“Anche Whatsapp ha più emozioni di me”

Tempo fa su Facebook avevo inaugurato una rubrica intitolata “il mio cellulare ha una vita sociale io no” dove riportavo “amabilmente” i messaggi improbabili ricevuti dalle mie ex. Il titolo, in realtà,  è presto spiegato: tendiamo a comunicare troppo in maniera digitale e poco dal vivo. Ora per una variante di questa rubrica “Anche Whatsapp ha più emozioni di me” riporto un messaggio ricevuto a proposito di Balla Juary :

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“Madonna la zia giallorossa e il nonno abbonato in tribuna. Quel capitolo non lo ricordavo così bene….ci sono dei passaggi spettacolari che riletti oggi li trovo ancora più efficaci:) Terrone per i nordici, polentone per i meridionali… la partita con gli amici immaginari mi ha strappato un sorrisone alle 2 di notte”

 

Tutto ciò potrebbe, forse, diventare altro…

 

Divorare gli dei. Un’interpretazione della tragedia greca di Jan Kott

Famoso per lo più, per il suo Shakespeare nostro contemporaneo, l’ottimo Jan Kott merita ancora oggi di essere letto e riletto, sopratutto in questa sua raccolta di saggi dedicata all’immortale teatro greco, dove il celebre studioso polacco scompone la mediazione tra sacro e teatrale in una personalissima mediazione maturata dopo anni di studio e di osservazione sull’immediato e sul sociale circondante.

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Dalle pagine dei giornali moderni al coro greco il passo è più breve di quel che si possa pensare perché se è vero che l’uomo è mortale le sue tragedie, anche in senso lato, restano immortali. Vi consiglio così questa originale e suggestiva interpretazione dei capolavori del teatro greco, effettuata da parte di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, Kott, che, armato delle conoscenze derivanti all’epoca da sociologia, psicologia, antropologia, storia delle religioni, decide di accompagnare il lettore in questo viaggio sul destino dell’uomo attraverso il tempo.

Gli accostamenti si succedono densi e vertiginosi: Prometeo, Beckett, le Baccanti, Lévi-Strauss, Sofocle, il teatro dell’assurdo in una serie di arbitrarietà apparenti, il cui valore d’uso si dimostra immediato. Dietro il grande canovaccio di regia c’è tutto il vasto sapere di Jan Kott,; c’è Kott polacco che ha alle spalle incubi e tragedie figlie di un contesto storico dominato dall’ingombrante presenza di un potere imperscrutabile, ma c’è soprattutto l’uomo di teatro portato a trasferire sulla scena i suggerimenti della pagina scritta e a lasciarsi guidare dalle sollecitazioni visive che la sua penetrante immaginazione gli suggerisce.

In questo suo preziosissimo studio viene sviluppata un’ analisi intelligente non solo teatrale, infatti Kott esplora più campi delle scienze umane dimostrando di trovarsi a suo agio in tutte, ma anche antropologica del teatro e della società greca, per chiudere poi il circolo di Prometeo ne i Giorni felici di Beckett. Si deve po segnalare un pregio dell’autore, abile sarto capace non solo di tessere ma di reggere caparbiamente i pericolosi fili dell’analogia.

Può essere vero che la società greca, da cui deriviamo, è stata sopraffatta della storia, ma il suo influsso resta ancora enorme, basti pensare ad una marca di detersivo come Ajax (vi siete mai chiesto perché si chiama così? Semplice è nome ereditato dal mito di Aiace).Personalmente ho trovato splendido il capitolo dedicato al semidio Ercole, lontanissimo dalle sue recenti versioni televisive e cinematografiche, scomposto com’è nelle sue due realtà coincidenti e contrastanti umano e divino. Si può credere solo in dei che non si vedono e si può concepire solo quello che è assurdo. Da ripescare o da scoprire questo testo si dimostra essere uno strumento di vita utilissimo per capire e comprender più di quel che è stato, è e sarà scritto nel mondo.

Jan Kott fu un saggista e critico teatrale polacco naturalizzato statunitense. Si oppose culturalmente al regime comunista instaurato nel suo paese già dal 1956. Nel 1961 pubblicò Szice o Szekspire (Shakespeare nostro contemporaneo,) riproponendo il leggendario bardo inglese in chiave contemporanea. Nel 1966 fu costretto a emigrare negli USA, dove insegnò in varie università. In seguito, nel 1970, riprovò con successo un’operazione simile, come abbiamo appena visto con The eating of Gods (Divorare gli Dei, opera che venne tradotta per la prima volta nel nostro paese nel 1977), un’originale e aggiornata interpretazione della tragedia greca.

Klaus è il suo nome

Capitolo 1: Klaus è il suo nome

 

Fa caldo, la birra è calda e non c’è ombra per chilometri.

Questo è il suo unico pensiero mentre si asciuga la fronte grondante con le mani.

Mani solide, tozze. Mani nate per questo mestiere. Muratore.
Costruire un muro richiede tempo. Lui lo fa tutta la sua vita. Klaus è il suo nome. Vita da terra di confine. La Polonia di là. La Germania qui e l’altra Germania di là. Di là, oltre, c’è poi il resto del mondo, quello sconosciuto. Vive all’interno di un mondo piccolo e non sa cosa c’è al di fuori, si sente sì forte come Ercole ma non ha nessuna intenzione di passare al di là delle colonne. A lui non interessa la politica. Vuole costruire. Costruire è vita. Mattone dopo mattone. Muro dopo muro.

Quattro mura fanno una casa. Una logica elementare che aveva imparato in fretta. La politica, invece no. La politica da queste parti è anche morte. Conseguenza di vita che aveva imparato ancora più in fretta. Guardò la birra. Calda. Anzi, caldissima che sembrava piscio. Eppure ne sentì il richiamo. Un goccio non farà male e poi qui è tutta campagna tedesco orientale, se serve del concime farà il suo dovere in cinque meritati minuti di pausa. Mandò giù una golata. Sudò freddo poi posò la bottiglia nell’unico mezzo metro quadrato di ombra esistente, creato da lui, dal suo lavoro non ancora portato a termine ma rispettante della tabella di marcia. Klaus era un tipo preciso, poco fantasioso, ma curante dei dettagli, quasi maniacale. Per questo i suoi lavori erano apprezzati. Solidi manufatti di edilizia socialista, senza fronzoli ma capaci di resistere nel tempo, come l’ideologia di partita. Stava lavorando su un muro di cinta esterno che avrebbe protetto la casa dei signor Reilly. Protetto per modo di dire perché qui tutto era già al sicuro. Nessuno voleva entrare e nessuno voleva uscire.

– Klaus!
Gli sembrò di udire che qualcuno da lontano stesse urlando il suo nome.

– Klaus!

No, c’era davvero qualcuno che stava urlando il suo nome. Si guardò in giro e vide Franz venirgli incontro in bicicletta.

– Posa lì Klaus!
– Che succede? Astrid?

Non poteva che essere Astrid il motivo che aveva spinto Franz a lasciare il lavoro per venirlo a cercare. Astrid era il nome di sua moglie, incinta.

– Sta bene?

– Sì, tutto bene ma vieni via. Andiamo, che è ora!

– Ora?

Nonostante la sorpresa, conosceva già la risposta: suo figlio stava arrivando, stava per venire al mondo con una settimana d’anticipo. I dottori dell’ospedale avevano calcolato male, no, avevano calcolato troppo. Sì, i dottori dell’ospedale dell’Oder Spree erano stati generosi nei suoi confronti e gli avevano voluto dare più tempo. Era la natura ad aver accelerato. Suo figlio sentiva il richiamo della natura e voleva venire al mondo prima. Aveva fretta di vivere e questa si chiama gioia. Il nuovo arrivato porterà tanta gioia alla sua famiglia e al mondo. Questi erano stati i suoi ultimi pensieri prima di rivolgersi nuovamente a Franz:

– Andiamo.

Poi posa gli attrezzi attentamente in modo che non si rovinino e li lascia lì all’aperto, sicuro che domani saranno ancora lì, questo è un paese sicuro, nessuno vuole più di quel che ha. Inforca quindi la bicicletta.
– Fai strada andiamo
Dopo due pedalate si ferma
– Aspetta.
– Che succede?
– La birra!
– Di quella non ce n’è mai abbastanza.

Prese la bottiglia e la scolò tutto.

C’era da festeggiare.

– Ora possiamo andare.

Pedalarono per 10 minuti sotto il sole di agosto che taglia e affligge il vigore tedesco. Ansimanti e sudati arrivarono al cortiletto della casa. Scese dalla bicicletta di corsa. Non si preoccupò nemmeno di appoggiare il veicolo al muro, tanto che lo . lanciò nell’aria, facendolo cadere rovinosamente a terra. L’impatto del metallo pesante con la terra fu il primo suono, diverso dal rumore della cigolante catena della bicicletta, sentito in quella parte di mondo da dieci minuti a questa parte. Il telaio si ammaccò.
L’insieme delle azione di questo preciso momento fu come un gong mistico e universale. Il destino aveva suonato. Ora e qui. Klaus sembrò risvegliarsi dal torpore della birra e irruppe nuovamente sulla scena:

– Astrid! Astrid!

Nulla in casa c’era solo silenzio.

Nell’androne d’ingresso non c’era nessuno.

Non aveva nemmeno tempo o pensieri per togliersi e pulirsi le scarpe.

Entrò di corsa portando terra tedesco orientale proveniente dall’esterno in casa sua.

Si affrettò a salire le scale. Fece gli scalini due a due per fare prima, con slanci di gioventù che pensava di non aver più.

– UE

Un pianto di un bambino creò un altro mondo.

– Ue UE

Un mondo che si era già raddoppiato. Si affacciò alla porta e vide la moglie a letto. L’ostetrica stava tenendo qualcosa in mano. La moglie si accorge del suo arrivo e subito dopo sorride.

– Femmina- dice l’ostetrica.

– Femmina- ripete lui.

Il mondo avrà di che gioire

– Della vergine.

– Un ottimo segno.

– C’è bisogno di ottimi segni nella nostra nazione.

– Guarda che bella-

– Sì

– Che musino dolce

– Sembra un topolino.

– Già

– Come la chiamerete?

Astrid dorme, sfinita. Questa è una decisione che ora spetta solo a lui. Non ci ha voluto pensare per mesi, convinto che dare un nome a qualcuno che non c’è porti sfortuna ma ora lo sa. Ora sa il nome che ha sempre voluto dargli.

-Marienetta.
Marienetta come il nome del suo primo amore.

– Marienetta è un ottimo nome

C’è bisogno di ottimi nomi, fa eco il suo pensiero nella mente.

– Marienetta che sembra un topolino.

Marienetta Michi Jirkowsky

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Un post natalizio

Vedrai, vedrai, vedrete, vedrete.

Si sta per chiudere un 2014 fatto di alti e bassi, tutt’altro che noioso. Ho avuto modo di viaggiare, grazie a To Jest, tra il sud e la Polonia, da Cava de’ Tirreni a Cracovia, passando per Morbello, Molare, Imperia, Pisa e Torino,

To Jest avrà forse degli strascichi anche nel 2015, se succederà lo verrete sicuramente a sapere, mentre altre avventure letterarie all’estero stanno per avverarsi, nel frattempo sto aggiustando il tiro su quello che sarà il mio prossimo romanzo. Eccovi una breve anteprima:

Eilen.
Chi è oggi Eilen?
Eilen è un paradosso.
Eilen non potrebbe esistere oggi.
Io sono un venditore di sogni e oggi mi voglio vendere il sogno più bello.
Eilen non era la persona giusta nel momento giusto nel luogo giusto, lei era semplicemente la cosa migliore che potrebbe accadere nella vita di tutti
Eilen era bella, bella come la gioventù sa essere.
Eilen era affascinante, affascinante come solo l’esotico sa apparire agli occhi dei provinciali.
Eilen era la scoperta del mondo.
Un altro mondo, con lei, non solo era possibile, ma addirittura esisteva
Eilen era un sorriso in un giorno di pioggia e neve quando dimentichi l’ombrello alla fermata del bus, Eilen era un gruppo di pile che non si scaricava mai, Eilen era un pianto lungo una notte, una messa in un’altra lingua, un semplice sabato pomeriggio pomeriggio passato a lavare i piatti mentre tutto è accompagnato da Getting Better dei Beatles.
Eilen era questo e molto altro. Eilen non potrebbe essere oggi. Eilen in finlandese, perché questa storia è nata sotto i cieli immensi del Nord Europa, vuol dire “Ieri”, come la Yesterday dei Beatles. Per questo motivo Eilen non potrebbe esistere oggi e sì, forse è il più grande rimpianto della mia vita, tanto che la sogno ancora in diversi notti e, quasi clandestinamente, l’ho sognata anche in altri letti con altre lei. Eilen oggi ha un’altra vita e un’altra storia, ma sono felice, felicissimo di poterla raccontare oggi a voi e di sapere che sì, c’è stata e non è stata solo un sogno….

 

In Finlandia, durante le feste di Natale, si usa mettere delle luci alle finestre per far sapere al viandante, al viaggiatore sperso che lì, in quella casa, c’è qualcuno disposto a condividere cibo, calore, auguri e umanità. Potete quindi guardare questo post così, come una luce accesa, un regalo natalizio, un augurio intermittente. Sono tante, tantissime le persone da ringraziare. Chiunque passi di qui è il benvenuto. Buon Natale.

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Lei amava vivere

Lei amava vivere

Lei credeva in quel che faceva

Lui amava i Beatles

Lui seguiva dei sogni

Lei non sapeva chi erano i Beatles

Lui l’aveva portata a vedere il film The Yellow Submarine, senza suscitare grosso entusiasmo.

Avrebbero poi pulito i piatti qualche mese più avanti, senza ricordare mai Yellow Submarine, un sabato pomeriggio perso nel tempo, al ritmo di Getting Better

Lei amava le passeggiate in campagna e la vita all’aria aperta.

Lui aveva visto una capra, per la prima volta, in vita sua, a quindici. La capra poi fu sgozzata da suo padre in occasione delle festività pasquali di quell’anno.

Lei credeva e praticava, seguiva la messa in ginocchio

Lui aveva mangiato la capra sacrificale qualche anno prima ma continuava a cercare il contatto con il divino, la mediazione, nei suoi scritti.

 

Lei era figlia di un generale costretto a sposarsi in polacco in segreto per via della problematica storia di quel paese.

Tutto questo faceva sentire lui un po’ come Superman.