Di lui lei sapeva che era italiano che era in quel ristorante, italiano per l’appunto, per fare qualche lavoro online e che era su una app di incontri per conoscere qualcuno. Non le piaceva il suo stile nel vestire. Un paio di jeans, una felpa, un gilet smanicato e un cappellino da baseball.
Di lei lui sapeva che aveva mangiato uno zurek, una zuppa che lui non amava molto, un caffè, un bicchiere di prosecco e un tiramisù. Lei era ucraina con antenati polacchi ed era in città per qualche motivo che ancora non le aveva rivelato. Aveva una figlia, non con lei al momento.
Tra di loro non c’erano chilometri e nazioni ma una città che pulsava per animi differenti. L’est, come il mondo, stava cambiando. La cultura lasciava sempre più il passo all’economia. L’animo dell’uomo andava spegnendosi. Non si giocava più a scacchi nei parchi, non si leggevano libri, ma si controllavo tassi di forex e azioni online dal display del telefonino. Le città stavano diventando sempre più uguali, viste da dietro uno schermo e accompagnate da suoni omogenei che avevano accomunato tutto.
Così lei conosceva una città, lui un altra e in mezzo c’erano tutte le loro differenze che pian piano andavano a scoprire nella passeggiata lungo la via del miele. Lei notava l’estetista al piano rialzato. Lui il caffè letterario che avrebbe voluto visitare. Non avrebbe mai potuto funzionare, disse loro la città che stava lì, ferma a guardare, avendo congelato tutte le sue vie, facendo soffiare all’improvviso un vento gelido da una parte e dall’altra.
Ripariamoci un attimo
Dove
Qui
Ma è un cimitero
Lo so
Non è strano
Tutto qui è strano
Delle alte mure proteggevano l’interno. Una targa bilingue, polacco ed ebraico, era messa lì per ricordare qualcosa. Un cartello decisamente più recente ricordava l’obbligo di coprirsi il capo.
Entrarono e cominciarono a passeggiare per quei vialetti.
L’enciclopedia della vita giaceva ai loro piedi.
Gente che era stata amata, odiata, uccisa, che aveva lavorato, studiato, fatto figli ora era lì.
Piegata dall’esistenza. Accartocciata dalla storia. Dimenticata dai più visto lo stato di incuria in cui versavano diverse tombe.
Posso farti una foto?
Le chiese
Non sa perché glielo chiese
Qui?
Sì
E perché?
Perché è bellissimo
Ma è triste
Per questo è bellissimo
Lei esitò poi disse qualcosa di inaspettato: No, preferirei di no.
Tutti si sarebbero aspettati un sì.
Il centro commerciale di Galeria Kazimierz, il monumento ai lavoratori stakanovisti che ricorda Mazinga Z in realtà, il distributore di benzina della orlen che confinava con le mure cimiteriali, tutta quella parte della città si stava aspettando un sì che invece non arrivò. La palestra e l’acqua fit, i ristoranti self service, Pizza Hut, il rivenditore ufficiale Harley Davidson si mostrarono particolarmente interessati all’evolversi dell’evento.
A lui quel no piacque.
Non ci vide un occasione.
Non era una di quelle persone che vedono in eventi negativi delle possibilità.
L’errore e un errore. Non possiamo stare lì a raccontarcela. Gli errori esistono, capitano, si vive per errore, si muore per errore, si conoscono persone per errore e si finisce con l’amare delle persone anche per errore.
Avrebbe potuto rubarle una foto al cimitero. Scattare un’immagine e rubarla al tempo per poi conservarla o perderla, ma come testimoniano tutti gli alberi e le pietre che si stagliano e si addormentano da quel lato della Vistola quotidianamente, non esiste nessuna foto di quell’attimo. A conoscenza di tutto ciò ci sono solo due cuori umani che battono dappertutto, mentre a ricordarselo ormai ne è rimasto solo uno.
Lo sguardo del tempo, il senno di poi, sono fiumi di altre storie riversate che vanno a coprire lacrime e altre storie. Chi interagisce al momento ti vede per quel che pensa che tu sia, non sapendo nulla invece. Non ha conosciuto chi eri, non è interessato a cosa sei, ha una noncuranza completa sulle cose future.
All’origine della storia mancava stratificazione.
Lui lo avrebbe compreso solo in seguito. Anni dopo.
Lei aveva già stratificato diverse esperienze.
Tutto sembrava liscio e primitivo, come i pannelli di legno che rivestivano le pareti del locale. Le candele che illuminavano proiettando oscillanti fasci di luce, disposti a piegarsi a ogni passo di ballo.
Ordinò una birra per lui e un bicchiere di vino rosso per lei. Consapevole che in quel tipo di locali la peggiore birra a disposizione sarebbe sempre stata meglio del più costoso dei vini presenti in listino.
Non lo so disse a lei.
Non ricorda perché.
Forse perché quando le chiese se volesse qualcosa da bere e lei rispose del vino, vide i suoi occhi tremolare come le fiamme delle candele.
Tutto si sarebbe spento di lì a poco.
Il vino poi, il vino rosso, sicuramente era più romantico di un boccale di birra.
Era già stato in quel locale, qualche giorno prima, con un suo amico, per fare una bevuta. Sapeva benissimo come funzionavano le cose, in maniera decisamente rustica e si sorprese, a scoprire, che quella sera, tutto appariva nuovo, come se fosse la prima volta.
Si era già levato il giaccone, la felpa ed era rimasto in camicia.
Cominciava a fare caldo.
La colonna sonora era vintage, roba anni 80, ritmi conosciuti e facili da seguire mentalmente. Ballavano tutti, era un mercoledì, la settimana presentava ancora qualche fatica ma nell’aria sembrava esserci un motivo per festeggiare.
Ricorda che le chiese di ballare e non sapeva che aspettarsi. Nel senso, dopo il bacio rubato sapeva benissimo che avrebbero ballato, ma con quale risultato? L’alchimia avrebbe funzionato? Non si trattava di muovere solo le labbra. Il ballo necessità di più fattori di cui lui era sicuramente sprovvisto.
Sicuramente era carente in allenamento. Non ballava da anni, se mai avrebbe potuto definire ballo le attività motorie scandite da un ritmo musicale effettuate anni prima.
Ma il ballo servì.
Eccome se servì.
Se lei prima sembrava troppo per lui, troppo bella, troppo sinuosa, troppo magra, troppo sorridente, ora era decisamente più per lui. Lei non aveva nessun senso del ritmo.
Non sapeva cantare, ne tanto meno ballare, come la figlia avrebbe confermato in seguito.
Appariva goffa, slanciata. Avete mai visto un cigno ballare? Bianco, candido, dal collo lungo e dal becco sinuoso, non è un essere che si è adattato allo spirito del ballo anzi.
Così appariva lei.
Nel suo gesticolare degli indici.
Nel muovere i piedi.
A lui tornò in mente Marinela.
Una sua ex rumena che lo aveva mollato per un camionista sparendo con una telefonata. Chissà se era ancora su quel camion, si chiese.
Comunque non sapeva ballare nemmeno lei.
Scherzando le disse, che le donne dell’est più che ballare, schiacciano le formiche coi piedi.
Non amava generalizzare.
Non amava un sacco di cose.
Non amò nemmeno il pestone che, ballando, ricevette da lei.
Non disse nulla.
Chiese il permesso per andare in bagno.
Zoppicante, laudicante.
Temporaneamente andate nella condizione che lei le aveva imposto, curante o meno del loro destino. Condizione che tornerà molto spesso da questa volta, che fu la prima, in poi.
La città stava diventando un’enciclopedia di eventi. Ogni tappa aveva una voce, una nota.
Tutto da approfondire, ma in fondo non gliene importava abbastanza, persa com’era in un mercoledì non molto diverso da tanti altri.
La città stava diventando un’enciclopedia di eventi. Ogni tappa aveva una voce, una nota.
Tutto da approfondire, ma in fondo non gliene importava abbastanza, perso com’era in un mercoledì non molto diverso da tanti altri.