Questo è un mio vecchio racconto, già comparso da qualche parte, si intitola Ferdinando Cuor di Libro
Nonostante tutto si trovava ancora un bell’uomo. Riflettendo la sua immagine nello specchio come ogni mattina da quindici a questa parte. Allontanati gli anni delle scuole, Ferdinando, aveva trovato il piacere di uno specchio al mattino e nonostante tutto si trovava ancora gradevole d’aspetto.
Provava ancora soddisfazione a rinverdire parte de “il mito di Narciso” in un ambiente poco consono, profano, ma rituale come il suo bagno.
Ferdinando provava ogni volta a decodificare i miti, i riti, le abitudini e le consuetudini che ormai affollavano il piano dell’esistenza senza essere capite dall’occhio umano della donna qualunque.
L’uomo qualunque è sempre stato rapito da altri sguardi e non navigava più da secoli, se mai nel suo dna avesse ereditato materiale marinaro, ma si sentiva ancora come Ulisse. Odissee su odissee. A che pro farsi la barba se lui ricordava benissimo che nello sceneggiato televisivo della televisione nazionale, Ulisse stesso, l’eroe moderno più antico che si possa trovare nella cultura pop, se Odisseo stesso, Ulisse per i più e Nessuno per i meno, aveva un corollario di barba al suo viso? Ferdinando non si rase quel viso seguendo le indicazioni mitologiche di una televisione distratta o di un regista che era meglio documentato di lui e dopo un azione non fatta, scese nel bar sotto casa. Privo di Telemaco e di una Penelope a cui dar da provvedere una reggia in sua assenza, aveva però conosciuto molti Proci ma Ferdinando non era solito fermarsi a domandare dei gusti sessuali delle persone, nonostante fosse ancora un bell’uomo.
Ogni casa ha sotto un bar, strana combinazione. Domus e tempio, Ferdinando si rammaricava ogni giorno per non aver studiato greco e latino. Inglobato dalle sue scelte precedenti che lo avevano portato a studiare circuiti elettrici e linguaggi macchina che si estinguevano nella società informatica più velocemente del Manx (lingua morta), aveva dedicato la sua gioventù a perdere tempo. Culture lontane nel tempo e nello spazio lo avevano per troppo tempo esiliato nel mondo moderno.
In maturità aveva scoperto uno scrittore perseguitato dalla scarsità di memoria di critica e pubblico e n’aveva ingoiata ogni singola parola, letteralmente. Per sentirlo suo, per avere il potere di quelle parole mangiò tutte le pagine di quel libro capolavoro condito con olio e sale. Cultura sì ma stupido no. Come alcune tribù africane, che lui aveva visto solo in Porky’s quando Pipino Morris usa a scopo educativo il National Geographic, aveva praticato il suo rituale cannibalesco con la prosa magica di un maestro della letteratura. Aveva da sempre voluto scrivere Ferdinando per scappare dalla normalità attiva della vita, aveva capito fin troppo presto che solo l’uso magico della parola avrebbe potuto spostarlo al livello gerarchico della comprensione.
C’è chi è nato per l’azione e chi per la comprensione, questo lo comprendeva benissimo.
Non era però sicuro quale fosse il suo posto o aveva compreso così bene tutto che non doveva più fare nulla o aveva fatto tutto che non c’era nulla più ormai da comprendere. Bibbia? Letta, ma chissà in quale traduzione si domandava. Vangeli? Letti, ma chissà in quale traduzione si poneva domanda. La Divina Commedia? Letta, ma chissà in quale edizione si inquietava. I Promessi Sposi? Letti, ma Manzoni non lo aveva mai annoverato tra i suoi lettori e questo lasciava un retrogusto amaro sulle pagine di quel libro Certo, li aveva letti e mangiati tutti per impossessarsi del verbo. In principio fu il verbo, dopo l’azione e venne dunque la digestione. Gadda, Pirandello e Sciascia avevano quel gusto classico, un po’ di salse francesi con Dumas, Balzac e Sartre. Fish and chips incartati da Shakespeare, zuppe e sapori Yiddish per Singer e così via di menù in un menù per ogni giorno che alimentava la sua conoscenza. Trovava indigesto Eco e lo aveva eliminato dalla sua dieta. Ogni scrittore era figlio dei sapori della sua terra e Ferdinando per impadronirsene univa gli aromi alle prose.
Poteva nella suo appetito discernere libri su libri. Li leggeva, li assoggettava e poi a seconda o meno che gli piacessero, in quanto il suo era un palato fino, decideva se deglutirli conditi o meno. Da buongustaio qual’era si prodigava anche in qualche manicaretto, odi, sonetti che servivano a stuzzicargli l’appetito, subito da lui composti e privati al resto della riluttante umanità. Il capolavoro assoluto aveva deciso che sarebbe sceso nel suo stomaco da solo privo di qualsiasi condimento, ma non lo aveva ancora trovato.