Cartoline acquesi
Quando nacqui faceva freddo. Freddo che gelava le ossa. Le spezzava. Quando nacqui la città era lí che mi ignorava, ignorante come solo un’ amante tutta ancora da conquistare può essere. Venni al mondo e tre anni dopo al Salone delle Terme si spensero definitivamente le luci sulla Bella Epoque. Un mondo si era estinto dopo il mio primordiale arrivo.
Io non me lo ricordo. Ho sempre e solo visto il buio. Ho visto il tramonto delle civiltà e l’alba delle barbarie. Naturalmente. Però ci ha pensato mia madre a raccontarmelo. Le madri hanno una grande influenza sulla vita futura dei figli, su ogni singolo aspetto della loro futura esistenza. Non so cosa le madri dei grandi possano aver mai deciso di raccontare ai loro pargoli. La mia decise di raccontarmi la conclusione, la fine, il termine, facendo di me qualcosa destinato all’estinzione. Poco importa che sul mio cammino, da lì a breve, si parò il fato a cambiarmi l’andatura, il percorso, riservandomi la felicità dei diversi, la gioa della solitudine, l’eleganza del difetto.
Sarei sembrato un tirannosauro. Una parola composta da termini greci e latini, il tyrannos ellenico cioè il sovrano e il sauros latino, la lucertola. Il re delle lucertole, era così claudicante il mio futuro.
Tornando a mia madre ricordo come lei amava soffermarsi sempre a parlare di un mondo di eleganza e di onore. Di guerre combattute per imperi che si sono sciolti come la cera delle candele all’arrivo dell’elettricità. Di balli militareschi, di nobildonne e gentiluomini.
Mio padre era genovese. Genova è a un tiro di schioppo da qui. Genova ci ignora con le sue storie di mare e con quel suo continuo via vai di gente. Noi invece siamo sempre gli stessi. C’è la ferrovia, il treno, ma per guadare il fiume ci affidiamo alla zattera quando abbiamo una lira da passare la Bormida. Restiamo qui, confinati, cercando l’oro della minuscola orografia nei miti delle osterie e delle taverne, con il Buti, il Ciampi, il francese e tutti gli altri.
Un giorno me ne andrò da qui. Cercherò le tracce di quel che resta di quel mondo dimenticato che solo mia madre ricorda. Una donna d’altri tempi, di prima del motore, una donna fatta di rabbia e d’amore. Una donna che mi chiama Gaetano. Solo lei usa quel nome, gli altri mi chiamano pazzo, quando lo fanno mentre i più mi deridono, qualcuno mi ama. Il mondo, quello che avrei voluto, non c’è più.