Quella che voi potete vedere riflessa allo specchio sono io.
Quella che invece non può mai vedersi allo specchio sono sempre io.
Le mie dita in questo preciso momento stanno solcando le pianure delle mie guance, polpastrelli che tracciano rotte di malinconia su di un viso non sempre gioioso.
Mi sto toccando la faccia.
Non cerco le rughe.
Non ho rughe, lo so, questo è un gioco che faccio da sempre, fin da quando ero bambina.
Per sentire i cambiamenti e avvertire sulle dita la mia sgranata presenza in questa realtà.
Mi tocco quindi ci sono.
A volte quando non ti puoi vedere, pensi davvero di non esserci e finisci con il cominciare a pensare di essere un fantasma.
Così continuo a far scorrere le dita per tenere a freno i pensieri e non scomparire.
A menadito posso fermarmi a recitare la geografia del mio viso.
Gradevole e piacente a detta di molti.
Dovrei essere una bella ragazza ma io non posso confermarvelo.
Non lo so e non l’ho mai saputo.
La cecità è stata l’unica assidua compagna di tutta la mia vita.
Ho perfino smesso di fumare e di toccarmi ma, ironicamente, non sono mai riuscita a vedere.
Succede e doveva succedere proprio a me il fallimento della vista.
Però, c’è sempre un però in ogni buona storia, stranamente, conservo sempre il ricordo di unì immagine.
Una sola.
Un’immagine chiara che all’improvviso si offusca, per poi svanire, spegnendosi con un sordo click nell’eco della mia testa.
Da quanto sono riuscita a raccogliere in seguito, dopo anni di studi non convenzionali, quel luogo doveva essere la sala parto, esattamente ventisei anni fa. Giorno più, mese meno.
Fu così che, appena nata, l’ostetrica perse la presa e mi fece cadere a terra.
La forza di gravità, l’egoismo di madre terra, la generosità del destino, l’insieme del tutto mi fece sbattere la testa.
E alla fine atterrai anche io, già dal sogno della vita, in un mondo che non era più mio anche se era stato mio solo per un attimo.
Ero sopravvissuta.
Sopravvissi ma, come si scopre sempre troppo tardi, ogni nuova vita comporta sempre qualche sacrificio e il mio era la vista. Non potevo più vedere, se mai avevo realmente visto,.
Esistevo, con un vuoto dentro…sapevo che un momento di esitazione altrui mi era costato un angolo di visuale del paradiso.
O almeno questo è quanto racconta la letteratura medica sul mio strano caso.
La mia è una storia strana, tutta vista dal di dentro senza quello sbocco naturale degli occhi che voi conoscete. Non saprei davvero come dirvi altrimenti, ma tredici anni dopo successe qualcosa. Sì, accadde qualcosa di strano.