Poveri cuori umani che battono dappertutto



A due punti opposti delle loro vite si incontrano. Entrambi erano destinati ad altro, ma il loro percorso andò lì a intrecciarsi. Fuori dalle vecchie costruzioni murarie che delimitavano il perimetro del cimitero la città stava morendo. Cracovia moriva con le sue magie, la lancia di Longino, il drago Krak, il mago Twardowski e la pietra indù di Shiva che in passato salvo la città da eventi catastrofici. La città la fuori moriva perché lì dentro, in quell’antico cimitero ebraico c’era la vita coma mai c’era sta prima di allora e come mai più sarà più.
Lui, per rispetto, indossava un cappellino da baseball all’americana. Bisogna coprire la testa in certi luoghi per scoprire il cuore. Pensava guardando lei, fasciata im una sciarpa verdina, lisa, per un contrasto che la rendeva ancora più bella agli occhi.
A parlare era lui, stranamente. Fino ad allora era la conversazione non era stata il suo dominio. Tutto il tempo. Da quando si erano incontrati al ristorante. Lei era arrivata con quel cappotto a scacchi, bianco e nero. Vuoi fare una partita disse lui? Cosa? Non capì lei. Il cappotto? Gli scacchi. Incalzò. Lei sorrise e tutto finì in quel momento. Si spensero per sempre i rintocchi delle campane di Sigismondo, chiusero gli occhi le statue delle chiesa di Pietro e Paolo e la dama perse l’ermellino, all’epoca all’interno del Wawel. Quella conversazione diventò, almeno per lui, la cosa più importante di quella città. Ogni evento lì accaduto o in procinto di avvenire, non aveva più importanza. Le offrì un caffè, ma solo dopo averle chiesto il permesso di poterlo fare. Quel giorno era andato lì per lavorare. Si occupava delle gestione a distanza di alcuni siti online. Caporalato innovatico. Traduceva e scriveva testi che dovevano catturare l’attenzione di altri occhi. La scrittura era la sua vita. Lo era sempre stata. Quel che passava sotto lo sguardo, almeno in forma scritta, sembrava avere più valore. Dal caffè passarono a passeggiare per il quartiere ebraico, riqualificato per il turismo internazionale. Le basse case che una volta ospitavano studenti di Cheder e gli studiosi di Torah, lasciavano ora il posto ad edifici con piani rialzati che ospitavano bar, ristoranti, kebab e negozi di estetiste.
Percorsero ulica Miodowa, la via del miele, che taglia tutto il quartiere ebraico da una parte all’altra, fino al cimitero. Fu chiamata così perché ospitava principalmente i commercianti di miele. A lui piaceva pensare che fosse una metafora perfetta della vita, che alla fine è la dolcezza a portarti al sepolcreto. Tutto questo però non poteva dirlo.
Pensieri frullavano, passando da una lingua all’altra da una situazione all’altra. Aveva proposto di fare due passi. Una passeggiata senza meta, un’altra rappresentazione perfetta della vita quando non si sa dove andare. Lei accettò perché aveva tempo e aveva cambiato idea su di lui, come ammise qualche tempo dopo.
All’inizio lo trovava antipatico e presuntuoso. Quel suo modo di fare le sembrò scortese. Tutte quelle domande erano punture di spilli nel suo essere stratificato.
Non era abituata a comunicare, o almeno a comunicare in quel modo. L’antipatia andò scemando quando si arrese all’empatia. Aveva trovato qualcuno che l’ascoltava. Non era abituata. Lo sguardo fisso l’aveva messa a disagio. Il suo non guardare il cellulare a ogni notifica in arrivo le era sembrato strano. Dopo il caffè, aveva preso un prosecco e una porzione di tiramisù. Era un freddo pomeriggio di autunno e la mente, il cuore e il corpo avevano bisogno di attenzioni calorose.
Nella conversazione aveva scoperto poco di lui. Non era abituata a fare domande. Non è di certo facile mostrarsi interessati a qualcuno che non si conosce.
Così lei le aveva raccontato parte della sua vita immaginandosi che il percorso esistenziale di lui l’avesse portato nella ragioneria. Tutte quelle penne sul tavolo, i fogli, il computer, il cellulare che strizza e buffa l’aria ininterrottamente potevano andare bene solo per un accountant, un ragioniere per l’appunto.

Di lui lei sapeva che era italiano che era in quel ristorante, italiano per l’appunto, per fare qualche lavoro online e che era su una app di incontri per conoscere qualcuno. Non le piaceva il suo stile nel vestire. Un paio di jeans, una felpa, un gilet smanicato e un cappellino da baseball.

Di lei lui sapeva che aveva mangiato uno zurek, una zuppa che lui non amava molto, un caffè, un bicchiere di prosecco e un tiramisù. Lei era ucraina con antenati polacchi ed era in città per qualche motivo che ancora non le aveva rivelato. Aveva una figlia, non con lei al momento.

Tra di loro non c’erano chilometri e nazioni ma una città che pulsava per animi differenti. L’est, come il mondo, stava cambiando. La cultura lasciava sempre più il passo all’economia. L’animo dell’uomo andava spegnendosi. Non si giocava più a scacchi nei parchi, non si leggevano libri, ma si controllavo tassi di forex e azioni online dal display del telefonino. Le città stavano diventando sempre più uguali, viste da dietro uno schermo e accompagnate da suoni omogenei che avevano accomunato tutto.

Così lei conosceva una città, lui un altra e in mezzo c’erano tutte le loro differenze che pian piano andavano a scoprire nella passeggiata lungo la via del miele. Lei notava l’estetista al piano rialzato. Lui il caffè letterario che avrebbe voluto visitare. Non avrebbe mai potuto funzionare, disse loro la città che stava lì, ferma a guardare, avendo congelato tutte le sue vie, facendo soffiare all’improvviso un vento gelido da una parte e dall’altra.

Ripariamoci un attimo

Dove

Qui

Ma è un cimitero

Lo so

Non è strano

Tutto qui è strano

Delle alte mure proteggevano l’interno. Una targa bilingue, polacco ed ebraico, era messa lì per ricordare qualcosa. Un cartello decisamente più recente ricordava l’obbligo di coprirsi il capo.

Entrarono e cominciarono a passeggiare per quei vialetti.

L’enciclopedia della vita giaceva ai loro piedi.

Gente che era stata amata, odiata, uccisa, che aveva lavorato, studiato, fatto figli ora era lì.

Piegata dall’esistenza. Accartocciata dalla storia. Dimenticata dai più visto lo stato di incuria in cui versavano diverse tombe.

Posso farti una foto?

Le chiese

Non sa perché glielo chiese

Qui?

E perché?

Perché è bellissimo

Ma è triste

Per questo è bellissimo

Lei esitò poi disse qualcosa di inaspettato: No, preferirei di no.

Tutti si sarebbero aspettati un sì.

Il centro commerciale di Galeria Kazimierz, il monumento ai lavoratori stakanovisti che ricorda Mazinga Z in realtà, il distributore di benzina della orlen che confinava con le mure cimiteriali, tutta quella parte della città si stava aspettando un sì che invece non arrivò. La palestra e l’acqua fit, i ristoranti self service, Pizza Hut, il rivenditore ufficiale Harley Davidson si mostrarono particolarmente interessati all’evolversi dell’evento.

A lui quel no piacque.

Non ci vide un occasione.

Non era una di quelle persone che vedono in eventi negativi delle possibilità.

L’errore e un errore. Non possiamo stare lì a raccontarcela. Gli errori esistono, capitano, si vive per errore, si muore per errore, si conoscono persone per errore e si finisce con l’amare delle persone anche per errore.

Avrebbe potuto rubarle una foto al cimitero. Scattare un’immagine e rubarla al tempo per poi conservarla o perderla, ma come testimoniano tutti gli alberi e le pietre che si stagliano e si addormentano da quel lato della Vistola quotidianamente, non esiste nessuna foto di quell’attimo. A conoscenza di tutto ciò ci sono solo due cuori umani che battono dappertutto, mentre a ricordarselo ormai ne è rimasto solo uno.

Lo sguardo del tempo, il senno di poi, sono fiumi di altre storie riversate che vanno a coprire lacrime e altre storie. Chi interagisce al momento ti vede per quel che pensa che tu sia, non sapendo nulla invece. Non ha conosciuto chi eri, non è interessato a cosa sei, ha una noncuranza completa sulle cose future.

All’origine della storia mancava stratificazione.

Lui lo avrebbe compreso solo in seguito. Anni dopo.

Lei aveva già stratificato diverse esperienze.

Tutto sembrava liscio e primitivo, come i pannelli di legno che rivestivano le pareti del locale. Le candele che illuminavano proiettando oscillanti fasci di luce, disposti a piegarsi a ogni passo di ballo.

Ordinò una birra per lui e un bicchiere di vino rosso per lei. Consapevole che in quel tipo di locali la peggiore birra a disposizione sarebbe sempre stata meglio del più costoso dei vini presenti in listino.

Non lo so disse a lei.

Non ricorda perché.

Forse perché quando le chiese se volesse qualcosa da bere e lei rispose del vino, vide i suoi occhi tremolare come le fiamme delle candele.

Tutto si sarebbe spento di lì a poco.

Il vino poi, il vino rosso, sicuramente era più romantico di un boccale di birra.

Era già stato in quel locale, qualche giorno prima, con un suo amico, per fare una bevuta. Sapeva benissimo come funzionavano le cose, in maniera decisamente rustica e si sorprese, a scoprire, che quella sera, tutto appariva nuovo, come se fosse la prima volta.

Si era già levato il giaccone, la felpa ed era rimasto in camicia.

Cominciava a fare caldo.

La colonna sonora era vintage, roba anni 80, ritmi conosciuti e facili da seguire mentalmente. Ballavano tutti, era un mercoledì, la settimana presentava ancora qualche fatica ma nell’aria sembrava esserci un motivo per festeggiare.

Ricorda che le chiese di ballare e non sapeva che aspettarsi. Nel senso, dopo il bacio rubato sapeva benissimo che avrebbero ballato, ma con quale risultato? L’alchimia avrebbe funzionato? Non si trattava di muovere solo le labbra. Il ballo necessità di più fattori di cui lui era sicuramente sprovvisto.

Sicuramente era carente in allenamento. Non ballava da anni, se mai avrebbe potuto definire ballo le attività motorie scandite da un ritmo musicale effettuate anni prima.

Ma il ballo servì.

Eccome se servì.

Se lei prima sembrava troppo per lui, troppo bella, troppo sinuosa, troppo magra, troppo sorridente, ora era decisamente più per lui. Lei non aveva nessun senso del ritmo.

Non sapeva cantare, ne tanto meno ballare, come la figlia avrebbe confermato in seguito.

Appariva goffa, slanciata. Avete mai visto un cigno ballare? Bianco, candido, dal collo lungo e dal becco sinuoso, non è un essere che si è adattato allo spirito del ballo anzi.

Così appariva lei.

Nel suo gesticolare degli indici.

Nel muovere i piedi.

A lui tornò in mente Marinela.

Una sua ex rumena che lo aveva mollato per un camionista sparendo con una telefonata. Chissà se era ancora su quel camion, si chiese.

Comunque non sapeva ballare nemmeno lei.

Scherzando le disse, che le donne dell’est più che ballare, schiacciano le formiche coi piedi.

Non amava generalizzare.

Non amava un sacco di cose.

Non amò nemmeno il pestone che, ballando, ricevette da lei.

Non disse nulla.

Chiese il permesso per andare in bagno.

Zoppicante, laudicante.

Temporaneamente andate nella condizione che lei le aveva imposto, curante o meno del loro destino. Condizione che tornerà molto spesso da questa volta, che fu la prima, in poi.

La città stava diventando un’enciclopedia di eventi. Ogni tappa aveva una voce, una nota.

Tutto da approfondire, ma in fondo non gliene importava abbastanza, persa com’era in un mercoledì non molto diverso da tanti altri.

La città stava diventando un’enciclopedia di eventi. Ogni tappa aveva una voce, una nota.

Tutto da approfondire, ma in fondo non gliene importava abbastanza, perso com’era in un mercoledì non molto diverso da tanti altri.

Lituania- Cina- Usa, la guerra del telefonino

Le compagnia telefoniche hanno svolto un ruolo importante nella storia recente dell’Europa Occidentale. Si dice che gli Usa avrebbero avuto il controllo delle linee telefoniche della PRL e, in caso di necessità, avrebbero provveduto a staccare la linea, isolando il paese. Questa storia, vera o falsa che sia, sarà sicuramente conosciuta anche in Lituania, paese che confina con la Polonia, vista la grande importanza che la piccola nazione baltica sta dando alla difesa delle sue linee telefoniche.

Certo, il mondo è cambiato, la tecnologia continua a fare passi da gigante, le realtà sono sempre più connesse e i problemi nel mondo reale possono quindi tranquillamente arrivare anche da paesi distanti migliaia di chilometri..

Così, quello che a occhi tecnici sembra essere un mero abbaglio, in realtà, potrebbe nascondere dei retroscena geo-politici molto più complicati. Restando nell’ipotesi di complotto* (questo il nome della rubrica che state leggendo), quello a cui stiamo assistendo a distanza, da spettatori distratti anche se interessati, non è una semplice disputa tecnologica visto che la Lituania è da poco entrata a far parte della lista di paesi non graditi a Pechino.

https://www.dday.it/redazione/40653/smartphone-xiaomi-e-censura-la-lituania-ha-preso-un-abbaglio

La Cina ha quindi messo nel suo mirino il paese membro dell’Unione Europea e della NATO. Le relazioni diplomatiche, e non solo quelle, tra il Dragone orientale e Vilnius si stanno deteriorando sotto gli occhi spenti dell’Europa occidentale.

L’autorizzazione concessa a Taiwan di aprire un ufficio di rappresentanza nella capitale baltica, con conseguente volontà lituana di aprire un suo ufficio corrispondente a Taipei, ha segnato un momento di profonda crisi tra i due paesi. Pechino si è opposta fin da subito all’uso del termine “taiwanese” nel nome dell’ufficio aperto in Lituania. In realtà nessuno dei due uffici commerciali implica il riconoscimento di Taiwan come stato sovrano. Anche altre nazioni hanno stretto accordi simili, Stati Uniti in primis. Washington ha aperto un Istituto americano a Taiwan: un ente privato sponsorizzato dal governo a stelle e strisce, composto da funzionari del Dipartimento di Stato. Inoltre Cina e Washington hanno recentemente trovato un accordo per far tornare in patria Meng Wanzhou.

Ecco, al momento la Lituania, sembra essere rimasta sola in Europa a far fronte alla Cina, e non solo. Infatti, quello con Pechino non è l’unico problema internazionale che il paese baltico sta fronteggiando. Da quest’estate il paese baltico si è trovato ad affrontare l’arrivo di numerosi profughi proveniente dalla Bielorussia, senza un intervento tempestivo da parte dell’Unione Europea.

*Titolo di un vecchio film con Mel Gibson

Andrzej Kuśniewicz e la sua morta lezione sconfitta dalla storia

Si dice che si debba distinguere l’opera letteraria dalla persona dell’autore e che forse sarebbe meglio non incontrare mai i propri idoli, anche quelli letterari, perché si corre il rischio di restare delusi e l’autore di cui parliamo oggi rientra proprio nel settore delle “personalità storiche evitabili”.

 

Viviamo tempi strani, particolari, destinati a un crepuscolo, senza più dei, possiamo solo rivolgersi a chi ha vissuto e ci ha tramandato esistenze similari.  Andrzej Kuśniewicz, autore dimenticato, seppur attualmente presente nell’ottimo catalogo Sellerio, è lo scrittore da recuperare oggi,

 

Kuśniewicz è stato uno degli scrittori europei più abili nel raccontare l’era del declino e della fine dell’Impero austro-ungarico, in coincidenza con l’epilogo della Grande Guerra, come descritto nelle pagine di Lekcja Martwego Jezyka. Lezione di lingua morta, questo il titolo italiano, è un romanzo ambientato durante l’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, in un lembo di terra, la Galizia, schiacciata e compressa, tra la Polonia e l’ Ucraina di oggi, in un continuo stato di dissolvenza. Questa “lezione” narrativa, curiosamente,  si svolge in pagine esigue di dialoghi accompagnate da tanti, tantissimi rimandi a un passato oscuro e nuvoloso, rimandi che ben rappresentano residue presenze di un mondo destinato a scomparire e a essere dimenticato sotto le spinte dei nuovi nazionalismi.

Il protagonista del romanzo, il malaticcio tenente Kiekeritz sta morendo, lentamente, e ogni giorno, in maniera del tutto ossessiva, si misura la temperatura cercando nuove risposte alla sua definitiva condanna,  metafora di un’età e una cultura morenti. Viene così rappresentata la fine di quell’impero,  di quella cultura europea.  Il tenente è destinato inesorabilmente a morire, insieme al suo impero, austro-ungarico, lasciando dietro di sé solo storie e ricordi apparentemente lontani.

Andrzej Kuśniewicz è un autore dotato di uno stile sottile e complesso, quasi labirintico nella composizione della pagina, capace di adempiere perfettamente all’obbligo di chi vuol registrare la presenza della nostalgia dei tempi andati.  La caduta, nelle sue pagine, diventa un inaspettato splendore.

Questioni che appaiono attualmente scontate come, ad esempio, il tema della nazionalità, rappresentarono un enigma per questo grande scrittore che era polacco, scriveva in polacco, e pensava in polacco ma che fu chiamato a interrogarsi sull’identità della sua nazione: Galizia orientale ucraine, Galizia occidentale polacca, Russia, Austria e Polonia,

Lo scrittore polacco nacque  lì, dove le nazionalità sembravano mutare anno dopo anno, trascinate dalla fine di imperi morenti. Ma l’essere, l’azione stessa, è qualcosa che delinea nettamente, che ha scolpito le narrative pagine esistenziali di questo autore ormai troppo scomodo per essere apprezzato.  Per tutta la sua vita  “è” sempre stato qualcosa, presente e coinvolto, in aperto contrasto con il passato decadente da lui descritto.

Si può quindi dire, senza ombra di dubbio che lui “era” lì quando rispondeva all’appello dei suoi genitori che chiamavano un bambino ebreo nella Galizia polacca.  “Fu” anche  presente anche quando venne chiamato a combattere i nazisti  in Polonia prima e in Francia poi.  Da “essere” umano soffrì inoltre la terribile esperienza del campo di concentramento di Mauthausen, per essere chiamato ancora una volta a rispondere presente ai suoi doveri, come diplomatico  polacco della Polonia del dopoguerra poi.

Kuśniewicz è stato uno scrittore errante, un immigrato, un soldato, un prigioniero, un diplomatico, un poeta e un romanziere. Stranamente è stato molte cose ma non è una figura di culto perché dal 1953 collaborò con il Ministerstwo Bezpieczeństwa Publicznego. Nel 1960 venne registrato come Andrzej, informatore.  Dopo gli eventi del marzo 1968 denunciò, specificatamente, colleghi scrittori e giornalisti ebrei che stavano progettando di abbandonare la Repubblica Popolare Polacca. 

Inevitabilmente la sua figura, come scrittore, venne dimenticata e abbandonata e lui fu sconfitto da quella storia che l’aveva sempre visto protagonista da una parte o dall’altra, dalla ragione e dal torto.

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