La terra inumana

di

Józef Czapski

(Na nieludzkiej ziemi)

I libri veramente importanti, parafrasando, sono cinque o sei nella vita di

ognuno di noi, il resto fa volume.

Gli store online e i social e anche le librerie di provincia danno rifugio a

centinaia di volumi necessari, fondamentali e capolavori. Poi,

improvvisamente, tra tutti loro, affiora “ La terra inumana” di Czapski.

Un libro importante, che potrebbe essere visto come un meccanismo a

orologeria, lanciato com’è sull’attualità con tutto il greve peso della sua

storia, ma che in realtà condanna un sistema dispotico e spietato in

maniera umanista, con piena comprensione dello spirito umano, nel bene e

nel male.

Czapski nelle sue pagine cesellate si sofferma sui dettagli, sugli aspetti più

intimi delle anime costrette a un viaggio inumano, nell’assurdità che solo

una logica distorta può accettare. Un’intimità fatta di miseria umana, di

lotta per la vita, minuto per minuto, secondo per secondo ma senza

diventare mai mera cronaca.

Józef Czapski è stato pittore, scrittore, esperto di letteratura e arte. Ha

collaborato alla rivista parigina “Kultura”. Imprigionato a Starobielsk, si è

miracolosamente salvato e ha poi testimoniato sui crimini sovietici con la

sua vita e libri come “Wspomnienia starobielskie” e per l’appunto “Na

nieludzkiej ziemi”. La prima opera fu pubblicata con il titolo di “Ricordi di

Starobielsk”, correva l’anno il 1945 e anche il nome dell’autore fu

italianizzato, diventando Giuseppe Czapski.

Fu un maggiore dell’esercito polacco e e co-fondatore della rivista parigina

“Kultura”, ovvero, ambasciatore non ufficiale dell’indipendenza polacca.

Tadeusz Nowakowski, giornalista della Rozgłośnia Polska RWE, si è così

espresso per omaggiarne la memoria: “È venuto da noi un pensatore, un

osservatore sensibile dell’anima umana, un idealista disinteressato e

premuroso. Era alto e davvero spiccava sopra la testa, non solo in senso

letterale. Era affascinante per la sua erudizione e la sua eleganza spirituale.

I francesi interessati alle questioni polacche sapevano che non era Jerzy

Putrament a rappresentare le idee e le aspirazioni del suo paese, ma

l’emigrato Czapski, ufficialmente non considerato nell’Est”.

Józef nacque il 3 aprile 1896. La madre era di origine austriaca. Studiò la

cultura polacca e si considerava, in maniera decisamente pionieristica, un

europeo. In alcune sue pagine autobiografiche ha raccontato la sua infanzia

trascorsa in famiglia tra governanti francesi e tedesche. Czapski è stato un

artista versatile, apprezzato per la sua abilità nella scrittura e nella pittura.

Le sue opere sono sì testimonianza della bellezza dell’arte, ma anche della

realtà storica e politica della sua epoca.

Il 3 aprile, il suo compleanno, per un crudele scherzo del destino diventerà

anche l’anniversario del primo convoglio di prigionieri polacchi del campo

di Kozielsk giustiziati a Katyn. Nell’autunno del 1939, fu fatto prigioniero a

Chmielek, nei pressi Biłgoraj, all’epoca occupata dall’Armata Rossa. Da qui

fu mandato nel campo di prigionia di Starobielsk.

“Na nieludzkiej ziemi” racconta la sua esperienza in URSS e i crimini

commessi dai sovietici. Czapski ha lasciato un’importante “registro”,

un’impronta indelebile nella storia dell’arte e della letteratura polacca.

In una sua intervista rilasciata alla storica Radio Free Europe, dichiarò:

“Questa terra disumana era la la Russia sovietica (…). Per quanto riguarda

Starobielsk e Katyn, devo tornare al momento in cui siamo stati gettati a

Starobielsk. Non sapevamo nulla, come ci avrebbero portato via di lì, ma in

quei campi non eravamo così infelici, perché vivevamo nella speranza che

le nazioni democratiche avrebbero vinto e allora qualcosa sarebbe

cambiato non solo in Germania, ma anche in Russia (…). E poi mi hanno

portato nell’ultimo o penultimo gruppo al campo di Pawliszczew Bor, che si

trovava in un palazzo antico. Vivevamo in baracche eccellenti. In ogni caso,

siamo partiti da Starobielsk in primavera e tutti avevamo di nuovo

illusioni.”

Il 10 febbraio 1940 iniziò la deportazione di massa di polacchi in Siberia. Si

stima che circa 140.000 persone furono deportate in Unione Sovietica. Molti

di loro perirono durante il percorso forzato, altri non fecero mai ritorno a

casa. Tra i deportati figuravano, principalmente, le famiglie dei militari, dei

funzionari, degli impiegati forestali e delle ferrovie che abitavano le aree

orientali della Polonia prebellica.

L’URSS effettuò queste deportazioni contro i suoi nemici politici, avendo la

possibilità di utilizzare migliaia di persone come manodopera gratuita. Il

lavoro massacrante nella taiga siberiana con temperature che raggiungono

diverse decine di gradi, la fame e le malattie uccisero molti esuli. L’inizio

delle deportazioni di massa permise ai sovietici di annettere le province

orientali della Repubblica di Polonia, sancito da un protocollo segreto

allegato al patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939. Le deportazioni di

centinaia di migliaia di polacchi furono decise dai massimi rappresentanti

del potere sovietico – Joseph Stalin, Lavrentiy Beria, e Vyacheslav Molotov.

Gli abitanti dei confini orientali venivano spesso sorpresi dai sovietici di

notte o all’alba, e quindi costretti a fare le valigie cercando di portare con

loro tutto il necessario. Come si è già detto, spesso venivano deportate

intere famiglie. Gli sfollati venivano indirizzati alla più vicina stazione

ferroviaria, dove ad attenderli c’erano dei vagoni non coibentati. Il

sovraffollamento, il freddo, le pessime condizioni sanitarie e la scarsità di

acqua potabile hanno provocato una percentuale significativa di morti

durante le settimane di trasporto.

I cittadini polacchi furono deportati negli oblast di Arkhangelsk, Sverdlovsk

e Irkutsk. I sopravvissutti al trasporto coatto venivano poi condannati ai

lavori forzati. Secondo le stime riportate dalle autorità polacche in esilio, a

seguito delle deportazioni organizzate nel 1940-1941, c1 milione di civili

finìnei gulag siberiani. I documenti sovietici ne riportano soltanto 320.000.

Alcuni di loro riuscirono a fuggire dai campi di lavoro grazie all’esercito del

generale Władysław Anders formatosi in URSS. A dire il vero, c’era anche

un altro modo per i lasciare la Siberia, cioè unirsi Tadeusz Kościuszko ,

divisione ispirata e creata dai comunisti polacchi e, con il consenso di

Stalin, ma questa è un’altra storia.

Le deportazioni della popolazione polacca in profondità nell’URSS nel 1940-

1941 non furono le ultime. Dopo che l’Armata Rossa penetrò nel territorio

della Polonia occupata dai tedeschi nel 1944.

Leggendo alcuni passaggi di questo libro mi è tornata in mente una

conversazione avuta un po’ di tempo fa, a Vilnius. Ebbi modi di parlare coi

nipoti di alcuni deportati lituani che riuscirono a sopravvivere alla loro

Siberia, perché, come affermavano, erano maggiormente abituati a vivere

in condizioni estreme, in modo semplice. Ricordo che tutti loro portavano

un fazzoletto, nel taschino, come i nonni insegnarono. I fazzoletti di stoffa

grezza, bianchi a intrecci visibili, erano utilizzati per pulire, filtrare l’acqua,

il più possibile. Cosa che i soldati di città ignoravano, ad esempio. Dubito

della loro originalità, credo che li indossassero più per ricordo che per altro,

a perenne testimonianza, ma non si sa mai.

Questa Terra disumana è un libro di contrapposizioni, anche perché

la cultura russa aveva tracce profonde nell’autore. Infatti Czapski, denuncia

un sistema, quello del regime sovietico dove “l’uomo” o per meglio dire, il

nemico, “non conta nulla”. Dove tutti soffrono per un governo che ha “addestrato le persone alla crudeltà disumana, all’ubbidienza cieca, a

eseguire i compiti a prezzo del sangue e a dispetto di tutto ciò che all’uomo

è caro, alla delazione obbligatoria”.

Tra sommersi e salvati, l’autore riconosce un’innata spiritualità al popolo

russo e la ricorda nelle parole spese per i contadini, le persone più semplici,

quelle legate alla terra, che lanciavano ai polacchi prigionieri, un po’ di

cibo, in un semplice tentativo di soccorso muto ma non mutuo, nel dare

speranza senza riceverne.

Józef Czapski fu liberato dal campo di Griazovets nel 1941 in virtù

dell’accordo Sikorski-Majski e si unì all’esercito di Anders a Tockoje.

Józef Czapski

La terra inumana

Traduzione di Andrea Ceccherelli, Tullia Villanova

A cura di Andrea Ceccherelli

Biblioteca Adelphi, 743

2023, pp. 459

isbn: 9788845937521

Temi: Letterature slave

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