Tutte le mattine apro gli occhi.
Ora non c’è più la telefonata di V., la mia ex fidanzata, a riportarmi sulla terra.
Mi ha mollato da un anno ormai, è scappata con la versione moderna dei venditori di cravatte, gli ingegneri, gente noiosa ma dal reddito assicurato.
Solo ora che mi risuonano in mente le melodie degli Smiths mi accorgo delle coincidenze.
Era come in Superman.
Superman è fidanzato con Lois Lane, entrambi fanno i giornalisti, e lei è la figlia di un generale.
Come Superman vi dicevo, V. è figlia di un militare che prova a entrare nel mondo del giornalismo, mondo dove non ho nessuna ambizione personale ma che alla fine ci stagno per prendere due euro due.
E con Superman non avevo in comune solamente la professione della fidanzata e del suocero, in comune con lui avevo anche la Super Forza d’Animo e la Fortezza della Solitudine dove mi rinchiudevo a vedere dvd, guardare film, ascoltare musica, fare foto, dipingere, colorare, leggere e scrivere.
Isolato come un alieno tra una razza di isolati alieni.
Solo che in questa mia versione di Superman ha vinto l’ingegnere, Lex Luthor appunto e sorrido mentre mi accorgo che le canzoni degli Smiths sono davvero troppo corte per questa mia vita.
Mi ritrovo così da solo, davanti ai soliti palazzi grigi che si stagliano contro un cielo ancora più grigio dell’immaginabile.
Queste mattinate sembrano essere il prodotto di un onanismo divino maturato nella notte precedente.
Stranamente mi ritrovo ad avere sempre mezz’ora di tempo prima del nulla di sempre.
Già prima del solito nulla a cui devo fare per sempre e per forza ritorno.
Immagino Allen Ginsberg a Parigi, in una delle sue giornate al Beat Hotel, ma sarà stato così anche per lui?
In fondo abbiamo tutti il nostro nulla cui dobbiamo fare ritorno.
Schiaccio, grazie alla forza di gravità applicata alla caduta del mio greve dito, il tasto play sul mio impianto stereo coreano da saldo di super mercato a basso costo; senza ricordare assolutamente quale cd possa esserci caricato.
Well, the pleasure – the privilege is mine
Take me out tonight
Take me anywhere, I don’t care I don’t care, I don’t care
And in the darkened underpass I thought Oh God, my chance has come at last
(But then a strange fear gripped me and I Just couldn’t ask)
Take me out tonight
Oh, take me anywhere…
Già dall’ascolto delle prime note capisco che tocca nuovamente agli Smiths stamattina riaccompagnarmi sulla terra.
Mi ri-proietto sulle mie ripromesse anticipando la traccia successiva.
Non so perché ma non sono mai riuscito a immaginarmi a suonare come Morrisey almeno una volta.
Il caffè è già andato e le strade cominciano a essere occupate da altri fannulloni cosmici ormai compromessi in questa discrepante realtà associata.
Anche l’amore stesso è una ricerca
Cerchiamo tutti qualcosa a questo punto dell’inizio.
Vogliamo far sapere a qualcuno del futuro che noi, in qualche modo, ci siamo stati, c’eravamo e che abbiamo fatto qualcosa di dannatamente buono per un’altra anima persa su questo mondo di desolazione.
Vogliamo gridare agli altri che abbiamo avuto un’occasione per essere ricordati lontano da noi, dai grandi eventi, nei nostri intimi atlanti storici.
Ecco, uno dei miei problemi e che volgo lo sguardo troppo spesso all’eternità, incapace di concentrarmi sull’immediatezza del futuro e per questo rimango solo nel mezzo degli estremismi tra le ambizioni di V. e gli aperitivi del Tunica.
Galleggio o ci provo ma avere una ragazza a volte è impossibile e oltre che alla super forza d’animo ci va anche la super pazienza.
Io ci ho provato e riprovato con la stessa ragazza in un fidanzamento di tre anni a milioni di salti mortali ma era un amore precario e come tale è finito, con un preavviso di quindi giorni il mio contratto d’amore non è stato rinnovato.
Ma dicevo che se io ricordo benissimo o almeno a modo mio, così com’è scolpito nella corteccia celebrale, lei che scendeva dal treno per venire a conoscermi in una stazione “Genova P. Principe” che sembrava un quadro acquerellato di Degas a tinte tenui, con tanto azzurro sullo sfondo, bucato solo dai raggi del sole e dall’onda d’aria mossa dal treno che arrivo lento in stazione dove poi lei scende, si guarda in giro e poi mi vede.
Lei, V., davvero era venuta a conoscere il tipo che aveva scritto un libro strano (nel mio curriculum c’è anche la pubblicazione di un libro scritto davvero in questo modo, molta forma e molta sostanza ma poco diretto, così poco diretto che ha perso la coincidenza con le grandi occasioni quel libro a cui ho voluto davvero molto bene).
Era arrivata incuriosita dalla mia scrittura dalla capacità magmatica di incastonare frasi a doppia mandata che si aprivano ogni volta in maniera differente nel contesto del testo spezzato.
Dicevo che ricordo tutto… lei che scende e muove i capelli e mi sorride.
Beh a volte a lei non bastava.
Non bastava saperle che ricordo come aspettavo in sala d’aspetto, intento a guardare le pareti, pensando che forse potrebbe, per almeno una volta nella mia vita, andare tutto dritto come un treno, dritto fino alla lontana fine in un viaggio con qualche fermata ma senza sosta.
A lei no.
Voleva sapere i dettagli legati all’abbigliamento, alle acconciature, come nemmeno un catalogo grandi marche di modelli efebici e top model anoressiche che popolano la fantasia malata delle passerelle di un mondo già di par suo in costrizione su costruzione.
– Che intimo avevo la prima volta? Mi chiese.
E mentre penso se Lois Lane ha mai fatto questo tipo di domande ricordo che risposi:
– Nero.
Solo per farla sbottare:
– Non ti ricordi. Ecco! Voi uomini siete tutti uguali
Ma che mutande avevo io? (la differenza tra uomo e donna è insita anche nelle manifestazioni lessicali. Fa molto chic-glamour intimo mentre mutanda è qualcosa di tipicamente maschile).
– Nera.
– No.
– Arancione.
– Maffigurati. Vedi non ricordi!
Ma è diverso!
Già e diverso l’occhio del dettaglio è diverso il dettaglio ma le mutande restano mutande e l’amore è su due binari.
E sorrido amaro pensando che non avevo nemmeno i mutandoni rossi alla Superman.
Pensare che ci siamo conosciuti grazie al primo libro che ho scritto.
Lo hanno definito in molti modi il mio primo libro ma per me rimane sempre e solamente il primo libro.
Lei scriveva recensioni letterarie per un sito e le capitò in mano il mio libretto.
Piccolo, stretto e striminzito che gridava non in maniera ortodossa contro le porte chiuse del mondo.
Iniziammo una corrispondenza letteraria e virtuale fino al giorno dell’incontro alle piazze di Genova di cui accennavo brevemente.
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