Musica e nuvole

Oldies, not goldies, but working progress…

Francesco Landini alzando gli occhi al cielo sentiva l’odore delle terre bruciate di Siena e ascoltava i rumori delle campagne toscane che accompagnavano quei sette segni sulla sua patente di guida o licenza di guida come il nuovo mondo aveva portato sotto i suoi occhi.

Il sole toscano, che lui non aveva mai visto ma che era stato tolto in dono da suo padre, venne schiantato dalla voce energica del poliziotto o uomo polizia che dir si voglia.

“Mister Landini sono 58 dollari di contravvenzione”.

Il signor mistero Landini, pensava tra sé e sé, perché proprio tale ammontare, perché una cifra tale di certo elevata ma non così cospicua, era riuscita a cancellare quelle sensazioni paterne in un secolo di secondo.

Quindi pagò, estrasse, qualche banconota dal portafoglio regalo di madre, soldi di taglio differente tra lorofino a raggiungere l’ammontare che il nuovo mondo esigeva per affermare la sua identità sovrastando la dimensione del vecchio mondo.

Rimise in moto il motore, scoppiava il motore così come lui era scoppiato dentro da una vita.

Un lavoro da mantenere, una posizione sociale da difendere, una ex moglie da dimenticare e dei figli da proiettare nel futuro e lui , lui che cosa desiderava davvero?
Questo tale senza legami continui questo mistero di adozione.

Succede, o almeno tutto era successo perché all’età giusta aveva fatto la scelta sbagliata: avevo messo su famiglia invece di perdersi per il mondo.

Ricordava adesso mettendo su un brillante cd nel suo stereo da macchina.

Un oggetto così lucido e liscio che poteva riprodurre il canto trapassato dei Ramones…che mondo assurdo pensava, perché sia  Joey che Dee Dee non avrebbero mai apprezzato tanta perfezione…

Traccia numero 4, qualche linea, bit, segnale digitale…tutto ma proprio tutto creava un mondo di ricordi

Don’t go baby don’t go…

Una storia di amore finita alla maniera dei Ramones, veloce e riffata, non che lui fosse un esperto di musica e nemmeno di amore, ma a quel concerto ci era andato.

Una delle poche cose buone della sua vita visto che se lo ricordava ancora.

Uno di quei concerti che ti danno la grazia del mondo e l’energia della terra, che ti mostrano qualcuna delle linee interplanetarie delle volontà ancestrali

Don’t go  don’t go

Era una vita.
Aveva la sua vita.
Doveva…
Basta, tutto era passato a pensare al presente.

Erano andati loro, i Ramones, se ne erano andati, se ne era andata sua moglie con quel giamaicano…e i suoi figli persi nella gerarchia scolastica del nuovo mondo…

Non aveva altro da fare che estrarre il cellulare e accostare la macchina.

Pur munito di vivavoce aveva deciso di munirsi di pace per questo atto

Compose un numero e una signorina gentile per professione rispose, pochi preamboli e un biglietto aereo per l’indomani aveva stampato sopra quelle sette lettere che profumavano di Toscana.

“Hello”

“Ciao Francesco sono Hernan”

“ Oh si dimmi”

“ Ti volevo ricordare per domani l’incontro con Mr Mildford”

“ Ah, l’affare Mildford”

“ Si ricordati di quanto sia importante per noi come cliente”

“ Domani hai detto , Hernan?”

“ Si, Francesco, domani”

“ Domani non posso”

“ Come non puoi? È un mese che tratti quella commissione”

“ Ho cose più urgenti da fare”

“ Guarda che allora do la provvigione a Nielsen”

Uno sguardo fuori al nuovo mondo era l’unica azione perfetta che poteva accompagnare l’azione di girare il pulsante per alzare quel volume digitale dello stereo in macchina, così gonfiando la vita, selezionò la traccia numero tre

The kkk took my baby away

“ Francesco , il kkk ? Ma non era scappata con quel giamaicano”
Sentiva i ridolini di Hernan dall’altra parte del telefono, dall’altra parte del mondo,.quella particolare posizione geografica dove i furbi pensano di essere salvi da tutto.

Non c’erano nuvole in cielo ma la testa di Francesco era piena di pensieri oscuri, anche altrui…

“ Bravo , oltre a tua moglie dai pure la commissione di domani a Nielsen” e attaccò la telefonata, accelerando per dirigersi verso  casa.

Hernan attaccò il telefono e seccato se ne andò a bere un cocktail, quasi dello stesso valore della moglie.

Nielsen che invece non sapeva nulla dell’accaduto era nel letto di Hernan con la moglie di Hernan

Mr Mildford fu invece ricoverato all’ospedale per una indigestione.

Il dottore che lo ricoverò era uno di quelli che ai concerti cantano sempre Free Bird…

Things just couldn’t be the same
‘Cause I’m as free as a bird now
And this bird you can not change
And the bird you can not change
And this bird you can not change
Lord knows, I can’t change

Lord help me, I can’t change

Lord I can’t change
Won’t you fly, free bird, yeah

Da “Il Nucleo” Omaggio a Bruno Schulz

Bruno e l’illegalità di esistere (di Fabio Izzo)

In un creato a dimensione divina Bruno aveva smesso di resistere.

Una solar in più lo aveva allontanato dall’esistenza.

Bruno aveva perso il suo Messia, l’aveva nascosto in qualche pozzanghera il giorno dopo piovuto, l’aveva immerso in  un campo di grano appena trebbiato, lo aveva inzuppato in una tazza marrone di caffè rendendolo attivo e ipnotico, lo aveva mimetizzato nell’odore del pane caldo che inonda l’aria delle mattine estive.

Perché Bruno, come solo lui sapeva fare, amava la Stagione, tanto che l’estate l’aveva definita sua, tutta.

Il Messia di Bruno, in quella che per lui era la stagione prima, aveva avuto vita propria.

Un dono inaspettato in tempi che non aspettavano di sicuro la vita.
Giorni che ormai sembrano essere dimenticabili, in questo tempo non prezioso che ha asfaltato violentemente i pensieri felici; altri messia si erano affacciati ,con altre identità, predicando il disprezzo per l’originale, se non proprio che il disprezzo per Bruno stesso, ultimo rappresentante di una razza non resistente.

Tutto ciò avveniva seguendo il ciclo del sole, da quando era nato, da quando quel celato mistero della nascita l’aveva inaspettatamente scaraventato sulla parte lucida del mondo.
Solo che a lui, non l’avevano avvertito; nessuno lo considerava e tanto meno nessuno l’avrebbe avvertito nei suoi  sorrisi spezzati e così il suo primo sguardo sul mondo cadde pieno di meraviglia.

Meraviglia tutta e ultima.

Meraviglia coraggiosa che si frantuma contro la vigliaccheria del mondo. Coraggiosi risultavano essere i suoi occhi ad aprirsi ostinatamente conoscendo solo il buio.

La prima cosa che vide fu  l’insieme di tutte quelle variazioni della luce che poi avrebbe imparato a chiamare colori, il nero. Meraviglia era quella linea che divideva il chiaro dallo scuro, meraviglia erano quei  cavalieri dorati che bucavano l’oscurità con il loro coraggio di risplendere nella notte.

Aveva dimenticato i pesanti Golem, le lettere sacre, le vendette dall’alfa al beta, Bruno al suo Messia aveva prestato, senza chiedere nulla in cambio in un gesto di amore assoluto, il suo sguardo sul mondo.

Il Messia doveva così vedere, sarebbe stato costretto dunque a vedere con gli occhi di Bruno ma in questo momento era un Messia distratto che non stava guardando.

Elaborava dati, concetti, pergamenava tutto.
Il creato intero era steso sulla sua pergamena.

Aveva abbandonato Bruno, era fuoriuscito dalle sue mani e se ne era andato per una parusia fine a se  stessa.

Abbandonato Bruno, si guardava le mani e le chiudeva, le apriva, le stringeva, le faceva mulinare nel vuoto come se le sue mani avessero ancora qualcosa del Messia in loro e come se quel qualcosa fosse destinato al mondo e Bruno, allora,voleva distillare ogni goccia di tutto  da quelle sue mani, scrutandole, osservandole e rimuginandoci sopra.

Sono mani: hanno cinque dita, cinque strade verso dio più o meno lunghe, protese verso la mortalità di chiunque.

Sono mani: pelose, con i palmi glabri, sacri agli indù e al sacro burro.

Sono mani: possono aprirsi, possono aprire la strada verso dio e possono chiudersi, chiudersi infinite volte su stesse in spirali e forme elicoidali.
Possono dischiudersi e perdere qualsiasi sentiero per l’immortalità.
Possono stringere, possono stringere altre mani, altri amori, possono stringersi e serrarsi su promesse, su parole di odio e di morte.

Sono mani che possono ferire, come  procrastinare l’immortalità.
Sono anche  mani che possono offendere.

Ma Bruno sa, sa che le sue mani, trattengono e rilasciano parole di getto, che inaspettatamente immortalano lamine di tempo bianche.

Sa che sono mani che creano e sospetta che derivi proprio da queste mani la sua illegalità a vivere. Le guarda, le studia, non le sa leggere ma le sa portare.
Le chiude, stringe i palmi e li nasconde serrati nelle tasche profonde di oscurità, per ogni anima immortale o maledetta a essere tale.

È buffo come un ponte si stenda sempre di fronte ai destini umani:

Sopra un ponte ci stanno i demoni ad aspettarti, sotto il ponte i demoni ti hanno già preso, il resto è solo acqua che scorre incurante della tua miseria umana. Salve, sono Bruno Schulz!”stava parlando riflettendosi a secco in un tazza stagnante di pensieri e caffè:

E un giorno morii, a caso e nemmeno tanto a stento.i ncredibile la storia della mia trasformazione. Io piccolo matto scrittore provinciale con la sola unica e massima ambizione di arrivare a intravedere i tessuti arcani del creato. Non sono mai stato padre anche se ho creduto all’amore.

Ho creduto all’amore sbagliato dove io, per paura, davo tutto me stesso.

E devo dire che si presero tutto, sempre.

E rimasi con le piccole piume di un pavone a sventolare sugli spiragli di questa realtà. Ma la storia o almeno la mia storia, piccola macchia di caffè in qualche sperduto luogo d’atlante universale, quella stessa storia che è arrivata alla mia proclamazione di morto è ben più lungo di un caffè annacquato. Ricordo che nacqui, avvolto in mitologie pre-esistenti già a mio padre, così uscii, io frutto di qualcosa già consacrato ad altro.

Quelle lenzuola furono le mie nubi, gli spettri del mio disagio.

Ritrovarmi nuovamente avvolto in cose vecchie. Ne tiravo i lembi già da piccolo perché a me, troppo stretti. La mia prima parola forse fu mamma, che in seguito riguardo a quella mitologia di cui accennavo prima, dovetti trasformare in madre. Le parole hanno un loro rigido significato.

È la mente umana che le rende elastiche assottigliandone la forma per maneggiarle al meglio. Siamo capaci di plagiare la volontà delle parole in atti di diversi significati. E così io lo imparai presto che la gente non dice quello che vuole dire ma solamente quello che riesce a dire.

Come me, come voi, in questa bocca inzuffata di cozze in sorrisi smorzati per me.

Poi d’improvviso ricordo.

Sono solo un povero piccolo pazzo scrittore provinciale che troppe volte ha sfidato gli dei , solo per essere ignorato. A coloro che gli dei temono recano loro in dono la pazzia. Poi scoprirono il caffè e lo diedero in dono agli artisti, reietti tra i pazzi.

Gente che in una tazza, in un fondo, non vede un futuro affondato ma un presente compresso privo di comprensione..”

Nel 1973 il regista polacco Wojciech Has ha realizzato un lungometraggio da “Il Sanatorio all’insegna della Clessidra”, The Hour-Glass Sanatorium (Polish: Sanatorium pod klepsydrą) recentemente ristampato in Dvd per il mercato inglese.

 

Scrivendoci sopra…doppio umano

Questo è un progetto che cullo da tempo, che ho già cominciato a scrivere ma che Wonz e birra vorrendo, terminerò su a Cracovia, o almeno  recuperò altro materiale al riguardo ma è anche un modo per lasciare tutto in stand by.
Buona lettura.

 

– E così, com’è il Camerun?

– Un paese come un altro.

– Ma dai mica può’ essere come la Polonia?

– E cosa dovrebbe avere di diverso?

– Tutto e niente.

Ricordavo un vecchio racconto di Chatwin sul mio paese natale e sapevo che la ragazza era sprovveduta e abbastanza ignorante da… ad ogni modo avrebbe potuto credere meglio alle parole di Chatwin che alle mie.

– Il Camerun è un paese strano a dire il vero.

– Ah sì

– Sì, lo sapevo!

– Non ti sfugge nulla eh?

Qui mi mise le mani sulla patta

– No tranquillo, non me lo faccio sfuggire ma ora voglio sapere del Camerun.

Forse è così che si doveva sentire Sherazade ne la Mille e una notte. Forse è così che ci si sente a raccontare storie, a prendere la verità e ad avvolgerla intorno alla bugia, per proteggersi, come mettersi dei guanti. Forse, o forse no.

– Vuoi una birra?

– Certo.

– Cos’hai?

– Qualcosa preso al super mercato, nulla di marca.

– Robaccia buona per sciacquarci i piatti-

– Già ma lo sai che in Camerun la birra è afrodisiaca?

– Davvero

– Sì

– E qual’è la più afrodisiaca di tutte?

– La Guiness.

– Davvero? E chi me lo dice?

– Chatwin

– E chi è Chatwin?

– Un amico mio.

Era fatta, la verità non sarebbe mai più venuta a galla.
Sogni, incubi, la realtà che appare e scompare costantemente sotto i tuoi occhi modificata ultima dalle prime parole del mattino. Tutto è falso, tutto è modellato. Il modello si discosta dalla verità.
Una febbre che sale e che non scende mai, che brucia, caldaia caricata dalla legna dei desideri

 

Il circo degli dei 24: la notte di San Giovanni

Stasera è la notte di San Giovanni o meglio ora è sera, dopo sarà notte. Questa è una notte magica che raccoglie magia ovunque. Il mondo magico, quello antico, che si arresta lì, alla segnaletica del tempo digitale, sparacchia qua e là, come impazzito, i suoi ultimi incantesimi.

Era una splendida notte come solo le splendidi notti di giugno sanno ancora essere nel ciclo perpetuo del calendario feriale, sotto il tepore del loro maestoso cielo stellato.
Il mio stato di eccitazione deriva dall’alcool in circolo nel mio sangue, presente in quantità post industriale; l’ambrosia del fallimento riassunta per ettolitri in centimetri quadrati di vodka (troppa) e succo d’arancia (troppo poco).

Avevo imparato a bere la Vodka in un lontano capodanno di tanti anni fa, a Bratislava, dove ci sono le donne più belle del mondo, o almeno così dicono da quelle parti ma sempre per dire il vero, lo dicono in tutte le parti del mondo. Ero a Bratislava per sbaglio. Non che Bratislava sia un brutto posto, non è nemmeno il peggior posto del mondo, è stato giusto il posto sbagliato. Buffo come solo nella mia mente qualcosa di giusto possa risultare sbagliato. Poco mi importava del Danubio, del Castello, del museo degli orologi. Io cercavo un biglietto aereo per un appuntamento a Breslavia con una splendida ragazza polacca conosciuta su internet. La mia solita fortunata conoscenza dell’altra Europa mi portò invece con il finire solitario sulla riva destra del Danubio.
Imparai così, come il più classico degli anti eroi, solitario e decadente, a bere bicchierini di vodka locale venduta in un minuscolo un banchetto di legno, per intenderci tipo quello di Lucy e dei suoi consigli psichiatrici nei “Peanuts” di Charles Schulz, ad una cifra che si aggirava inverosimilmente attorno ai 19,99999999 centesimi di euro a bicchierino. Tornai da Bratislava con un indelebile sapore di sconfitta in bocca, retrogusto alla vodka di patate.

Anche adesso, come allora, non ho donne con me. Solo che al contrario di allora, non ne sto cercando. Raramente o troppo spesso, a seconda di come si preferisce guardare la cosa, ho avuto compagne di viaggio durante la mia immobilità di resistenza a questi luoghi.
E tutte si sono perse nel mio passato.

La colonna sonora di questo momento potrebbe essere benissimo un vecchio successo sbiadito dalle sabbie del tempo, un singolo dei Public Image Limited di Johnny Rotten “this ain’t a love song” perché questa non è davvero una storia d’amore.

Stanotte in questa umida serata di giugno sembra che ogni stella rimanga lì, immobile con la sola intenzione di splendere a mo di bandierina non troppo generosamente puntata sulla mappa dei miei insuccessi. Fortuna per fortuna ho paura che nell’allungare la mano potrei anche rimarci fulminato dal capriccio magico di qualche divinità indispettita.
Il mondo è magico, ne sono certo, ma non ne ho le prove.
Ed è proprio per questo che sono uscito stasera, in questo buio catalizzatore, a cercare i resti, i residui dell’antica magia sparsa per il mondo.

Mai scherzare con le stelle perché c’è sempre un brutto oroscopo in agguato, ovvero la vendetta del destino rapidamente consegnata ogni mattina ad ogni destinatario.
Le stelle rimangono tutte accese in una smorfia luminosa, nessuna marca assenza in questo perfido appello serale.
Un bagno di luce si presta sempre ad illuminare il mio fallimento ma mai le sue ragioni.
Privato di logica e alimentato da passione vivo in una religione decaduta e mai fiorita, ai limiti della coscienza civile.
Anche d’estate vivo nelle concezione invernale del mio tempo, congelato.
Sono un dio in un pantheon indegno.
Sono la divinità più miserevole.
Sono il dio fallito del fallimento riuscito.

Nella mia bocca si annida il suo sapore, cuori bruciati in salamoia, coperto in parte dal dolciastro del succo d’arancia di qualità scadente in aperto contrasto con la punta di sapore della vodka, quella sì della miglior qualità. Stringendo la testa tra le mani i capelli mi spazzolano i palmi.

Cambiare per andare avanti. Cambiare per non morire. Mi ero da poco fatto tagliare i capelli, in una lotta contro l’ingrigirsi della chioma e della vita che andavo ormai perdendo da tempo. Cambiare la propria vita è qualcosa a cui tutti pensano prima o poi, la famosa teoria dei sei gradi di insoddisfazione: puoi reggere fino al quinto grado ma una volta arrivato al sesto,poi cazzo non puoi far altro che esplodere.

Mi galleggia in mente un telefilm americano di qualche tipo. Se c’è qualcosa che gli americani sanno fare, come nessun altro, sono proprio le serie televisive assieme ai i libri sulla vita di dimenticati scrittori falliti. Senza troppo divagare, la serie Tv aveva come protagonista un tipo baffuto e la sua cricca di amorevoli perdenti.
Il baffo, ad un certo punto della sua vita non proprio esemplare, scopre la teoria del Karma e una volta convintosi di possedere un cattivo karma, forse il peggiore dei Karma possibili, butta giù una lista di tutte le malefatte combinate in passato per poter così porvi rimedio e assecondare il karma supremo, depennando mano mano, episodio dopo episodio, gli elementi deplorevoli dalla sua lista.

Già, penso che dovrei fare qualcosa del genere, proprio come il protagonista del telefilm, ma una lista è qualcosa che può funzionare giusto in televisione e che serve per allungare una serie televisiva per l’appunto. Nella mia vita non c’è nulla da allungare se non che la noia, la delusione e il fallimento. La vita, in genere, è altro: è breve e veloce come uno sputo o come l’eiaculazione primordiale da cui tutti noi arriviamo. Domani. Come domani? Domani?
No, domani è la scusa regina valida per tutti i falliti. Da adesso in poi mai rimandare!
“Ora” e “Adesso” sono le parole chiavi di questa mia nuova missione.
Ho trovato l’eureka assoluto del karma cosmico!

Per non essere più io il dio del fallimento, avrei dovuto cercare qualcun altro in grado di prendere il mio posto. Ma penso che un annuncio sul giornale del tipo: “A.A.A. erede divinità fallimentare cercasi” non potrebbe funzionare.

Mi ritrovo a sorridere, in fondo sono riuscito così bene a rovinare la mia vita per così tanto tempo, che chissà che potrei combinare con la vita di un altro. Avevo anche il perché, il movente imperfetto del delitto, e in quella sera erano già due i sorrisi scappati dalla stalla della tristezza.
Non c’era dubbio o altra soluzione: per riuscire finalmente a migliorare la mia vita dovevo riuscire a rovinare la vita degli altri. Me lo aveva rivelato l’indovina che si nasconde nel sedicesimo bicchiere di vodka e arancia. La teoria dei sei gradi di insoddisfazione. La luce cattiva delle stelle di giugno.
Un profeta generato dalla mente demiurgica e creativa di un qualche sceneggiatore holywoodiano di origine messicana.
Ma chi? La risposta era nella selezione. Una parola decisamente troppo in voga al momento.
Siamo sempre sotto selezione. Mai selezionanti e sempre selezionati.
Il nostro amore ci seleziona, la squadra di calcio ci seleziona, la nostra musica ci seleziona, il nostro lavoro ci seleziona, il nostro dio ci seleziona. Intendiamoci: siamo tutti frutti di scelte altrui.

il circo degli dei

Avrei potuto avere degli aiutanti.
Mi era permesso anche questo. Già, avrei potuto avere qualche assistente, consulente o stagista, tutto regolarmente a basso costo o tutto ovviamente gratis visto il budget che mi veniva concesso.
Non ero molto bravo in matematica ma considerando il risibile livello delle risorse messe a mia disposizione chiesi all’ispettore.

– E chi volete che lavori per queste cifre?
– Questi

Mi mostrò una colonna di carta alta più di un metro, che se ne sta lì a sfidare la gravità e il buonsenso.
– Questi? E cosa sarebbero?
– La domanda giusta sarebbe Chi ma sono i curriculum vitae di tutti i tuoi aspiranti aiutanti, sentiti libero di scegliere chi vuoi, sono già stati scremati. Vanno tutti bene.
– Dovrò fare dei colloqui allora.
– Liberissimo, se hai tempo da perdere
– Tempo da perdere, ma mi scusi Sullivano in che altro modo dovrei procedere?
– Semplice no, ne peschi due o tre a caso e il destino avrà scelto per te.
AH

Ecco, comincio a pensare che mi abbiano selezionato in questo modo, ero finito in una bizzarra lotteria di disperati e una mano qualunque mi aveva sorteggiato, beh, poco male, in fondo è questa la vita in qualche modo.

-Io vado, vedi tu che vuoi fare, basta che ci comunichi poi i nomi delle persone da lei selezionate dopo i suoi colloqui, così prepariamo i documenti…sa com’è la burocrazia…ah ah proposito, questo è per te.

Così dicendo mi porse una tesserino di plastica, anzi no, plastificato e un po’ sbiadito, dove c’era una mia foto ( la riconosco, è quella della mia recensione)

– E cos’è
– Il tuo tesserino

Sopra c’è scritto consulente casi speciali

– Ah grazie e che poteri mi da?
– Beh se riesci a volare o a sparare raggi dagli occhi sono cavoli tuoi.
– Ma no, dicevo che ci posso fare con questo ?
– Nulla, puoi mostrarlo in giro e se qualcuno ti crede tanto meglio, al massimo poi se hai problemi telefona a noi. ah e mi raccomando, ogni volta che entri ed esci dall’ufficio passalo nel lettore, è per il conteggio delle ore, sa sei pagato all’ora, ma oggi non ti affrettare, non è ancora in funzione
– Cioè non lo devo passare?
– No no, non è ancora funzionante, anche perché non sei ancora pagato, lo sarai quando avrai la task force funzionante, cioè quando avrai scelto i suoi assistenti. Quindi puoi scegliere con calma, selezionare i curriculum o fare come ti avevo detto io.

Già, la fretta dei soldi

-Ma la foto?
– Eh beh, era l’unica tua foto pubblica in circolazione.
– E perchè l’avete messa?
– Perchè sapevamo che non avresti rifiutato. Buon lavoro.

Forse l’ispettore aveva visto troppa televisione ma tant’è che aveva voluto una task force su questo caso. Task force, oddio no se se sia il termine giusto visto che guardo poca televisione.

– Hai carta bianca, mano libera, ingaggia chi ritieni più opportuno.
– Ma il budget?
– Già. Il budget è questo…-porgendomi un foglio- bisogna sempre tenere d’occhio il budget.
– Ma con questa cifra…
– Non è molto lo so.
– Chi posso ingaggiare con questa cifra?
– Per questo hai carta bianca.
– Un team, un equipe, una squadra? E come faccio con sta miseria.
– Ingegnati, cribbio, è il 2011: consulenze, stagisti…nessuno ti darà torto.

Nessuno mi darà torto, sono una consulenza esterna e sotto di me ci sono solo gli stagisti.
Misi quindi un annuncio su Internet dove risposero in molti, un giorno potrò forse scriverci in intero libro su questa disperata selezione. Alla fine selezionai due membri per il mio team. O almeno solamente una persona accettò il contratto che potevo proporgli.
Heimar Gunther Muller, drammaturgo della DDR. Nessuna parentela con il ben più noto Heimer Muller, a volte una lettera cambia la vita. Haimar Gunther accetto perché non aveva niente di meglio da fare in primis e in secondo luogo perché era un maniaco sessuale e pensava che da poliziotto o da pseudo poliziotto avrebbe avuto qualche chance in più.

– Eppure dovresti essere spaventato dalle divise
– Perché?
– Beh durante la DDR…
– Durante la DDR che
-Beh la stasi, le polizie segrete, le divise vi terrorizzavano
-Davvero?
-Sì
-E chi lo dice?
-C’è scritto nei libri di storia
-Mai letto
-Ma l’hai vissuto!
-Mai vissuto
-Ma…
-Ma…lo sai cosa facevano i militari nella DDR?
-Facevano paura?
-Ma che paura e paura….scopavano! Il fascino della divisa
-Ah anche lì, il fascino della divisa…ma quella dicevi non è una divisa è una pseudo divisa
-Quindi una pseudo divisa ha uno pseudo fascino?
-Per delle pseudo scopate ma meglio che stare a casa a non dover fare nulla facendo cadere la forfora sui fogli bianchi

Perché la gente scompare? Me lo sono sempre chiesto di fronte alle fotocopie attaccate con lo scotch che si trovano in ogni dove. Ancora oggi ne ho vista un’altra, un ragazzo scomparso, nessuno sa dove e perché. Davvero. Era lì abbracciato con il suo cane e sembravano felici. Ora saranno tristi entrambi. Si scompare, penso, perché si viene dimenticati. Certo i problemi hanno un loro peso, ma tutti hanno dei problemi e mica tutti scompaiono, ne sono certo perché quando ho alzato gli occhi dallo schermo del computer Gunther era lì alla macchinetta del caffè dove è sempre. Lui è sempre lì. Già. Penso che l’unico motivo per cui Gunther possa scomparire sarebbe quello della scomparsa della macchina del caffè. Gli altri, gli scomparsi, vengono dimenticati, Non hanno più una spalla su cui piangere, un sorriso con cui scaldarsi o una stretta di mano per cui andare avanti, senza parlare dei baci scomparsi. Troppe volte dimentichiamo quello di cui ha bisogno l’umanità. Questii sono i pensieri che mi frullano al momento mentre sto lavorando sul caso del Circo degli Dei, Gunther l’ha ribattezzato così. Lavorare su un caso di persone scomparse non è certo facile e non ti fa stare in pace con te stesso

– Gunther?
-Sì? senza nemmeno girarsi
Secondo te perché le persone scompaiono?
– Avranno problemi di alitosi, gli puzzeranno i piedi e le ascelle.
– Ma dimmi un po’ Gunther di che parlavano i tuo drammi teatrali nella DDR
-Di questo di quello, dipende da quello che mi veniva commissionato. Pensa che una volta ho scritto un dramma sula vita di un kolchoz, un collettivo, che doveva battere il record di raccolta delle uova. Tutti gli sforzi del collettivo, per quell’anno erano rivolti al tentativo di abbattere il record di collezione delle uova nell’Urss.
-E poi ? Riuscirono a battere il record?
– No perché il germe capitalista si era insediato all’interno della comunità e il figlio del sindaco vendeva sottobanco, in nero, le uova del suo kolchoz al collettivo vicino, che era poi quello che deteneva il record.
– Ed ebbe successo?
– Un grande successo, fu trasmesso anche alla radio
– Un radio dramma?
– Sì
-Ma dimmi Gunther a questo figlio del sindaco puzzavano le ascelle?
-No
-Soffriva di alitosi?
-No, perché?
-Perché una cosa del genere merita di sparire, ecco perché.
-Erano altri tempi…
-Già, ma hai mai scritto qualcosa su gente scomparsa?
-Mm fammici pensare perché?
-Non so magari ci potrebbe essere d’aiuto nel nostro caso.
-Fammici pensare, fammici pensare…sì
– E cosa?
-Avevo scritto un dramma su uno scrittore che nessuno leggeva e quindi scompariva, svaniva, come in dissolvenza.
-Bello
-Ma fammi vedere cosa abbiamo qua?
-Non molto
-E’ un elenco di nomi
-Già
-Di persone scomparse
-Già
-E dove sono scomparse?
-Sai che non lo so
-E come possiamo saperlo?
-Beh facciamo delle indagini
-Aspetta
-Cosa?
-Siamo pur sempre in un commissariato di polizia, avranno fatto loro delle indagini

Chiamai così il mio responsabile: -Sullivano?

-Dimmi

– Mi ha fornito la lista dei nomi delle persone scomparse…
-Sì
-Per farmi indagare sul caso
– Già
-Ma non mi ha detto dove sono scomparse

-Voi scrittori, mai a guardare la tv la sera come i comuni mortali, vero?Sarebbe chiedervi troppo di guardare 2 notizie o passare il tempo sfogliando qualche giornale? La vostra task force è stata creata per indagare sul caso del “Circo degli dei” leggete qui