Un paese che si vanta di non leggere

Siamo un paese che non legge, vero, ma il problema più grave, a mio avviso, è che l’Italia è un paese che si vanta di non leggere e non ci sono dati Istat da sventolare ai quattro venti, basta guardarsi intorno.

Vedere qualcuno leggere in questo paese è qualcosa di improbabile, evento che si staglia a metà tra il miraggio e il miracolo. Non si legge in tv, non si legge su internet, le campagne riproposte sui vari social network nella maggior parte dei casi sono idee estere, non si legge sul bus, sul tram o sul treno. La pandemia dei cellulari si è evoluta nella nostra società vaporizzata a livello smartphone, siamo sempre connessi per dire poco o nulla, per evitare la solitudine che ci attanaglia, perché leggere è un atto sì solitario, ma che permette di saper affrontare le varie solitudini che la vita propone o ci proporrà.

Le vecchie generazioni sono aggrappate ai giornali sportivi, in crisi pure loro, ultimo baluardo dell’idea di lettura all’italiana, dove ormai si parla di tutto e di più e in maniera generalista, non andiamo a toccare il dolente tasto della libertà di stampa. Le ultime generazioni sono cresciute con modelli educativi “intellettualmente” diversi. Non a caso sono stati proposti eroi ignoranti come il commendator Zampetti, capaci di creare imperi dal nulla in modo sgrammatico e culturalmente edulcorato, politici che di letterario hanno poco o nulla, dopo quello che si firmava Ghigno di Tacco il vuoto assoluto, calciatori che associano i loro nomi a biografie imbarazzanti dove la non lettura resta una qualità e a operazioni da barzelletta.

Non a caso Tommaso Pincio, in Panorama, ha intuito il futuro di un’Italia senza libri, o meglio senza l’importanza dei libri, ma il mondo del libro che fa? Si chiude in se stesso, rantola, impreca, ma continua a giocare come un cane che si morde la coda. I numeri crollano e allora non riesce a trovare nulla più che ricorrere alla rassicurante idea del vecchio, cioè la riproposizione di quei modelli che, più male che bene, negli ultimi anni, hanno trascinato la baracca fino ad oggi. Romanzi nati vecchi e pensati morti vengono innalzati sugli scudi. Si parla bene di tutto e di tutti, basta che sia un libro nuovo, poco importa che poi più o meno giustamente, sia destinato a raccogliere polvere. I salotti letterari da cricche a grappoli hanno le loro colpe e sono lontani dal mea culpa. Si parla di tizio perché deve a Sempronio, ma in fondo a Caio, coraggioso lettore occasionale, che gliene frega. Caio vorrebbe magari scoprire un buon libro, ma a forza di leggere non recensioni che in realtà sono odi a fratello scrittore e sorella scrittora si è un po’ sfiduciato e se non ha smesso di leggere, credetemi, lo farà presto.

Le librerie indipendenti annaspano, le monomarca si re inventano ispirandosi più che a Notting Hill a Gordon Ramsey e a Cracco.I distributori si inventano un monopolio rassicurante per lo status quo italiano. Non c’è il crollo, grazie solo alla forza di pochi, ma un erosione continua e se non si farà nulla, a tutti i livelli, dalla scuola ai media, dalle famiglie alle amministrazioni locali, vivremo sicuramente in un mondo diverso, più complicato da decifrare perché nuovo.

 

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