racconto dedicato a Uri Grossman, a Cesare Pavese, a Oriana Fallacci.
Contro le insensatezze delle guerre.
Un tavolino di legno dorme, adagiato nella penombra del locale poco soleggiato.
Assieme a lui riposano un libro, appoggiatovi sopra, mentre una finestra taglia la stanza da fianco a fianco attraverso un debole raggio di sole.
In sottofondo gracchia una vecchia canzone italiana.
Se ne sta seduto e guarda verso la finestra, poi torna assorto alla sua trascrizione.
La pesante insegna di legno proietta una lunga ombra tremula e danzante sui profili.
Il vento delle colline dirige l’orchestra di questo lento e legnoso ballo ammirato a tratti dall’unico avventore del locale.
Dovete sapere che il caffè, qui, al “Gallo Nero d’Alba” è un modo poco cortese per tenere lontani i clienti.
Il sapore è forte, estremo nel gusto e amaro nella discesa in corpo.
– Tutto è relativamente nulla e allo stesso tempo universalmente inutile.
Ne sono consapevole quanto è vero che mi chiamo Nenio.
Come quando ho perso mio padre, portato via da queste colline mentre il vento fischiava e i tedeschi urlavano.
Erano i tempi della guerra, un’epoca in cui esistevano nemici silenziosi, che senza dire nulla di più, protetti dall’anonimato di una divisa, lo lasciarono morire in qualche campo poco lontano, smarrendolo nelle tracce della memoria riaperta solo da altre guerre.
L’unico vero errore di mio padre, l’unica colpa a lui imputata, era quella di essere nato in un’epoca sbagliato e con una lettera di troppo: una erre.
Mio padre, il padre di Nenio di questo uomo battuto che sono ora ,è morto per una erre.
L’importanza di una lettera.
Una erre, la sedicesima lettera di un alfabeto italiano che nulla valeva in tempo di guerra, protetto com’era da un esercito allo sbando.
E non che ora valga molto.
Mio padre era un panettiere e per assicurare la vostra esistenza da uomini liberi, o meglio di uomini tranquilli in un paese tranquillo, si fece carico della erre e la sua esistenza divenne resistenza.
Trapassò per questo, ul ulteriore metamorfosi.
E voi che avete dimenticato il peso delle parole, figurarci quello delle lettere.
Apre il giornale e legge i titoli ad alta voce.
“Medio oriente in conflitto”
“Zona di guerra Gerusalamme”
“Kamikaze”
“Il conflitto israelo-palestinese”
La morte di un ragazzo tra tanti.
Nenio prende poi a scrivere ma non sul libro, libera le parole su un tovagliolo bianco, una profana bandiera della pace ripiegata su se stessa per essere invisibile al pubblico del locale.
forse sarà letto anche dal prossimo cliente…
ma chi viene più al Gallo nero d’Alba?
Il paese, questo paese è morto…non ha pià senso resistere qui, figurarsi esistire.
Chinandosi scrive e legge ad alta voce, recitando le sue parti tra se e se.
“Il sole annunciava calma, ci avrebbero poi pensato gli uomini a tradirlo.
Uri se ne stava l’, sotto il solleone, appesantito dalla divisa, a guardare le carte degli obiettivi: ospedali, scuole, acquedotti, industrie, asili.
Secondo la maligna magia dell’uomo, tutto quello che una volta era altro, utile o bello, ora è solamente un obbiettivo.
Così pensava Uri mentre il suo dito scorreva su puntini segnati con antichi nomi di località da lui mai visitate e si trovava a riflettere sulla condizione innaturale di una città in tempo di guerra.
Nemmeno i bambini sfuggono da tutto ciòe finiscono nell’assedio:
o crescono troppo in fretta, rimanendo lontani dall’innazarsi, privati e costretti da un loro Dio incostante o…o c’è sempre l’altra ipotesi, quella inevitabile e tragica.
La volontà di vivere del mondo si era piegata sotto un altro peso.
Attimi per Uri.
Uri, figlio di suo padre e ricordo di madre, alzò lo sguardo al cielo.
A questo punti gli uomini tradirono ancora una volta il sole e qui, ma solo qui, la calma si fece assoluta”.
Nenio ha ormai riempito il tovagliolo e lo prende su con sè uscendo.
Una volta fuori lo appende sopra l’ombra dell’insegna del “Gallo Nero d’Alba”.
Ed ecci che qualcuno grida:
– Nenio, Nenio ma dove vai?
Nenio:
– Parto.
Continua a urlare quel qualcuno di prima:
– E dove vai? Perché parti? Non sei mai stato mai da nessuna parte
Nenio:
– In Germania, a lavorare. E non farò altro in nessun altro racconto.