Verso è l’unica scienza ammessa anche se non riconosciuta dagli studiosi accademici dell’Università di Entropia.

Ora nelle periferie dei Verso, in vecchi teatri in disuso e in disarmo, l’arte era un’arma della Fantasia riconosciuta dall’Ordine di Tutti i Verso, si vedeva spesso una folla di appassionati studiosi di FantaScienza acclamare l’arrivo di una decadente SparaMobile bianca e di una figura in abito arancione e misconosciuta dall’Ordine FCHDLPLFRV.

Sussurro continuava il suo giro di conferenze, aveva cambiato pubblico, ma la sua preoccupazione era sempre alta.

La Deriva dei Verso poteva portare solo alla fine di tutto.
Se un Verso si staccava dalla quadricromia universale, l’ordine conosciuto sarebbe andato spezzandosi e l’ordine stabilito dal Decalogo nullificato all’istante, portando gli Esseri Abili in una Nuova Epoca di Barbarie.

Il lago ai piedi del monte:l’immagine della minorazione.
Il grande uomo pone la giusta misura alimentando i sentimenti nobili a discapito dei bassi istinti.
Così l’equilibrio non sarà mai nello sfoggio della ricchezza, ma nella semplice attenzione della realtà.

Il Circo degli dei

Erano dieci minuti.
Dieci minuti abbondanti.
Nessuno suonava alla mia porta nonostante stessi aspettando un corriere per dei libri.
Sul cellulare arrivava qualche messaggio.
Donne.
Ero troppo stanco per capirle.
Avevo sonno.
Erano più di dieci minuti che avevo sonno.
Wuster e birra era stato il mio pranzo.
La bottiglia di birra ceca in realtà mi guardava ancora dalla mia scrivania.
Wuster e birra e il pranzo che faceva ogni volta che mia madre stava male.
Quando la casa paterna si faceva triste e silenziosa e nel frigo non si trovava altro che quella confezione di wurstel al formaggio che a mio padre piacevano tanto.
La birra ce la mettevo io invece.
Erano anni che non mangiavo così…
E sono dieci minuti che continuo a fissare il lancinante bianco dello schermo.
Una sorsata di birra riscaldata.
Cerco di trovare il coraggio di raccontare questa mia misera storia mentre Judy Garland da una remota pagina di You Tube, sospesa nel tempo, canta solo per me Somewhere over the rainbow.
Stonerà non poco con quello che seguirà dopo ma ora è presto per capire…tra una variazione vocale e l’altra tra un salto temporale e l’altro non mi resta nulla da fare.

Nulla da fare come sempre.
Odio.
Davvero.
Strano a dirlo.

C’era solo un motivo che mi aveva portato a fare questo lavoro.
Semplicemente non sapevo fare altro.
Perso com’è ero nella mia mancanza personale di identità mi ero assoggettato a quello che gli altri vedevano di me.

E poi come si dice :” Poliziotto una volta, poliziotto per sempre…puttana una volta e puttana per sempre”.

Non c’era nulla di meglio per me che ero proprio al puttana della polizia.
Consulente ai casi anomali.

Così mi chiamavano loro mentre invece ero la loro puttana pronto a scattare per 15 euro l’ora ogni volta che ne avessero bisogno.

15 euro l’ora, quasi quasi mi conveniva davvero fare la puttana peccato che la migliore descrizione del mio aspetto fisico l’abbia dato una fanzine all’uscita del mio primo romanzo.

“Quando lo incontriamo, in un anonimo e stantio bar, ci appare subito togliendoci la luce, è lì in piedi, goffo e vertebrato come un Kurt Cobain obeso e coi capelli castani, insomma più un Homer Simpson dei Sadgasm che un’icona rock…”

Da allora non mi sono mai messo a dieta e ho quasi smesso di pubblicare perché nella vita di uno scrittore ci sono le bollette da pagare.

Una vita in bolletta poteva essere il titolo della mia biografia da tenere lì, a prendere polvere dopo quella di Strindberg “Il figlio della serva” e quella di Philip K. Dick “ Confessioni di un’artista di merda”, ma sono sicuro che voi questi nomi non li conoscete, a cominciare dal mio.

Sono sicuro che avete di meglio da fare che leggere libri che costano troppo quando invece l’aperitivo , il cellulare nuovo, e il capo firmato vi rendono esseri sociali in una società animale come la nostra.

Cosa differenzia l’uomo dall’animale?
La risata?
L’anima?

Ci hanno provato molti a rispondere e ognuno ha dato la sua risposta.
No, la vera differenza tra l’uomo e l’animale, la fa la letteratura, per questo vi dico che state tornando a essere animali.
Può una scimmia schiacciare i tasti del suo telefonino, del suo i pod pad (fateci caso che nomi gutturali, quasi animaleschi stanno dando a cose complicate per abbassarle al vostro livello) o vestirsi da sola, ma una scimmia non può leggere e comprendere, come molti di voi d’altronde.

Ecco, a causa vostra, invertebrati e illetterati che non siete altro sono finito a fare il consulente per i casi anomali.

In bolletta fissa avevo spedito il mio curriculum in giro e l’unica persona a rispondermi, oltre che ad una ditta di abbigliamento sportivo che voleva sapere come avevo fatto a ridurmi in questo stato (a loro, in tutta risposta, mandai la recensione della fanzine di cui prima) fu il responsabile delle risorse umane della polizia.Questo era circa due mesi fa.

Due mesi fa il tempo è diverso…
Vengo fatto accomodare nell’ufficio.
Un banalissimo ufficio di provincia che discosta molto dai modelli che ci vengono quotidianamente proposti dagli sceneggiati televisivi, come a dire: “tanto ormai tutto il mondo è reato”.
In televisione tutto deve essere, o sembrare molto più interessante che nella realtà, altrimenti hai voglia che la gente sceglierebbe davvero di vivere per due o tre ore nella sua realtà piuttosto che buttare la propria mente in queste anguste e strette “scatole cinesi del tempo” chiamate palinsesti, dove il tempo viene canalizzato, guidato e fatto defluire nel nulla,un nulla decisamente più commerciale e alla moda, anche se la moda è il massimo del commerciale visto che cambia i suoi maglioncini tutti gli autunni con degli addii senza troppi rimpianti.

Ecco la moda danneggia la società perché ci abituiamo troppo in fretta a disfarci delle cose vecchie che non abbiamo nemmeno più il tempo di accorgerci quanto siamo già diventati vecchi per il mondo che ci circonda, anche quello degli affetti.

Mi hanno fatto accomodare su una sedia, dicevo, dal lato sbagliato di una scrivania la cui superficie è sì invasa da fascicoli e carte varie ma dove tutto lì sopra appare rigorosamente e burocraticamente in ordine.

Avevo mandato un curriculum e mi hanno chiamato.
Gli unici.
Quelli che aspettavo di meno e ancora mi chiedo come mai abbiano chiamato uno come me.

Alle pareti sono appesi, in maniera più rinfusa, comunicati, circolari, fotografie e manifesti secondo un ordine che al momento mi sfugge.

I due agenti che mi hanno condotto fin qui si son fermati sulla porta.

Non sono entrati.

Si sono fermati sull’uscio, mi hanno indicato la sedia e dopo avermi perentoriamente intimato “Prego, si accomodi”, mi hanno detto di aspettare che “c’è qualcuno che vuole parlare con lei”, cioè con me.

“Voglio parlare con te”questa poi è una formula che conosco fin troppo bene e quando viene usata vuole solamente dire che sei nei guai.
Sono nei guai.
Ma questo non mi sembra poi tanti strano.
Ho passato un’intera vita tra tribolazioni e guai che quando verrà il giorno che si presenterà senza l’ombra di un problema, beh allora sì che sarò spaventato a morte.
Si apre la porta alle mie spalle, pessima posizione, sia per la porta che per le mie spalle secondo il feng shui ma non posso pretendere che questi dipendenti statali conoscano più di quanto sia mai stato scritto nel loro contratto.

Cacciatore carnivoro che in questo caso è rappresentato dal tizio appena entrato bramoso di assaggiare il problema in sospeso insaporito dalla mia carne e il mio sangue.

Non sono mai stato tanto bravo in matematica ma facendo due più due deve essere per forza lui l’uomo che vuole parlare con me.

Appena varca la soglia dell’ufficio mi sento già a disagio; sarà anche per il feng shui mancato ma tant’è.. per evitare di guardare subito in faccia i miei problemi osservo nuovamente la stanza in cerca di altri dettagli ma anche stavolta non si mostra meno asettica e minimalista di ogni altro ufficio moderni.

Entrando si siede subito, con troppa calma.

Io che sono un esagitato cronico, un ansioso da antologia..a me danno per forza i nervi questi tizi troppo calmi.

– Gradisce un caffè?

Necessito di un caffè per far rimettere in moto il cuore di questo tizio in giacca e camicia davanti a me, altrimenti dovrei prenderlo a schiaffi, concludo, nella matematica delle opportunità, che un caffè è meglio.

-Un caffè. Grazie.

Si alza e compie qualche passo, piccolo e stretto, ma viste le dimensioni dell’ufficio non potrebbe essere altrimenti; il tizio qui non ha fatto molta carriera.

-Potrei avere un po’ di latte?

– Certo, caldo o freddo?

Avete mai la sensazione che da una risposta, da una singola vostra risposta, possa dipendere tutto il destino del mondo?

Ecco, questa è la sensazione che sto provando proprio in questo momento.
Eppure mi è stato solamente chiesto se voglio del latte caldo o del latte freddo.
In gola è come se mi si fermasse il moto dell’universo, bloccando ogni via di fuga alle realtà ma questi non sono pensieri miei, non sono pensieri da me, eppure li ho dentro.
Devo sbloccare, sbloccare questi pensieri e liberarli per farli esplodere altrove.

Prende il tetrapack dove dovrebbe esserci del latte ma con sua sorpresa non c’è nulla, almeno è questo che risulta dalle sue frettolose indagini, scuotendo e riscuotendo il cartone.

– Finito ma non c’è problema..ne ho una sempre confezione nuova per i casi di emergenza come questo. Traffica poi e maneggia e rimaneggia da un cassetto tirando fuori un mezzo litro di latte.

Poco dopo sposta la sua attenzione dal latte a qualcosa di meno bianco, me:

-Mi può passare quel paio di forbici, quello che sta lì nella tazza alla vostra destra sulla scrivania?

Dopo aver guardato alla mia destra ho visto la tazza, di quelle da souvenir turistico che l’uomo occidentale si trascina dietro per mezzo mondo, senza troppo senso apparente se non come sberleffo ultimo. Infilato in questo scherzo globale c’è un paio di forbici che estraggo.

– Queste?Gliele porgo, ovviamente con la lama dalla mia parte come da sicura consuetudine, in fondo è sempre meglio non puntare nessuno con la punta delle forbici in mano.

-Tenga.

-Grazie.

E taglia l’angolo del becco del pacchetto del latte.

Mentre versa un po’ di quel liquido bianco nella tazzina dove riposava il caffè assoluto mi sento per un attimo, per un istante com’è un Mosè inascoltato, come una Cassandra liquida, non so perché.

Non lo capisco. Ma sono molte le cose che non ho capito in vita mia e così soffoco il mio disperato grido in un singulto, la forza eversiva del grido sommerse mi scuote tutto, sembra quasi che pianga ma come si dice, non si piange sul latte versato.

– Sì, certo è Pardo Lester, lo scrittore.- Signor Carvo, dunque lei riconosce questo signore nella fotografia?

– Mi racconti del vostro rapporto.

– L’ho conosciuto un mesetto fa, durante una puntata dove il signore Lester presentava il suo best seller “mio figlio:il ragazzo bolla”. avrà sicuramente sentito di questa faccenda, di questo povero ragazzo che per una grave forma di allergia è costretto a vivere in una bolla di plastica trasparente.

– E il signor Pardo è il padre del ragazzo?- Sì, sì.

– No, penso di no. Lui ha solo documentato la vicenda, penso che fosse un suo amico.

– Sì.- Su cui ha scritto il libro?

– Vatti a fidare degli amici!

– Ma no, sicuramente l’ha fatto per raccontare, per divulgare, per far conoscere questa storia, per aiutare delle persone

– Signor Carvo, lei prima ha detto, mi corregga se sbaglio, ha usato la parola documentare ma ci sono altri documenti sulla storia di questo ragazzo?

– Sì, sì.

– E sarebbero?

– Le foto che ha scattato lui.

– E oltre a queste testimonianze non c’è nient’altro sul ragazzo bolla?

– Beh c’è il libro di Pardo Lester.

– A noi non risulta nessun Pardo Lester.

– Sarà un nome d’arte.

– Signor Carro ci racconta la storia del ragazzo bolla?

– Sì, sì, un dramma che non le dico, guardi.

– Come venne a conoscenza dell’esistenza del ragazzo?

– Conobbi lo scrittore che si era interessato al suo caso e lessi il libro. Sa, sono abituato a trattare storie di uomini che sanno che fare nella vita e la storia di questo ragazzo, così determinato vivere nonostante la sua diversa abilità a vivere mi aprii gli occhi e decisi di raccontare la sua storia.

– E come riuscii a incontrarlo?

– Chiesi alla mia redazione di trovare il numero di telefono di quel tipo baffuto.

– Baffuto?

– Pardo Lester?- Sì, lo scrittore.

– Continui la prego…- Sì, sì, lui.

– E poi ci vedemmo per un aperitivo. Ma scusate, di cosa sono accusato? Quali sono i miei capi d’imputazione

– Come le dicevo prima, Signor Carvo, questo signor Pardo è mancante.

– Quindi mi state accusando di aver rapito o eliminato in qualche modo il signor Lester Pardo…ma vi state sbagliando in pieno!

– No, non, signor Carro, non l’accusiamo di nessun rapimento. Anzi l’accusiamo di aver creato una persona. di aver creato una persona?

Il caldo che fa male ha invaso in un secondo tutta la mia guancia, mi duole il mio viso, vengo di nuovo colpito e non ricordo più niente.

Maledizioni di un pensatore di provincia: un libro che non leggerete mai

Tutte le mattine apro gli occhi.
Ora non c’è più la telefonata di V., la mia ex fidanzata, a riportarmi sulla terra.
Mi ha mollato da un anno ormai, è scappata con la versione moderna dei venditori di cravatte, gli ingegneri, gente noiosa ma dal reddito assicurato.
Solo ora che mi risuonano in mente le melodie degli Smiths mi accorgo delle coincidenze.
Era come in Superman.
Superman è fidanzato con Lois Lane, entrambi fanno i giornalisti, e lei è la figlia di un generale.
Come Superman vi dicevo, V. è figlia di un militare che prova a entrare nel mondo del giornalismo, mondo dove non ho nessuna ambizione personale ma che alla fine ci stagno per prendere due euro due.

E con Superman non avevo in comune solamente la professione della fidanzata e del suocero, in comune con lui avevo anche la Super Forza d’Animo e la Fortezza della Solitudine dove mi rinchiudevo a vedere dvd, guardare film, ascoltare musica, fare foto, dipingere, colorare, leggere e scrivere.

Isolato come un alieno tra una razza di isolati alieni.
Solo che in questa mia versione di Superman ha vinto l’ingegnere, Lex Luthor appunto e sorrido mentre mi accorgo che le canzoni degli Smiths sono davvero troppo corte per questa mia vita.

Mi ritrovo così da solo, davanti ai soliti palazzi grigi che si stagliano contro un cielo ancora più grigio dell’immaginabile.
Queste mattinate sembrano essere il prodotto di un onanismo divino maturato nella notte precedente.
Stranamente mi ritrovo ad avere sempre mezz’ora di tempo prima del nulla di sempre.
Già prima del solito nulla a cui devo fare per sempre e per forza ritorno.

Immagino Allen Ginsberg a Parigi, in una delle sue giornate al Beat Hotel, ma sarà stato così anche per lui?

In fondo abbiamo tutti il nostro nulla cui dobbiamo fare ritorno.
Schiaccio, grazie alla forza di gravità applicata alla caduta del mio greve dito, il tasto play sul mio impianto stereo coreano da saldo di super mercato a basso costo; senza ricordare assolutamente quale cd possa esserci caricato.

Well, the pleasure – the privilege is mine
Take me out tonight
Take me anywhere, I don’t care I don’t care, I don’t care
And in the darkened underpass I thought Oh God, my chance has come at last
(But then a strange fear gripped me and I Just couldn’t ask)
Take me out tonight
Oh, take me anywhere…

Già dall’ascolto delle prime note capisco che tocca nuovamente agli Smiths stamattina riaccompagnarmi sulla terra.
Mi ri-proietto sulle mie ripromesse anticipando la traccia successiva.
Non so perché ma non sono mai riuscito a immaginarmi a suonare come Morrisey almeno una volta.
Il caffè è già andato e le strade cominciano a essere occupate da altri fannulloni cosmici ormai compromessi in questa discrepante realtà associata.

Anche l’amore stesso è una ricerca
Cerchiamo tutti qualcosa a questo punto dell’inizio.
Vogliamo far sapere a qualcuno del futuro che noi, in qualche modo, ci siamo stati, c’eravamo e che abbiamo fatto qualcosa di dannatamente buono per un’altra anima persa su questo mondo di desolazione.
Vogliamo gridare agli altri che abbiamo avuto un’occasione per essere ricordati lontano da noi, dai grandi eventi, nei nostri intimi atlanti storici.

Ecco, uno dei miei problemi e che volgo lo sguardo troppo spesso all’eternità, incapace di concentrarmi sull’immediatezza del futuro e per questo rimango solo nel mezzo degli estremismi tra le ambizioni di V. e gli aperitivi del Tunica.

Galleggio o ci provo ma avere una ragazza a volte è impossibile e oltre che alla super forza d’animo ci va anche la super pazienza.
Io ci ho provato e riprovato con la stessa ragazza in un fidanzamento di tre anni a milioni di salti mortali ma era un amore precario e come tale è finito, con un preavviso di quindi giorni il mio contratto d’amore non è stato rinnovato.

Ma dicevo che se io ricordo benissimo o almeno a modo mio, così com’è scolpito nella corteccia celebrale, lei che scendeva dal treno per venire a conoscermi in una stazione “Genova P. Principe” che sembrava un quadro acquerellato di Degas a tinte tenui, con tanto azzurro sullo sfondo, bucato solo dai raggi del sole e dall’onda d’aria mossa dal treno che arrivo lento in stazione dove poi lei scende, si guarda in giro e poi mi vede.

Lei, V., davvero era venuta a conoscere il tipo che aveva scritto un libro strano (nel mio curriculum c’è anche la pubblicazione di un libro scritto davvero in questo modo, molta forma e molta sostanza ma poco diretto, così poco diretto che ha perso la coincidenza con le grandi occasioni quel libro a cui ho voluto davvero molto bene).

Era arrivata incuriosita dalla mia scrittura dalla capacità magmatica di incastonare frasi a doppia mandata che si aprivano ogni volta in maniera differente nel contesto del testo spezzato.
Dicevo che ricordo tutto… lei che scende e muove i capelli e mi sorride.
Beh a volte a lei non bastava.

Non bastava saperle che ricordo come aspettavo in sala d’aspetto, intento a guardare le pareti, pensando che forse potrebbe, per almeno una volta nella mia vita, andare tutto dritto come un treno, dritto fino alla lontana fine in un viaggio con qualche fermata ma senza sosta.

A lei no.

Voleva sapere i dettagli legati all’abbigliamento, alle acconciature, come nemmeno un catalogo grandi marche di modelli efebici e top model anoressiche che popolano la fantasia malata delle passerelle di un mondo già di par suo in costrizione su costruzione.

– Che intimo avevo la prima volta? Mi chiese.

E mentre penso se Lois Lane ha mai fatto questo tipo di domande ricordo che risposi:

– Nero.

Solo per farla sbottare:

– Non ti ricordi. Ecco! Voi uomini siete tutti uguali

Ma che mutande avevo io? (la differenza tra uomo e donna è insita anche nelle manifestazioni lessicali. Fa molto chic-glamour intimo mentre mutanda è qualcosa di tipicamente maschile).

– Nera.

– No.

– Arancione.

– Maffigurati. Vedi non ricordi!

Ma è diverso!

Già e diverso l’occhio del dettaglio è diverso il dettaglio ma le mutande restano mutande e l’amore è su due binari.

E sorrido amaro pensando che non avevo nemmeno i mutandoni rossi alla Superman.

Pensare che ci siamo conosciuti grazie al primo libro che ho scritto.
Lo hanno definito in molti modi il mio primo libro ma per me rimane sempre e solamente il primo libro.
Lei scriveva recensioni letterarie per un sito e le capitò in mano il mio libretto.
Piccolo, stretto e striminzito che gridava non in maniera ortodossa contro le porte chiuse del mondo.
Iniziammo una corrispondenza letteraria e virtuale fino al giorno dell’incontro alle piazze di Genova di cui accennavo brevemente.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=INgXzChwipY&w=480&h=390]

Dialogo immaginario con Jesse Owens

“Ti insegnerò a correre.
Correrai veloce, figlio della luce”.

Furono queste le sue parole.
Non furono le uniche parole che pronunciò, ma vi assicuro che sono le uniche parole che io ricordo ancora vivamente.

Me le ricordo con le intonazione dell’ epoca, con quell’ accento così marcato e ghettizzante.

Me le ricordo pronunciate nello stesso tempo di allora e con la stessa premurosa attenzione, perché il tempo in questa storia è importante.

Me le ricordo.
A volte girano ancora vorticosamente nella mia mente impaurita, mentre altre volte riecheggiano come presenza nelle mie orecchie e altre volte ancora danno legna al cammino del mio cuore nei momenti di difficoltà.

E se fosse un mattino grigio e piovoso sotto un cielo a cadere giù o in una di quei pomeriggi ascendenti sotto un sole giallo, questo non ve lo so dire.

Vi so dire però che da allora corsi, corsi sempre nei momenti giusti e in quelli sbagliati.

Non era una corsa disperata contro il tempo.
Il segreto, mi insegnò, non è correre contro il tempo.
A correre sempre non ci si sente parte del ciclo.
Il trucco è scegliere i momenti, i luoghi e le persone con cui correre o con cui correre contro.
Il tempo, quello inteso come Crono, deve essere tuo compagno, tuo amico, tuo confidente, qualcosa che tu conosci bene e che sai cosa può darti e cosa puoi chiedergli.

Non lo batterai mai ma non devi batterlo , devi solo lasciarlo scorrere.

Questo è tutto quello che mi insegnò e se a voi sembra poco, se sembrano solo parole, beh mi dispiace per voi.

Io non vi farò cambiare idea, non sta a me farlo.
Però tenetevi forte, perché  da adesso in poi correremo insieme.

“…in my late twenties and early thirties,I went through a period of several years when everything I touched turned to failure.
My marriage ended in divorce, my work as a writer foundered, and I was overhelmed by money problems…
becoming a writer is not a career decision like becoming a doctor or a policeman. You don’t choose it so much as you get chosen, and once you accept the fact that you are not fit for anything else you have to been prepared to walk a long, hard road for the rest of your days…”

Paul Auster ” Hand to mouth”

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=K1XclGwJY8s&w=480&h=390]