Transatlantico di Gombrowicz: l’Argentina come punto di vista privilegiato sulla cultura stantia del mondo

“Non intendo invitare alcuno ai mie gnocchi stantii”, così scrive Gombrowicz già a pagina uno del suo romanzo, ma più che un invito è una dichiarazione di intenti, come andremo a vedere, o una chiava di lettura offerta fin da subito al lettore più distratto. Un punto di vista particolare, la lontananza, l’unica ubicazione che offre la migliore possibilità di vedere meglio i dettagli.
Cominciamo dunque con un paradosso, termine non nuovo nella prosa di quel maestro della penna che fu Witold Gombrowicz, scrittore polacco che visse parte della sua esistenza da esiliato, in Argentina, nella città di Buenos Aires. Da fuggiasco, da esule, da persona non grata, Gombrowicz riuscirà a ribaltare tutto, almeno nelle sue vive pagine letterarie, facendo della sua condizione svantaggiata un punto di vista privilegiato sul mondo.
Lo scrittore affermatosi con Ferdydurke troverà il modo di raccontare, di criticare quel suo Vecchio Continente, abbandonato a malincuore, destinato a scontrarsi con le forze del nuovo mondo. Ai più attenti conoscitori della letteratura sudamericana, e di quella argentina in particolare, non sfuggirà il grottesco episodio, camuffato in ambito letterario, presente nelle pagine di Transatlantico, dove lo stesso Gombrowicz, o il suo alter ego letterario di turno, si incontra e dialoga con Eduardo Mallea.
La valigia di Witold Gombrowicz
Questo incontro verbale si può riassumere con un tutto è già stato detto, ogni teoria, ogni avanguardia, ogni scrittore, tutto è già stato. Nel dialogo tra lo scrittore sudamericano e quello europeo non potrà risulterà che tutto è già stato detto e scritto. Gombrowicz, dal suo punto di vista sudamericano, nel 1939, si diverte quindi a spogliare in poche pagine la presunta originalità europea dell’epoca, mescolando idiomi e anime, per finire a parlare da clandestino della tradizione argentina.
Ma qual è la tradizione Argentina? Come si può diventare universali partendo da una periferia del mondo, sia questa la Polonia stessa di Varsavia o l’Argentina di Buones Aires, capitali paradossali? Non esiste una risposta unica anche se tutto è già stato detto. La letteratura, come amo spesso ricordare non è una scienza esatta e per questo arriva direttamente all’anima delle persone, ma la soluzione, o per meglio dire lo spunto, la riflessione, che il moschettiere della letteratura polacca (gli altri due, da ricordare doverosamente, sono Schulz e Witkiewicz) ci propone è quella figlia dell’appartenenza a una cultura considerata di serie B, conflitto che il continente sudamericano vive da sempre nei confronti dei cugini del Nord.
Un’edizione del libro
A questo proposito pare d’obbligo estrarre dalle pagine di questo romanzo una delle citazioni più famose dell’autore, cioè quel: Il Consiglio del Vicino è sempre Male Intenzionato. (da Trans-Atlantico, traduzione di R. Landau, Feltrinelli, 2005²). Dunque una delle possibilità per colmare il gap con il resto del mondo non può che essere l’irriverenza, tema che lo scrittore polacco tornerà a sviluppare e ad approfondire nella sua opera più famosa, Ferdydurke. Una tradizione irriverente non può quindi che essere ricca di aggregazione, di miscugli d’anime, di grovigli e di trame vittime del destino, una definizione, già vista per l’appunto del continente sud americano, di quel luogo di partenza per le avventure picaresche di un conte apocrifo e della sua banda, imbarcatasi in Argentina alla volta della Polonia.
Fabio Izzo
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