La poca comprensione del compressore napoletano

Nella vicenda di Napoli c’è qualcosa che non quadra. Già non quadra perché se un ragazzino di 14 viene insultato e ridotto in pericolo di vita solo per essere “rotondo”, grasso, sovrappeso, con le ossa grosse o obeso (come meglio preferite), dovremmo tutti cominciare ad interrogarci.

La nostra società non è nemmeno più basata sull’immagine, ma è trascesa oltre e si fonda, o per meglio dire “affonda”, sull’apparenza.

Viviamo in epoche veloci dove un’immagine può essere vista simultaneamente in tutto il mondo, quindi il fattore tempo è ormai marginale per quel che riguarda la comprensione visiva e, ahimè, non.

Non si ha tempo per concedere una seconda possibilità, figuriamoci se qualcuno vuol concedervi un secondo sguardo. A tal proposito trovo emblematico, in tal senso, l’esposizione odierna, da parte di un quotidiano nazionale che, dovendo proporre ai suoi lettori una notizia americana di morte assistita, in prima pagina ha deciso di ricorrere all’ utilizzo della foto meglio riuscita della protagonista corredando l’articolo interno con un’immagine meno perfetta e decisamente più reale, nascondendo così i chili in più della donna.

Insegnano forse questo ai giornalisti? Non so. Sta di fatto che il grasso, oggi giorno, è bandito dai media ed è una battaglia culturale persa. Culturale poi? Se parliamo di salute è tutto un altro discorso ma la rappresentazione di un modello distante dalla realtà può essere questo definito cultura? Una società basata sull’apparenza non può che produrre mostri dentro. Chiudo il mio post con una frase
della scrittrice Amélie Nothomb, proposta in Italia da Voland: “Gli obesi mi affascinano: si scontrano con il diktat della società di dover essere magri”.

Compressore

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